TORINO, lunedì 27 febbrai ► (di Carla Maria Casanova) – È tornata, al teatro Regio di Torino, l’applaudita edizione 2005 (già ripresa nel 2015) di Aida firmata da William Friedkin, il regista premio Oscar di capolavori genere poliziesco e horror (Il braccio violento della legge, L’esorcista). Il nome incuteva rispetto ma anche timore. Avrebbe sprofondato il solare ambiente egizio in un girone dantesco? Beh, pochi registi hanno mantenuto l’ambientazione originale dell’opera più di quanto ha fatto Friedkin.
Appassionato di melodramma da tempo, non si era mai posto il problema di portarne in scena uno lui, poi fu Zubin Mehta, una sera a cena, a proporglielo, offrendogli anche la scelta del titolo. Dal suo punto di vista, Friedkin non poteva scegliere che Lulu o Wozzeck. E fu Wozzeck, a Firenze, con il successo che si sa.
Ci prese gusto e si azzardò ad approdare all’opera di repertorio, quella proprio che più popolare non si può: l’Aida di Verdi. Ma in punta di piedi, con rispetto, cioè non osando proprio stravolgere niente. L’unica difficoltà stava nel riuscire a coniugare la grandiosità (vedi trionfo) con l’intimità (il rapporto tra le due donne rivali, Aida ed Amneris, che amano lo stesso uomo; la lacerazione tra l’amor per la patria e l’imposto tradimento del l’amante; l’estasi della consumazione estrema, sotto alla “fatal pietra”). Perché Aida, contro a una certa tradizione, è (eccetto la scena del trionfo) un’opera intima, quasi da camera.
Friedkin l’ha capito bene e la sua realizzazione, coadiuvata validamente da Carlo Diappi per scene e costumi, ha agito in questo senso. È una Aida strettamente egizia, con colonne possenti ma anche una deliziosa cameretta allietata da leggeri affreschi per descrivere le stanze di Amneris. E la feluca che aspetta sul Nilo la notte dl veglia nuziale di Amneris. Tutto si svolge in ossequio alle precise indicazioni del libretto.
“A due passi dal più importante Museo Egizio, dopo quello del Cairo, come avrei potuto operare un tradimento?” dice il regista. Forse, nella ripresa (di Riccardo Fracchia) dopo tanti anni, c’è qualche svarione: vedi un Radames con baffi hitleriani (quando mai??) e un Re che incede come un ragazzaccio sfaticato, ma sono svarioni che potrebbero derivare da questo cast.
Qui entriamo nello spettacolo attuale: sono dieci recite più una anteprima giovani, che si susseguono giorni dopo giorno, con alternanza di interpreti, e improvvise sostituzioni dell’ultimo momento. A occhio e croce, i loro nomi assicurano onesti professionisti che girano il mondo, magari senza suscitare emozioni indimenticabili. Signori, le Tebaldi e i Bergonzi sono morti. Facciamocene una ragione.
Ieri, al matinée domenicale, io ho sentito: Anna Nechaeva (Aida), Stefano La Colla (Radames), Anastasia Boldyreva (Amneris), Gevorg Hakobyan (Amonasro), Evgeny Stavinsky (Ramfis), Marko Mimica (il Re). Direttore Michele Gamba. Se all’orchestra (del Regio) sono stati impressi tempi molto lunghi che non hanno aiutato i cantanti, da loro speravamo qualcosa di più. La Nechaeva (classe 1976) specialista del repertorio russo, ha la tipica vocetta dai suoni vibrati. Ha regalato però qualche bel filato. Stefano La Colla, torinese, forse condizionato dalle molte recite a Verona, manifesta poca attitudine al passaggio, lanciando qua e là gli alti squilli che tanto piacciono al pubblico delle Arene; Gevorg Hakobyan (Armenia 1981) è baritono di voce possente; la più completa, per presenza scenica e qualità vocale, è parsa Anastasia Boldyreva, mezzosoprano russo formatasi a Mosca e poi al Maggio Musicale Fiorentino. Accanto ai due bassoni (Re e Ramfis) mi pare giusto segnalare Thomas Cilluffo (messaggero) e Irina Bogdanova (Sacerdotessa) che nelle loro piccole parti si sono comportati senza pecca. Questi due nelle critiche non vengono quasi mai neppure citati, avendo ruoli insignificanti: lei addirittura tra le quinte e lui che irrompe nel primo atto per dire tre (di numero) frasi. Sono quasi sempre giovani delle Accademie ed anche qui provengono dal Regio Ensemble. Oso dire che sono quelli che mi sono piaciuti di più. E così il Coro, molto applaudito.
A conti fatti, questa Aida si potrebbe dimenticare, fuorché per l’allestimento, che è cosa egregia, una volta di più dimostrando quanto non siano necessarie le stravaganze dei Fura del Baus per produrre un buono spettacolo di opera lirica. Anzi, quelle sarebbero proprio da evitare.
Questa Aida è in atto al Teatro Regio tutti i giorni fino all’8 marzo. Lo spettacolo dura 3 ore e 40 minuti, con due intervalli. Per la recita domenicale è da segnalare la novità della istituzione di un Bimbi Club dove i giovani genitori possono parcheggiare i figlioletti mentre loro ascoltano l’opera. Una novità molto sensata. Da tenerne conto, per gli altri teatri.
“Aida” al Regio. Trionfale grandiosità d’un regista dell’horror. Ma con rispetto. In punta di piedi. Senza stravolgere nulla
27 Febbraio 2023 by