(di Andrea Bisicchia) – Tra l’Estetica di Hegel, apparsa, in tre volumi, nel biennio 1836-38 e il Saggio di Estetica teatrale di Louis Becq De Fouquières (1831-1887), passarono circa cinquant’anni, durante i quali l’indagine sul teatro si allontanava sempre più dalla filosofia per approdare verso i problemi della messinscena. Se l’Estetica di Hegel era considerata il modello a cui si rifaranno i filosofi successivi per portare avanti i significati da applicare all’Arte, alla Bellezza, all’Architettura, alla Scultura, alla Pittura, alla Musica, tale modello non poteva avere gli stessi riscontri se applicati al teatro, di cui Hegel discuterà nel capitolo terzo, dedicato alla poesia drammatica, dove si intrattiene sulla differenza tra poesia drammatica antica e quella moderna e sullo sviluppo che ne era conseguito, ben diverso da quello dell’arte rappresentativa, di cui il grande filosofo non aveva le competenze, perché più attento a lavorare sui “generi”, come tragedia e commedia, piuttosto che sulla messinscena.
Il volume di Louis Becq De Fouquières: “L’Arte della messinscena. Saggio di Estetica teatrale”, a cura di Franco Perrelli, edito, per la prima volta in Italia, da Dino Audino, con la traduzione di Giovanna Zanlonghi, diventa indispensabile, non solo per capire come un simile tema venga affrontato, ma anche per poter storicizzare una disciplina, come la Storia della regia, che potrebbe avere inizio proprio col libro di Fouquières. Nella sua introduzione, anche Franco Perrelli sostiene che l’edizione di Dino Audino venga a colmare un vuoto teorico sulle origini della storia della messinscena, perché l’autore, come referenti, non scelse dei filosofi, bensì uomini di spettacolo come Emile Perrin (1814-1885), Sovrintendente della Comedie, e Francisque Sarcey (1827-1899), noto critico di “Le Temps”, con i quali si trovava in perfetta sintonia intellettuale.
A differenza di Hegel, per il quale l’Arte drammatica appartiene al poeta, per De Fouquières appartiene al responsabile della messinscena, a quello che Perrelli chiama protoregista o istruttore di scena, con la consapevolezza che la Storia della regia sia determinata da varie fasi e da varie culture. La fase e la cultura vissute da De Fouquières erano quelle del secondo Ottocento, molto legate ai valori della scenografia, della pittura decorativa, delle prime attrezzature elettriche, dell’uso del sottopalco e della graticcia, con i quali lo studioso di Estetica doveva fare i conti e, magari, studiarne le leggi generali, in modo da differenziare la teoria dalla prassi teatrale.
Uno dei concetti che troviamo ricorrente nel saggio è quello di “effetto” che la messinscena dovrà produrre all’apertura del sipario, il cui compito non deve essere quello di meravigliare, bensì di valorizzare il significato intrinseco di un’opera.
Forse Pirandello ebbe modo di conoscere il libro di De Fouquières perché fa dire dal dottor Hinkfuss ai suoi attori, in “Questa sera si recita a soggetto”, che agli “effetti” ci penserà lui ed ancora, come annota anche il saggista francese, che l’opera d’arte finisce nel momento in cui è stata scritta, perché spetterà al regista la nuova versione che ne viene data, utilizzando, al momento opportuno, degli “effetti” che possano illudere lo spettatore.
L’attualità di questo testo va, pertanto, ricercata in quel continuo sottolineare che l’autore fa circa il rapporto tra il potere della vista e quello della mente, tra lo splendore di una esecuzione, col suo lusso esasperato, il suo gigantismo scenico e il valore delle idee e dei sentimenti, convinto che si possano ottenere risultati maggiori con spettacoli semplici, ma profondi, col ricorso al metodo analitico che, successivamente, darà vita alla regia ermeneutica quella, per intenderci, di Visconti, Strehler, Squarzina, Castri, che seppero far convivere il primato della scrittura col primato della messinscena.
Come si può intuire, De Fouquières odiava tutto ciò che sapesse di esteriorità, di eccesso, perché, diceva, danneggiano l’integrità e la spiritualità dello spettacolo, richiamando un’altra opera di Hegel: “La fenomenologia dello spirito”. Insomma, in teatro, non c’è spazio per l’esteriorità, per scenografie abbondanti, per oggetti inutili, per arredi lussuosi, dato che la messinscena deve provocare emozioni che sono i veri mutamenti dell’anima, deve, cioè, dare spazio ai sentimenti e alle passioni che dovranno coinvolgerci più della realtà. Forse, per questo motivo, non si trovò in sintonia col teatro naturalista, quello teorizzato, qualche anno dopo, da Antoine.
Louis Becq De Fouquières: “L’Arte della messinscena. Saggio di Estetica teatrale”, a cura di Franco Perrelli, Dino Audino Editore 2023, pp. 166, € 20