Aida, una regia di consolazione, all’interno del teatro, dopo che la pioggia, ieri sera, costrinse a rinunciare all’esterno

COMO, venerdì 30 giugno ► (di Carla Maria Casanova)Le fatal gocce sono cadute prima ancora che Radames cantasse “Se quel guerriero io fossi”. Gli orchestrali si alzano in piedi. Brutto segno. Inizio di modesto fuggi fuggi non ancora convinto. Infatti le gocce cessano e si incolpa la solita nuvola leggera. Si siedono gli orchestrali. Si risiede il pubblico. Si ricomincia ma, tempo 5 minuti, gli orchestrali si alzano di nuovo e questa volta se ne vanno. Viene annunciato che lo spettacolo verrà ripreso, cioè ricominciato, all‘interno del teatro.
È stato uno scherzaccio per tutti, ma in modo speciale per il regista – Alessio Pizzech – che aveva progettato questa Aida di apertura della IX edizione del Festival Como città della Musica, all’aperto, nello spazio da qualche anno allestito dietro al teatro. Pizzech è uomo di spettacolo a tutto tondo, dalla multiforme attività nella prosa come nel teatro musicale e come direttore artistico di istituzioni culturali. Non è mai banale. Qui il progetto si articolava in una piattaforma quadrata al centro dello spazio, con il pubblico tutto intorno. Sul palcoscenico una grande piramide trasparente (come all’Arena: che si siano passati la voce?) e due piccole strutture in legno grezzo, tipo cabine telefoniche, con scritto Amneris e Aida, di modo che fosse chiaro che lì le due protagoniste femminili avevano i loro punti di appoggio. Questo per facilitare nel pubblico l’identificazione delle medesime poiché, per accontentare le quattro porzioni di spettatori intorno al palcoscenico, i personaggi dovevano in continuità spostarsi, e cantare, ai quattro angoli del quadrilatero.
Tanto basti per capire che, piaccia o no, una simile regìa aveva un senso sulla piattaforma centrale all’aperto ma portata all’interno – per dove era stato pensato un abbozzo di regìa di consolazione — presentava notevoli complicazioni. E incongruenze. Per esempio il coro sterminato, che diviso in 4 avrebbe dovuto girare attorno alla piattaforma, portato in teatro e pigiato nei due corridoi laterali della platea, creava fastidioso disagio. Senza contare la cavalcata dei coristi lungo i corridoi, con effetto carica di bisonti. Visivamente, il coro, tutto bianco, e come si diceva sterminato, è quanto più rimane negli occhi di questo allestimento, Munito or di lance or di lanterne, la massa corale funge da fondale, quinte, sipario. Impersona la scena (scene e costumi Davide Amadei).
Invece, ci sono un due o tre invenzioni che, in qualsiasi campo le si metta in pratica, all’aperto o al chiuso, non hanno un gran senso. Vedi la rivoltella con cui Aida/Radames/ Amonasro/ Amneris si minacciano a turno nell’atto del Nilo. Una pistola qui non ci sta proprio. Oppure il gran passo di danza eseguito dall’atletico bellissimo bravissimo ballerino nero per sostituire la marcia trionfale che non c’è. Il gigantesco ballerino (si chiama Mmamdi Nwagwu, grave non aver messo il suo nome in cartellone) essendo nero si immagina debba rappresentare gli etiopi, lì trascinati in ceppi. (I quali etiopi come ben si sa non sono camiti – da Cam, il nero figlio di Noè – ma semiti, – dal figlio Sem – quindi assolutamente non di fattezze negroidi seppur di pelle nera. Ma glissons). Comunque sia, l’aitante ballerino camita, perché danza felice?  esulta per la sconfitta? O ringrazia i vincitori? Quelle idee registiche che vengono in più, ma anche se non vengono meglio.
Arrivando al dunque, trasportare al chiuso uno spettacolo di questo genere è stato un lavoro d’inferno e molto frustrante per il regista. Frustrante anche per i cantanti, che tutte le prove hanno fatto all’aperto. Hanno tutti affrontato la situazione con onore ma sicura insoddisfazione. Onore grande per come è stata organizzata, e relativamente veloce, la corretta assegnazione dei posti dalla platea esterna all’interno del teatro.
Il versante musicale. Se il direttore Enrico Lombardi ha strascicato qua e là i tempi nel gestire l’Orchestra 1813 del Teatro Sociale (d’altra parte, non sono i Berliner), e la compagine canora maschile meglio lasciarla perdere, sul fronte femminile si va alla grande.
Clarissa Costanzo, Aida, (Capua 1991) diplomata a San Pietro a Majella con massimo di voti e menzione d’onore, licenziata dall’Accademia della Scala lo scorso anno, ha un materiale vocale importante e bellissimo timbro (così difficile da trovarsi). Ottima tecnica che le ha fatto imbroccare una serie di filati da antologia. Anche Sofia Janelidze, Amneris, mezzosoprano giorgiano arrivata al Conservatorio di Milano con una borsa di studio su invito dell’Ambasciata italiana, vincitrice di molti concorsi, esibisce un canto sicuro, già collaudato in un giro internazionale. Poi c’è la sorpresa della giovane Aoxue Zhu, mezzo soprano tra l’altro assai graziosa (particolare di cui è molto consapevole). In Italia dal 2018, ha studiato a Bologna e a Parma. Canta nella piccola parte della Sacerdotessa, quasi sempre defilata negli antri del tempio, ma qui riesce a emergere al solo aprir bocca. Degli uomini si è detto. Il tenore Demo di Vietri (Radames) studi al Conservatorio di Milano e a Bologna, esibisce nomi di grandi con i quali si sarebbe formato. Peccato non gli abbiano lasciato niente. Lui però ha cantato ovunque. Nei due anni di Covid non ha smesso un momento, all’estero, ovviamente (San Pietroburgo, Colombia, Polonia, Cairo…) Buona, la volontà, ma… Magari resta da citare Amonasro, il baritono Luca Galli.

L’Aida del Teatro Sociale-Aslico di Como si replica il 1° e il 3 luglio, con la speranza che almeno una volta si riesca a vederla nel suo quadro originale.