VENEZIA, domenica 19 maggio ► (di Carla Maria Casanova) “Aida” di Verdi è tornata a Venezia dopo 35 anni e nello stesso allestimento di allora (1984), affidato alle scene di Mario Ceroli, con regìa di Mauro Bolognini, ripresa da Bepi Morassi.
È, possiamo ben dirlo, un’edizione storica. Palcoscenico diviso orizzontalmente in due (v. foto a sinistra), la parte superiore costituita da una maestosa scalinata, quella inferiore da sotterranei dove si svolgono le vicende più segrete e che poi saranno la fatale tomba dei due. È un impianto da Arena di Verona o comunque da arena estiva, dove certamente avrebbe i dovuti spazi, non concessi nella “bomboniera” veneziana. Ceroli è lo scultore del legno, e le sue sagome ritagliate ne sono la firma.
Non c’è la parata del trionfo, risolta con due vessilliferi che sorgono da dietro e si sistemano nell’area del trono, mentre le trombe squillano imperterrite il loro Ta taaa, taratata tataa ecc… I prigionieri etiopi vinti irrompono invece dagli anfratti sotterranei. Sono ignudi e si aggrovigliano strisciando davanti ai vincitori. Errore storico non da poco. Gli Etiopi sono ed erano popolo nobilissimo di ancestrale civiltà e certamente, sia pur vinti, erano ricoperti dalle loro bianche vesti. Ma i vinti sono sempre vinti e l’immaginario popolare vuole la sua parte. Tutto in questa messinscena è statico, illuminato, forte. L’Egitto come si è sempre immaginato. Mancano solo le piramidi (o forse la loro sagoma c’è nel primo atto). Nulla da eccepire.
Su questo impianto visivo che ostenta sicurezze si innesta la vicenda musicale (orchestra della Fenice diretta da Riccardo Frizza) con una furia quasi oltraggiosa. Tempi velocissimi e soprattutto a tutto volume. Mi si dice: “Eh già, la Fenice non è la Scala o l’Arena, è teatro piccolo e tutto si amplifica…”
Non mi pare si tratti di una novità.
Morale, anche i cantanti sembra che gridino, invece non gridano, ma certo il rumore è tanto. E sì che, oltre ad essere un’opera a lieto fine (come sostengo da tempo: i due amanti ritrovati muoiono insieme) è, sempre secondo me, un’opera sostanzialmente intimista, esclusa la scena del trionfo (che tra l’altro qui non c‘è). I punti chiave sono degli assoli (Radames: “Se quel guerriero io fossi”, Aida “Ritorna vincitor”, Amneris “L’abborrita rivale a me sfuggìa”) e duetti: Aida/Amneris, Amonasro/Aida, Radames/Aida. Poi c’è beninteso il coro (anche lui, qui, a tutto volume) ma il dramma della vicenda si svolge principalmente a due. Bisognerebbe che lo spettatore potesse partecipare. Non si partecipa, nonostante i cantanti pregevoli, di cui Aida e Amneris debuttanti assolute nel loro ruolo.
Protagonista la siciliana Roberta Mantegna, sulle scene fin da bambina, abituata al belcanto e avventuratasi poi con onore nei ruoli verdiani. L’americana Irene Roberts, al suo debutto anche italiano, ha dato ad Amneris una prova di accorata passionalità, specie nell’ultimo atto. Francesco Meli (Radames) è il tenore che tutti conosciamo, bel timbro, sicurezza, precisione di dizione. E poi c’è stato l’intervento travolgente di Roberto Frontali come Amonasro. Accidenti, com’era preso dalla parte (anche se Amonasro è il personaggio più stupido che si possa immaginare: chi glielo fa fare di svelarsi e buttare all’aria tutta la trama? Ma così vuole il libretto). Comunque, Frontali davvero coinvolgente.
Finito lo spettacolo, con molti applausi, ecco la sorpresa (però annunciata) dell’acqua alta. Chi aveva gli stivali se li è infilati, ed ha affrontato i guadi insidiosi perché le “passerelle” sopraelevate non ci sono più, dal primo maggio a ottobre. Normalmente in questo periodo l’acqua alta non c’è più. Ma le condizioni atmosferiche sono cambiate, “grazie” anche a quell’insano progetto del Mose che, oramai è ufficiale, non servirà mai a niente. E si può solo sperare che, per salvar la faccia, a qualcuno non venga in mente di ultimarlo. Perché, in dieci anni di lavori, non è mai stato portato a termine. E quello in opera non funziona già più: i mitili hanno intaccato le cerniere, rendendole inutilizzabili.
Venezia – Teatro La Fenice. Repliche (con cast alterni) 22, 23, 26, 28, 30, 31 maggio, 1 giugno.