(di Marisa Marzelli) Arriva un altro film biografico appena dopo l’uscita di quello su Steve Jobs. Ma stavolta siamo su un altro pianeta. Un pianeta al femminile, con una libera versione della storia vera di una signora americana, tale Joy Mangano (classe 1956), inventrice del mocio per pulire i pavimenti (in America conosciuto come Miracle Mop). Le casalinghe gliene sono grate. Ha inventato anche un collare antipulci per cani e altri oggetti domestici; è diventata imprenditrice e milionaria. Sembra strano dedicare un costoso biopic – circa 60 milioni di dollari – ad una simile storia. L’autore è David O. Russell, regista e sceneggiatore premiato a Hollywood, Oscar compresi, con alcuni titoli precedenti: The Fighter, Il lato positivo, American Hustle. Quest’anno la candidatura è una sola, per la protagonista Jennifer Lawrence. E il film non ha fatto l’unanimità dei consensi.
David O. Russell, qui all’ottava opera, ama raccontare storie che s’ingegna di rendere emblematiche di un determinato periodo e contesto sociale, di preferenza punta l’occhio della cinepresa su personaggi perdenti o disfunzionali che a volte trovano il riscatto (come stavolta), oppure no. Negli ultimi tre film (Il lato positivo, American Hustle e questo) si è circondato della medesima squadra attoriale, comprendente Jennifer Lawrence, Robert De Niro e Bradley Cooper. In Joy ci sono inoltre la veterana Diane Ladd, il lanciatissimo Edgar Ramirez (è anche protagonista del remake di Point Break, in uscita questa settimana) e una quasi irriconoscibile Isabella Rossellini.
Ma Joy non convince del tutto. Né nello sviluppo della sceneggiatura, né nello stile, che cambia più volte durante lo sviluppo del plot. In sostanza è l’ennesima versione del sogno americano, con l’aggiunta di considerazioni sulla società in cui si muove la protagonista Joy, già dal nome personalità ottimista e alla fine vincente.
Il film parte come una fiaba, raccontata con voce off dalla nonna (Diane Ladd). Joy è una ragazzina brillante e fantasiosa. Ma diventata grande deve reggere sulle spalle il peso di una famiglia numerosa e caotica. Con due bambini piccoli, Joy ha un lavoro precario, si occupa della casa, della madre (Virginia Madsen) che si si isola guardando in continuazione serie televisive melodrammatiche, della nonna che sembra l’unica a valorizzarla e incoraggiarla e deve badare anche al padre (Robert De Niro), divorziato ma sistematosi nel seminterrato, condiviso con l’ex-marito di Joy (Edgar Ramirez), cantante fallito, rimasto buon amico della ex. C’è anche una sorellastra, acida e gelosa. Joy è sempre in affanno, con qualche patacca sui vestiti e con la palla al piede di quei parenti a loro modo affettuosi ma soffocanti. Tutti i sogni giovanili parrebbero ormai sepolti. Ma capita un imprevisto. Rimediando ad un incidente domestico, Joy si ferisce alle mani con dei cocci di vetro mentre pulisce il pavimento. E così arriva l’idea geniale: inventa e perfeziona il mocio autostrizzante che si lava in lavatrice. A questo punto il film svolta, perché i problemi non sono più circoscritti solo all’ambito familiare. Irrompono gli affari, di cui nessuno capisce nulla. La nuova fiamma di De Niro, una ricca vedova (Isabella Rossellini), ci mette i soldi per produrre il mocio, ma tra cattivi consigli, nuovi finanziatori, brevetti, avvocati incompetenti, aumentano solo i debiti. Finché Joy trova un alleato nel capo di una tv specializzata in televendite (Bradley Cooper) e promuove con convinzione il suo prodotto. Ma bisogna ancora levare di mezzo un co-finanziatore disonesto. Joy studia i contratti e poi lo affronta a muso duro, come non sembrerebbe nel suo stile.L’atto finale, anni dopo, vede Joy diventata grande imprenditrice, ma pronta ad aiutare giovani inventrici inesperte.
Il film tocca vari temi. Il più evidente e gratificante è il successo che alla fine premia chi ha talento e determinazione. Poi parla della necessità di affrancarsi dalla famiglia e volare con le proprie ali, dei meccanismi commerciali e dei relativi mondi visivi di riferimento (le serie tv, le televendite, il marketing). Forse troppa carne al fuoco, affrontata ricorrendo alla commedia e al dramma, al grottesco, al fiabesco, in un accavallarsi di stili che faticano a convivere. Jennifer Lawrence regge il film, gli altri fanno da comparse e manca una vera dimensione corale.