Adriana Asti recita se stessa. Le “memorie” spregiudicate e irridenti di una attrice che mette a nudo la propria anima

“Memorie di Adriana, ora al Franco Parenti,  ha debuttato il 26 giugno al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Nella foto: Adriana Asti.

MILANO, mercoledì 13 settembre ► (di Paolo A. Paganini) È un gigantesco soldino di spudorata sincerità: ingenua spregiudicata ironica. E irridente. È Adriana Asti, nuda in tanti film del passato, ed ora anche sulla scena del Franco Parenti, dove, in un’ora e 45 minuti, si spoglia ancora, si fa per dire, cioè mette a nudo la propria anima di grande attrice di teatro (e di cinema). Lo spettacolo di “spogliarello” è una celebrativa autocitazione. “Memorie di Adriana”, sul palcoscenico del Franco Parenti, diventano pressappoco “Adriana Asti recita Adriana Asti”.
In una specie di “Giuoco delle parti” (senza tragedie finali), Adriana, l’attrice, nella finzione scenica, è in un misterioso camerino, fra le quinte, dove si rifiuta di recitare e non si vede mai, mentre lei, l’Adriana in carne ed ossa, lì, sulla scena, simula di essere una specie di spiritello, che spiega un po’ di cose, tra pubblico e privato, spiattellando intimo e personalia di Adriana Asti, con disarmante impudicizia.
Le “memorie” si fanno enciclopediche, diaristiche, antologiche. E le rivelazioni potrebbero durare chi sa quanto, in una divertente carrellata biografica, in un godereccio clima che va dal varietà al café concerto, tra foto osée e tenere confessioni, tra tentazioni di cabaret alla milanese, con canzoni e canzonacce, e teatrali capitoli che fan ricordare i goldoniani Mèmoires.
Ce n’è e ne ha per tutti. A 86 anni ce ne sono di cose da raccontare.
L’infanzia dalle suore, la voglia di vivere fin da bambina, e la madre che commentava: ma cos’ha questa bambina sempre così allegra?”. Da allora visse non smentendo mammà. Più grande, se ne andò da casa per seguire il Carrozzone di Fantasio Piccoli. Chi mette piede in teatro, anche se comincia con passi timidi e impacciati, non ne esce più.

 Nella foto: Adriana Asti, con Andrea Soffiantini,  Andrea Narsi e Alessandro Nidi al pianoforte

Gli inizi, come per tutti, furono più miserevoli che gloriosi. Ma poi conobbe Paolo Grassi e Giorgio Strehler, e poi Luchino Visconti, e Pasolini, e Giorgio Ferrara (che sposò), e Bernardo Bertolucci, e Mauro Bolognini, e Tinto Brass, e Marco Tullio Giordana, e Robert Wilson… (si veda l’impressionante biografia su wikipedia!). E, dopo quei primi passi, timidi e impacciati, divenne una celebrata primadonna con un monumentale curriculum di critiche e recensioni teatrali e uno stupefacente medagliere di premi e riconoscimenti. Ma anche con inevitabili incidenti di percorso, come quando affrontò una spiacevole diatriba con un critico di teatro, scambiandosi biglietti non proprio rispettosi, accompagnati da “omaggi” non proprio ortodossi. Per la cronaca, il critico, quella volta, ne uscì meglio di lei.
Tutto questo, ed oltre, viene rivelato da Adriana Asti che parla di Adriana Asti, come fosse un impertinente alter ego. E lo fa con arguzia, padronanza scenica, giovanile entusiasmo, coraggiosa impudenza. Ammirevole e gustosissima.
L’idea drammaturgica dello spettacolo, che si avvale della presenza scenica anche di Andrea Soffiantini e Andrea Narsi (con Alessandro Nidi al pianoforte che esegue le proprie musiche) è stata di Andrée Ruth Shammah (anche adattamento teatrale e regia), che ha tratto dal libro Ricordare e dimenticare, conversazione tra Adriana Asti e René De Ceccatty. La semplice ma grandiosa ambientazione scenografica è di Gian Maurizio Fercioni, storico collaboratore di Franco Parenti e della Shammah.
La regista, come accennavamo più sopra, ha voluto una surreale atmosfera di stranianti musiche da night, con virtuosismi tra jazz e pop, e allusioni al cabaret con incursioni tra platea e palcoscenico. A ciò si aggiunga un eccentrico direttore di scena, con volpina coda di favolistici richiami, e un ammiratore di sperticata invadenza, e si può avere un’idea di quale vaghezza sia impastato lo spettacolo (che si arena solo alla fine, quando dà l’impressione di non sapere come uscirne).
Tutti in scena alla fine (compresa una sorprendente, elegantissima Shammah), e applausi di entusiastica cordialità. Si replica fino a domenica 24 settembre.