Adattare, in tutte le varianti, anche dispregiative, non sempre è una violenza: può essere opera alla pari con l’originale

collage teoria adattamenti(di Andrea Bisicchia) Che cos’è un adattamento? Già il termine adattare contiene in sé un qualcosa di provvisorio nel senso che, per esempio, lo si può utilizzare con un significato dispregiativo: ci si adatta per convenienza, per mancanza di coraggio, o ci si adatta a una persona con cui non si ha nulla da spartire. Adattare un’opera letteraria a un altro genere può avere la stessa funzione, accade, infatti, che un’opera d’arte, nell’adattamento, possa perdere la sua qualità e che, in altre occasioni, possa eguagliarla, se non addirittura superarla.
L’adattamento è, a dire il vero, un’ossessione dei registi cinematografici e teatrali, un’ossessione di tipo intellettualistico, nel senso che costoro, non essendo stati capaci di creare l’opera prima, cercano di dare vita all’opera seconda. Poiché l’adattamento parte da un testo, ne consegue che una riscrittura lo trasformi in paratesto, ovvero in qualcosa che contiene tutti quegli elementi che hanno fatto parte della ricerca per pervenire al risultato adattato. Si verifica, in questo tragitto, quello che Derida definiva: “la decostruzione del testo primario” o che Foucault riteneva appartenesse a una soggettività univoca, a un approccio, a suo avviso, egualitario, rispetto al testo preso in esame, convinto, com’era, che essere secondi non volesse dire essere secondari.
È appena uscito, per Armando Editore, uno studio specialistico di Linda Hutcheon, docente di letteratura comparata presso l’Università di Toronto: “Teoria degli adattamenti – I percorsi delle storie tra letteratura, cinema e nuovi media”, dove la studiosa sfida ogni forma di facile denigrazione nei confronti dell’adattamento, del quale a lei interessa l’atto specifico, con le possibili intuizioni teoriche che ne conseguono. L’autrice sostiene che l’obiettivo della sua indagine parte da un ampio contesto, al quale vanno applicate tre modalità di ricerca che hanno a che fare con le storie, ovvero col “racconto”, con la “mostrazione” e” l’interazione”. Lei è convinta che essendo il testo un prodotto, esista, nel contempo, un processo di ricezione e di ricreazione grazie all’uso della trans-codificazione, dovuto ai media e ai generi diversi che vengono utilizzati. Le tre modalità, a cui la Hutcheon fa riferimento, permetterebbero di interagire con la struttura analitica di riferimento.
Spesso, alla voce adattamento, vediamo accostato il termine “rivisitazione”, da concepire come qualcosa che offrirebbe nuove prospettive di indagine che, a loro volta, dovrebbero dare maggiore concretezza al processo indicato. C’è da dire, però, che le modalità di adattamento cambino a seconda di chi le produce. Un regista cinematografico che ne è, spesso, l’autore princeps, dovrà mettere a confronto la sua modalità creativa con quella dei collaboratori, tanto da poter avanzare l’ipotesi che trattasi di un adattamento collettivo. Lo stesso può dirsi per il regista teatrale, benché sia meno sensibile al collettivismo, perché si considera un coautore a tutto tondo. Spesse volte ho avuto la possibilità di verificare cosa accade durante il processo di adattamento e mi sono accorto che i risultati dipendano dalla genialità dell’adattatore. In simili casi, l’autonomia del nuovo linguaggio è contraddistinta dalla qualità artistica. In altre occasioni, l’adattamento l’ho vissuto come puro sperimentalismo, se non autoesaltazione, con lo scopo, di chi lo compie, di essere chiamato autore. Oggi, purtroppo, esistono tanti rielaborati di testi altrui, quanti sono i lavori che si mettono in scena.
A mio avviso, l’adattamento non può essere considerato un linguaggio prettamente autonomo, dovendo confrontarsi con il linguaggio scenico e con quello cinematografico, ovvero con immagini vere e immagini virtuali. In molti casi, lo si accusa di interferenza, manomissione, violazione, conseguenza di un preconcetto negativo per chi soffre di iconofobia e per chi predilige la logofilia. Spesso adattare significa violentare, essere irrispettosi nei confronti del testo iniziale per motivi non propriamente artistici, ma scandalistici e, lo scandalo, come è noto, fa sempre parlare di chi lo genera.

Linda Hutcheon: “Teoria degli adattamenti” – I percorsi delle storie fra letteratura, cinema, nuovi media”, traduzione di Giovanni Vito Distefano, Armando Editore, 2011, pp.288, € 20