(di Andrea Bisicchia) Stampato, per la prima volta nel 1905, ”Vita, Arte e Mistica“, del matematico olandese L.E.J. Brouwer (1881-1966), esce presso l’editore Adelphi, con prefazione di Lorenzo Perilli e una lunga postfazione di Paolo Zellini che, come esergo, utilizza una battuta di Shakespeare: “I casi esteriori trascinano le intime qualità nei loro guasti”. L’autore era in polemica con i positivisti e con i razionalisti, essendo il fondatore dell’intuizionismo matematico, una dottrina filosofica con finalità teoretiche ben diverse da quelle esposte da Bergson, il modello da cui parte, specie quando costui si pone in netto contrasto con l’intellettualismo del tempo.
Il testo lo si legge con una certa avidità non senza qualche disappunto per le posizioni conservatrici dell’autore nei confronti delle donne, riscattate dalla polemica nei confronti del razionalismo scientista, delle convenzioni sociali, della stessa comunicazione linguistica che Brouwer riteneva impotente, perché sottoposta alla legge dell’intelletto, causa, a suo avviso, di colpe difficili da emendare. Se Bergson era giunto alla filosofia attraverso la strada della matematica, Brouwer arriva a simili considerazioni da un altro punto di vista, ovvero dal bisogno di affrancarsi dalla logica, per ritrovare una propria interiorità.
In nove brevi, ma intensi capitoli, egli ci spiega la sua visione del “triste mondo”, triste perché luogo di incontro di illusioni e delusioni, dove l’Intelletto vorace cerca di gestire tutto, causando la caduta dell’umanità che vaga tra Paura e Desiderio, tra Grettezza e Brame di potere, tra Tempo e Spazio. L’Intelletto, inoltre, intende mettere a tacere la coscienza, per alimentare la forza del Sistema che ha bisogno dei desideri degli uomini per rafforzarsi, per farli soccombere all’industria dei generi voluttuari e dell’intrattenimento, che trasforma l’arte e la religione in morfina, per poter narcotizzare l’aspirazione a una vita migliore, incapace di difendersi persino dal linguaggio, a sua volta, schiavo dell’intelletto, fino a diventare ridicolo, quando si occupa di morale, di coscienza, di Dio. Accade che le persone, oggi, parlino ognuna per conto proprio, tanto da costruire un sistema logico che non ha alcun nesso con la realtà, dove mentire è più efficace che dire la verità e dove persino la letteratura, obbedendo alla legge dell’intelletto, diventa serva inquieta di una cultura priva di valori, perché obbediente al piacere del successo.
La vera arte è quella capace di disobbedire e di mostrare la fine delle illusioni. Ciò accade particolarmente in teatro, nel dramma e nella commedia, che non escono dal tempo, ma vivono col tempo, dove illusione e disillusione ancora convivono, vedi Edipo, Amleto, Re Lear, Giulio Cesare, testi nei quali trionfa la verità delle messinscene e non quella della contraffazione. Poiché è difficile raggiungere la purezza, questa, più che agli uomini, appartiene ai mistici, che vivono fuori dalla vita razionale e che, attraverso la grazia, raggiungono la libertà dell’anima. Per Brouwer, solo a colui che sa rinunziare all’intelletto è dato di possedere la possibilità di pervenire alla contemplazione della felicità e di non inseguire il lusso o il subdolo potere del denaro.
Il bello va ricercato nella nostra interiorità, nel saper viaggiare dentro noi stessi per raggiungere la Montagna sacra. Brouwer, così come aveva messo in crisi i fondamenti della matematica, alla stessa maniera, si sforzerà di mettere in crisi i valori dell’intelletto.
L. E. J. Brouwer, “Vita, Arte e Mistica” Adelphi Edizioni 2015, pp. 194, € 13.