MILANO, sabato 23 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) – Erano in quattro, i Gufi. Vestiti di nero e bombetta. Qualcuno li definì “i Beatles del cabaret”. Dal 1964 al 1969, spopolarono, dalle fabbriche ai grandi teatri, ai cabaret, con le loro canzoni irriverenti, satiriche, politiche. Da “Il gallo è morto” a “L’uselin de la comare” a “La Badoglieide”, a “’l purcun d’na brutta troia”, a “Non spingete, scappiamo anche noi” (l’ultimo spettacolo, poi modificato durante le repliche dopo alcune contestazioni). Insomma, un fenomenale repertorio di quasi 500 canzoni, con spettacoli indimenticabili in lingua e in meneghino.
I Gufi. Come band forse se li ricordano soltanto i più anziani. Ma, singolarmente, i loro nomi continuarono a circolare, ciascuno per strade diverse, fino ai giorni nostri:
Nanni Svampa (1938-2017), il “milanese”, cantore di Brassens e della tradizione popolare milanese con le “canzoni dell’osteria”, “Porta Ronana bella”…;
Lino Patruno (1935), “il cantamusico”, cabarettista, giornalista, scrittore e musicista, con la “Portobello Jazz Band”, etcetera;
Gianni Magni (1941-1992), straordinario mimo, attore e cantante, morto prematuramente a 51 anni;
Roberto Brivio, “il cantamacabro” (per le sue canzoni cimiteriali), attore cantante cabarettista scrittore, e animatore carnascialesco (fino a un paio di anni fa, interprete popolare della maschera di Meneghino, mentre la moglie, Grazia Maria Raimondi, impersonava la Cecca).
Ed ora se n’è andato anche Roberto Brivio, ieri, colpito dallo stramaledetto virus.
Ironico, sbeffeggiatore, cantante, presentatore, grande affabulatore, eppure amico sensibile, anima buona e gentile.
Diplomato all’Accademia del Filodrammatici, oltre alla primigenia esperienza con I Gufi, nei suoi 60 anni di palcoscenico, passò ecletticamente dal cabaret all’operetta, dai canti goliardici alle canzoni “macabre”. Fino al più spregiudicato linguaggio boccaccesco d’osteria.
Per esempio, citiamo:
“Nella canzone popolare sulla sfida fra Satanasso e Sant’Antonio” disse in un’intervista al Corriere, nel 2004, “nell’Italia bacchettona degli anni Sessanta, a un certo punto il Santo spedisce Satanasso col culo a mollo… E fummo denunciati per turpiloquio, offesa alla religione di Stato, usurpazione di oggetto di culto (il cordone da frate usato come cintura). Il processo si svolse a Montepulciano, dove l’avvocato Paone, fratello del nostro impresario Remigio Paone (mitico impresario e patron del Nuovo e dell’Odeon – n.d.R.), scomodò perfino Flaubert e il grande repertorio popolare, per strappare alla fine una assoluzione con formula piena”.
Gestore quindi del mitico Refettorio, “gloriosa cantina” di cabaret, in Via Maurilio; direttore artistico, regista di spettacoli di prosa, musical e operette, autore radiotelevisivo, insegnante di recitazione, paroliere di oltre 250 canzoni, Roberto Brivio, oltre al Refettorio, diresse, tra gli altri, il Teatro del Corso, il Teatro Cristallo, il Teatro Ariberto.
Ma fu, soprattutto, protagonista e testimone di un’epoca che non tornerà più, che ricordiamo, col pianto in gola.
Il Covid 19 s’è portato via Roberto. Ma, dall’epoca dei Gufi fino al 2019, tra miserie e nefandezze d’Italia – eppure anni gloriosi, eppure entusiasmanti, eppure abbacinanti di luminose speranze – Roberto Brivio ha lasciato un segno indelebile di cos’era il teatro e di cos’era Milano. E il dolore è ancora più cocente
Il Direttore e tutta la Redazione di “lo Spettacoliere” si stringono commossi e partecipi al cordoglio dei familiari.