(di Andrea Bisicchia) Il dinamismo della storia si rivela sempre nei momenti di trapasso da una generazione all’altra e da una cultura all’altra, quindi la domanda pertinente potrebbe essere: “Com’è possibile modificare la cultura? Come rapportarsi con quella ereditata, per accettarla o distruggerla? A distruggere si fa sempre presto, a ricostruire ci vuole molto tempo. In ogni “oggi” convivono generazioni e culture diverse che si attraggono o che si respingono, questo “polemos” genera il dinamismo sociale e culturale.
Poiché stiamo celebrando il cinquantesimo anniversario della rivoluzione sessantottesca, come non riproporre la lettura di un testo esemplare sull’argomento: “La nascita di una controcultura”, di Theodore Roszak, pubblicato nel ‘ 68, edito da Feltrinelli nel 1971.
Sono sempre più convinto che ogni periodo storico ambisca a un riconoscimento attraverso i suoi artisti e pensatori, i quali cercano di portare in scena lo spirito del tempo. Quale fu quello del ’68? Fu uno spirito che cercò di far convivere la cultura e la controcultura, non certo in forma simbiotica, bensì in forma antagonista che realizzò attraverso il dissenso contro tutto ciò che si ritenesse necessario abbattere e che fosse vissuto come un nemico.
I nemici della generazione del ’68 erano la tecnocrazia, il totalitarismo economico, la ricca borghesia. I giovani di quel periodo vivevano il malcontento con agitazioni di piazza, con le occupazioni delle scuole e delle Università, con l’uso di una stampa alternativa dove potevano esprimere il loro disagio, le loro invettive contro le ingiustizie del paradiso tecnocratico che ritenevano falso e bugiardo. Alla mistica di questo paradiso contrapposero quella del misticismo orientale, delle droghe psichedeliche, degli esperimenti comunitari. I giovani studenti andarono in cerca di alleati che trovarono nei lavoratori e nei sindacati. L’idea da realizzare fu quella di una vita in comune, magari nella forma della cooperazione.
Non per nulla, proprio nel ’68, a teatro, nacquero “ La Comune” di Dario Fo, le Cooperative del Teatro Uomo, del Gruppo della Rocca e di quella di Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah. Chi erano, per loro, gli avversari da abbattere? I Teatri Stabili, accusati di immobilismo, ma anche il linguaggio usurato delle messinscene. Fu proprio contro la lingua screditata, sofferente e moribonda che tuonò quella barbarica degli Scarrozzanti di Testori.
Il gran rifiuto dei giovani, proprio come l’ombra del gran rifiuto dantesco, fu la vera miccia che si innescò nella controcultura, abbattendosi contro la pigrizia delle vecchie istituzioni, ma anche contro la pigrizia della politica ritardataria sempre in cerca di consensi e non di progetti e di riforme. La frattura fu quella che, nel mito, vede lo scontro tra i Centauri e Apollo. Roszak ricorda il frontone del tempio di Zeus a Olimpia, dove vengono raffigurati i Centauri che irrompono adirati nel mezzo delle feste civili, sorvegliate da un severo Apollo, custode della cultura ortodossa, che si affanna a respingerli.
In questo scontro, come non “ leggere” lo scisma culturale tra due inconciliabili concezioni della vita?
Oggi, come non mai, ci sarebbe bisogno di una controcultura e della sua capacità visionaria per sconfiggere l’immiserimento della nostra esistenza. Occorrerebbe una generazione consapevole e capace di dissentire, ma la nostra bella gioventù preferisce l’ozio, benché riesca a scaldarsi solo sul Web.
Theodore Roszak, “La nascita di una controcultura”, Feltrinelli 1971, pp 324.