1989. Il “j’accuse” del senatore Strehler a favore del teatro contro l’assistenzialismo statale, fatto di oboli e di mance

(di Andrea Bisicchia) Il mese di agosto lo dedico alle riscoperte e alle seconde letture. A vent’anni dalla morte, il mio ricordo va a Giorgio Strehler, Senatore della decima legislatura (1987-1992), quando con Willer Bordon, per conto della Sinistra indipendente, stese il Disegno di legge (1989) che portava il titolo: “Nuove norme in materia di teatro di prosa”.
Si trattava di 33 articoli che, pur se modellati su parecchi articoli di Disegni precedenti, contenevano qualcosa di nuovo.
Nel 1987, il Piccolo festeggiava il quarantesimo compleanno, mentre, l’anno precedente, era stato inaugurato il Teatro Studio che Strehler definiva “un teatro non teatro”, con “Elvira o la passione teatrale”, di cui era regista e interprete con Giulia Lazzarini, impegnandosi, nel frattempo, nella lettura del “Doctor Faustus”, di Thomas Mann, e del “Wilhelm Meister”, di Goethe, mentre l’anno successivo, porterà in scena “Come tu mi vuoi” con Andrea Jonasson. Pur così impegnato, Strehler decise di concedersi alla politica con l’intento di lavorare, in questo caso, per il teatro italiano, avendo deciso di portare le sue battaglie in Parlamento, dopo quelle combattute per i lavori della nuova sede, essendo, nel settembre 1990, partiti i lavori di rifinitura.
Come è noto, però, bisognerà attendere altri sette anni per la consegna, solo che a dicembre, il grande regista morirà.
Vediamo, allora, i punti del Disegno di Legge, preceduto da una introduzione dove non mancano le polemiche contro un teatro “ossessionato” dalla ripetitività del gesto, contro “le leggi di mercato”, contro l’assenza di veri indirizzi politici che alimentavano il “lasciar vivere”, a scapito della qualità e della professionalità, contro l’assistenzialismo, fatto di oboli e di mance per accontentare un po’ tutti, in barba alla specificità del teatro, contro l’idea di un teatro “merce” che è l’opposto dell’evento artistico, oltre che sociale.
Strehler non si stancava di ripetere che la professionalità e le qualità artistiche sono i veri valori e che il talento non lo si può aiutare con nessuna legge. Era convinto che il rapporto Stato-Teatro non potesse vivere senza “una coraggiosa scelta di valori” e che il risultato artistico fosse il frutto di percorsi e leggi misteriose. Da buon profeta, aveva intuito l’ondata di non professionismo che si sarebbe abbattuta sul teatro italiano negli anni successivi. Non lesinò i suoi strali contro chi cercava il successo a tutti i costi, consapevole del fatto che esistano degli insuccessi più folgoranti dei trionfi.
Nel Disegno di Legge i punti decisamente nuovi erano: la creazione di “Aree di utenze teatrali” e la nascita dei “Centri Drammatici Nazionali” per favorire rapporti più limpidi con lo Stato e con gli Enti Locali, oltre che la “triennalità” per permettere sovvenzioni più oculate, tenendo conto della lunga stabilità e delle diverse produzioni che dovevano avere carattere artistico e bilanci in regola. Tra le proposte c’era anche quella della nascita di un vero Teatro Nazionale come la Comédie Française. Il Disegno di Legge non fu approvato, per Strehler si trattò dell’unica battaglia persa che addebitò alla ottusità e all’ignoranza della politica.

Giorgio Strehler, Willer Bordon: “Nuove norme in materia di teatro di prosa”, Edizioni della Camera dei Deputati, 1990