MILANO, sabato 23 ottobre ●
(DI PAOLO A. PAGANINI) Alla Cavallerizza, singolare e un po’ torvo spazio annesso al Teatro Litta, con mattoni e travi in bella vista, un po’ da vecchia osteria, o da luogo di complotti, si è raccolto un bel gruppo di appassionati e amici per assistere al debutto di “Shylock, “Io non sono come voi”, monologo tratto – con generosa approssimazione – da Shakespeare, a cura di Alberto Oliva (anche regista) e Mino Manni (protagonista).
Lo spettacolo è stato introdotto dal prof. Massimo Campanini, scrittore, docente e storico della cultura islamica. Ha chiarito alcuni aspetti dell’islamismo, soprattutto per condannare ingiusti pregiudizi che fanno torto a una millenaria cultura religiosa di pace e fratellanza dei popoli. L’Isis – secondo il professore – è solo uno spiacevole incidente di percorso, diciamo così. Infatti, cita il professore, nel Corano (che tutti conoscono e nessuno ha mai letto, come Mein Kampf), si legge (Sura 5/48) “Se Egli avesse voluto, avrebbe potuto fare di voi un’unica comunità. Ma vi ha fatti diversi perché possiate gareggiare nelle opere buone…”
Chiarito il pensiero islamico, siamo passati a quello ebraico, sostenuto, nello spettacolo, dal povero Shylock della penna shakespeariana, perseguitato a Venezia come dedito all’usura, e da sempre ebreo errante condannato a una vita senza pace, senza stima, senza affetti. Se arriva in un posto, è considerato un indesiderato, se poi se ne va, è visto come un traditore. In realtà, il cristiano “odia la nostra sacra razza, e in pieno mercato si fa zimbello di me, dei miei affari, dei miei legittimi proventi che lui chiama interesse (…) E io sopportavo, rassegnato, ché la rassegnazione è la divisa della mia tribù. Mi date di miscredente, di strozzino, di cane, mi avete sputato sulla mia gabbana d’ebreo. E tutto perché faccio il miglior uso del mio (… Eppure) non ha occhi un ebreo? Non ha mani organi statura sensi affetti passioni?…” Eccetera eccetera, come tutti sanno dal Shakespeare. Per poi attraversare testi di più vicina attualità, sempre sulla maledizione che incombe sugli ebrei, come il testo del lituano Zvi Kolitz, che in un libro si rivolge a Dio, e al suo ingiusto silenzio, di fronte all’orrore dell’atroce tragedia del ghetto di Varsavia…
E con tutto ciò ancora non abbiamo compreso il nesso dell’ebraismo con l’Isis e con l’Islam, come sembrava di dover capire dall’introduzione del professore.
Parlare dell’islam come metafora dell’ebraismo? Mah, un pasticcio.
Ed anche dello stesso ebraismo non si capisce un granché, se non attraverso grida urla disperazione sotto le volte della Cavallerizza, che, da osteria o luogo di complotti, è sembrata divenire patibolo o sala di torture. Solo dolore, solo persecuzione, è solo questo l’ebraismo? D’altra parte, lo spettacolo dura quarantanove minuti. Cosa si può dire o fare in un così breve excursus, se non una propedeutica per un discorso più ampio e articolato? Attendiamo.
“Shylock. Io non sono come voi”, monologo di Alberto Oliva (regista) e Mino Manni (protagonista). Al Teatro Litta, sala La Cavallerizza – Corso Magenta 24, Milano. Repliche fino a domenica 1 novembre.