A Torino c’è Renoir, il rivoluzionario innamorato dell’arte classica. E dell’Italia

Pierre-Auguste Renoir, “La lettrice”, 1874-1876, olio su tela 46,5 x 38,5 cm

Pierre-Auguste Renoir, “La lettrice”, 1874-1876, olio su tela 46,5 x 38,5 cm

(di Patrizia Pedrazzini) La prima “opera” sono i ferri del mestiere: una cassetta di colori, una tavolozza, dei pennelli. Gli stessi, forse, con i quali il vecchio pittore aveva lavorato fino all’ultimo, facendoseli legare alle dita ormai deformate dall’artrite reumatoide. Che da anni lo affliggeva alle mani e ai piedi, fino a costringerlo su una sedie a rotelle. Gli stessi, forse, con i quali aveva dato le ultime, faticose pennellate, alle sue “Bagnanti”, prima di morire, il 3 dicembre 1919 a 78 anni, stroncato da una congestione polmonare.
A Torino, fino al 23 febbraio, c’è Renoir, e l’austera capitale sabauda si apre alla luce, al colore, alla joie de vivre del grande impressionista. Una sessantina di capolavori – 53 dipinti, tre pastelli e un bronzo – provenienti dal Musée d’Orsay e dal Musée de l’Orangerie (che, nella capitale francese, conservano la collezione più completa al mondo dell’artista), chiamati a ripercorrere alla Gam, la Galleria civica d’arte moderna e contemporanea del capoluogo piemontese, la complessa evoluzione artistica di Pierre-Auguste Renoir, eterno testimone di una Parigi leggendaria, di una borghesia serenamente consapevole del proprio ruolo, di una società che si appresta a disegnare un nuovo mondo.

Pierre-Auguste Renoir, “Ragazze al piano”, 1892, olio su tela 116 x 90 cm

Pierre-Auguste Renoir, “Ragazze al piano”, 1892, olio su tela 116 x 90 cm

Dai ritratti femminili ai paesaggi, dai bambini ai bouquet di fiori, dalle ragazze al piano ai nudi, le opere esposte non si limitano a ripercorrere l’evoluzione artistica del maestro (che si protrasse per oltre un cinquantennio, con una produzione di oltre cinquemila dipinti e un elevatissimo numero di disegni e acquerelli), ma sono anche la testimonianza di quanto, in lui, tentazione rivoluzionaria e attaccamento alla tradizione siano stati intimamente e costantemente collegati. Senza dimenticare la “comprensione intima” dell’arte italiana, che Renoir sperimentò soprattutto nel viaggio dell’inverno 1881-1882, e che è al cuore della sua opera e della sua poetica. “Gli italiani – disse – non hanno alcun merito nell’aver creato grandi opere di pittura. Bastava loro guardarsi intorno. Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello”.
Ecco allora il Renoir impressionista, che sconvolge le regole della rappresentazione, e il Renoir classico, innamorato della bella tradizione. Ecco “Il ragazzo con il gatto” e “La lettrice”, “Chiatte sulla Senna” e “L’altalena”, “Madame Charpentier” e “Mazzo di fiori su una sedia”, “Danza in campagna” e “Ragazze al piano”. Ecco il magistrale gioco con la tavolozza, l’impressionante varietà di sfumature dei colori, le pennellate morbide e delicate.
Fino all’ultimo capolavoro, che chiude anche la mostra: “Bagnanti”. Due ragazze sdraiate in primo piano e altre tre che si bagnano sullo sfondo, ritratte nel giardino di ulivi all’interno della tenuta del pittore a Cagnes-sur-Mer, nel sud della Francia. Un paesaggio mediterraneo che riporta alla tradizione classica italiana e greca. Una visione idilliaca ancor più sottolineata dalla sensualità dei corpi e dalla pienezza delle forme, che rimandano ai nudi di Tiziano e di Rubens, tanto cari all’artista. Una sintesi di ricerca della bellezza e serenità spirituale perseguite per tutta la vita. “Forse adesso incomincio a capire qualcosa”, pare abbia detto la sera prima di morire. Quattro anni dopo i suoi tre figli donarono il quadro allo Stato francese.
La mostra è frutto della collaborazione fra la Fondazione Torino Musei, il Musée d’Orsay e Skira Editore.

“Renoir – Dalle collezioni del Musée d’Orsay e dell’Orangerie” – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea – Via Magenta 31, Torino. Fino al 23 febbraio 2014.