MILANO, sabato 7 novembre ●
(di Emanuela Dini) Un tuffo nell’Italia degli anni ’60, il 1963, per l’esattezza. Una piccola sartoria a Napoli, un sarto specializzato in divise militari che si trova a dover confezionare l’abito da sposa della figlia di un generale suo cliente. Una ricamatrice assunta in tutta fretta per dargli una mano.
Eccolo, il contorno de “L’abito della sposa”, delicata e garbata commedia di Mario Gelardi (regista e coautore insieme a Roberto Saviano di “Gomorra”) che riporta agli anni del boom, dove timidezze, perbenismo, canzonette e ambizioni tenute sotto controllo da pudore e ingenuità stavano cedendo il passo a benessere e modernità.
Un’Italia ancora un po’ “ingessata” dove i sarti maschi non potevano ricamare, le ragazze perbene arrivavano vergini al matrimonio. E dovevano tenere ben nascosti desideri o segreti inopportuni.
La commedia (un’ora secca, senza intervallo), costruita con una sequenza di brevi siparietti e dominata dalle canzoni di Rita Pavone – presente in sala la sera della “prima” milanese – racconta l’incontro dei due personaggi apparentemente lontani, ma via via sempre più affini. Lui affettuoso e disinteressato pigmalione, lei irsuta e introversa, accomunati da una rassegnata solitudine «quando mangi da solo il cibo non ha sapore», si svelano reciprocamente con cautela, e man mano che realizzazione dell’abito da sposa avanza, scoprono dentro di sé sempre più dignità e coraggio, fino alle confessioni liberatorie e riscatti d’orgoglio del finale.
Una scena semplice che ricostruisce le sartorie che oggi non esistono più – banconi di legno e scaffali con le pezze colorate- una colonna sonora che alterna le canzonette ai giornali radio e telegiornali con le cronache originali di grandi tragedie (la diga del Vajont, l’omicidio di Kennedy…), l’ abito da sposa vaporoso e battezzato “Come te non c’è nessuno” al centro della scena, la bravura degli interpreti Pino Strabioli e Alice Spisa -su tutte, la scena dell’invito a ballare- regalano un viaggio nell’Italia di cinquanta anni fa, dove manca solo Carosello per fare l’en plein. Un’atmosfera del “come eravamo” fortemente voluta dal regista Maurizio Panici «dove le passioni non erano urlate sguaiatamente e dove i sogni nutriti di rimpianti erano ancora possibili». Missione riuscita, come commentava il pubblico, che ha applaudito soddisfatto e che quegli anni se li ricordava bene (“ah, che bel revival...”).
Peccato, però, la durata davvero ridotta di uno spettacolo grazioso ed educato, che avrebbe potuto svilupparsi con maggiore spessore, graffiando con un po’ più di incisività.
L’abito della sposa, di Mario Gelardi, con Pino Strabioli e Alice Spisa, regia Maurizio Panici – Teatro San Babila, Corso Venezia 2/A, Milano – Repliche fino a domenica 15.