(di Noblat) “007 Spectre”, 148 minuti, un Daniel Craig, due Bond Girls (Monica Bellucci e Léa Seydoux), un gran vilain, Christoph Waltz. Ventiquattresimo film dell’eterna saga di James Bond, ultima, in teoria, piccola perla della quadrilogia iniziata con “Casino Royale” nel 2006 e conclusasi oggi, passando per “Skyfall” e “Quantum of Solace”. “Spectre”, il film più costoso di tutta la saga, tenta di concludere quello che era iniziato quasi dieci anni fa. Dieci anni in cui si è tentato di sdoganare l’agente britannico dai canoni stabiliti fino ad allora, andando ad esplorare la nascita di James Bond, i traumi, gli errori, i pochi affetti.
“Spectre” è questo, una conclusione, un tentativo di arrivare a una meta, quella dei film con Sean Connery, lasciandosi alle spalle lo sperimentalismo e l’atipico agente inglese visto nei primi film con Daniel Craig. È inevitabile quindi che si ricada nella nostalgia. Diciamo che tutto il film è ampiamente nostalgico e, anzi, lo è doppiamente, dal momento che ricorda non solo i tre film passati, ma anche tutti i cliché delle produzioni classiche della serie.
Ma parlare di questo senza aver fatto almeno un accenno alla trama risulta difficile. Per chi fosse interessato si vedrà di non ricadere nel più grave peccato che evidentemente si possa commettere oggigiorno, lo spoiler, le anticipazioni che svelano la trama.
Con una scritta che fa già capire i toni del film, “I morti sono vivi”, si viene catapultati in Città del Messico, durante la Festa dei Morti. Già dalle prime inquadrature si capisce che la fotografia e gli effetti di computer grafica saranno ad altissimi livelli, e infatti non si resterà delusi. Si passerà a Londra, Roma, Austria, Tangeri, Sahara e, infine, si concluderà a Londra, senza mai sentirsi appesantiti dai continui cambi di ambientazione. Il film lega bene ogni singola scena e la trama non parte male. Un cast di grandi attori attorno a 007 aiuta anche a sentirsi presi dagli eventi. In questo senso il film non manca il bersaglio.
Abbiamo l’ormai classico Daniel Craig, da pochi criticato per il suo fare ed essere Daniel Craig: in questo episodio fa quello che deve fare e lo fa bene. L’agente segreto ormai non è più l’inesperto di “Casino Royale”, poco british e a tratti addirittura fuori personaggio. Questa volta è un Bond classico, puro. Tutti coloro cui mancava non resteranno delusi: lo humour, il Martini, l’orologio, l’Aston Martin, tutto ritorna, come da tradizione. Tuttavia non lo fa in maniera pedissequa, imitando i passati film. Qui vi è da tenere in considerazione il recente doloroso passato di 007, e Sam Mendes, regista anche di “Skyfall”, lo rispetta alla perfezione. Come detto, è la nostalgia la costante del film, ed è proprio in queste occasioni che la ritroviamo. Sono vari e continui i riferimenti alle tre pellicole precedenti, nel tentativo proprio di concludere un’opera organica quasi decennale e al tempo stesso di proiettare questo nuovo, tenebroso Bond nell’universo classico dei Bond.
Ma come tutti i film, anche questo non è perfetto, e infatti alcune stonature vi sono, una in particolare. Abbiamo un vilain, un cattivo, il capo della Spectre interpretato da Christoph Waltz in maniera impeccabile, di una potenza psicologica notevole e di un carisma non irrilevante. Vi è Ralph Fiennes ad impersonare “M” che non delude le aspettative del precedente film, ma dopotutto si sta parlando di Ralph Fiennes. E Ralph Fiennes non delude mai. Abbiamo un insieme di attori più giovani, Ben Whishaw come “Q”, Naomie Harris come Moneypenny, Andrew Scott ad interpretare “C” che svecchiano e sostengono i pilastri del film in maniera egregia. E poi abbiamo le Bond Girls, ed è qui la nota dolente.
Da una parte vi è Monica Bellucci, prima donna sopra i cinquant’anni della serie a ricoprire questo ruolo, ad interpretare una vedova italiana. Grazie al cielo le riesce discretamente bene e grazie a lei possiamo vedere il ritorno del tipico rapporto maschio dominante-donna indifesa tanto caro ai primi film della saga.
Dall’altra vi è Léa Seydoux, che raffigura esattamente l’opposto, la giovane addestrata anche a combattere e per niente indifesa che accompagna Bond per buona metà del film, forse anche un poco di più. Purtroppo, è proprio lei che non convince. Non per quanto riguarda la recitazione, dal momento che, seppur non a livello degli altri veterani, comunque non sfigura. Ma per il suo personaggio. Con lei si è voluta fare una seconda Vesper Lynd, l’Eva Green di “Casino Royale”, la donna che prende Bond e lo salva dalla parabola discendente come Agente che lo porterebbe alla morte. Non a caso si chiama Madeleine Swann (il film è pieno zeppo di riferimenti, quindi prestare attenzione è cosa buona e giusta).
Ma la domanda è: ve ne era bisogno? Vi era bisogno di un tal doppione? Perché questo porta a smorzare tremendamente il climax finale, in una maniera cui non eravamo stati abituati dai tre precedenti film e, quello che è ancora peggio, porta a capire dove si andrà a parare già a metà, massimo tre quarti del film, rendendo gli ultimi colpi di scena dei cliché già visti e già intuiti.
È quindi il miglior 007? No, non lo è. Tuttavia riesce a lasciare il segno in maniera egregia, portando il “giovane” Bond al classico Bond, rispettando le fondamenta sulle quali si era costruito negli ultimi dieci anni. Quello che era da dire è stato detto: Daniel Craig ha concluso in maniera impeccabile questo percorso e si può dire tranquillamente che, seppur non eccezionale, questo sia un degno finale della quadrilogia, andando a concludere l’inizio e ad iniziare la leggenda di James Bond.
007 operazione nostalgia. Così Daniel Craig, con “Spectre”, consegna idealmente il “giovane” Bond al “classico” Bond
6 Novembre 2015 by