
IL TEATRO COMICO, di Carlo Goldoni. Adattamento e regia Roberto Latini. Nella foto: Marco Sgrosso, Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi.
MILANO, venerdì 23 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) “Il teatro comico”: sui cartelloni l’avevo annunziata in tre atti, ma veramente era solo una Poetica messa in scena e divisa in tre parti…”, così scriveva Goldoni nei suoi Mémoires, ricordando quel fatidico 1750: “… Un anno tremendo per me… sedici commedie in tre atti, ognuna, secondo l’uso d’Italia, della durata di due ore e mezzo!“.
“Il teatro comico” fu la prima delle 16, e nacque da un’idea – non nuovissima – di teatro nel teatro. Già Molière, nel 1663, nella commedia “L’impromptu de Versailles”, rappresentava se stesso mentre spiegava agli attori le proprie idee sul teatro comico. Goldoni ne segue l’esempio, rappresentando il programma della sua riforma, con la quale eliminava le maschere della commedia dell’arte, diceva basta con il teatro all’improvviso, passando al rigoroso rispetto di un copione. Basta inutili iperboli, intrecci fasulli, dialoghi e lazzi grossolani, improvvisati in anarchica libertà per soddisfare la pancia degli spettatori.
Quale doveva essere invece il soggetto? Il mondo, la vita, la natura, trasfigurate nell’invenzione dell’immaginazione. Doveva essere portata in scena la verità sotto le spoglie della verosimiglianza, a differenza del teatro francese, dominato – secondo le teorie di Molière – dalla centralità di un personaggio, che doveva sempre apparire “ingrandito” con tutto il resto, scene, compagnia, azione, in sua funzione.
Invece, per l’Avvocato veneziano dovevano essere i vari personaggi a interagire fra di loro. Così sosterrà il capocomico Orazio, alterego e portavoce di Goldoni, nell’esporre e spiegando agli attori in prova la nuova Poetica del “Teatro comico”, con ciò distinguendo fra Mondo e Teatro (v. Atto Secondo, scena terza).
Il primo, il Mondo, è la complessa e molteplice congerie di avvenimenti, caratteri, persone, mode e costumi, nella loco composita variabilità. Il secondo, il Teatro, “insegna a distinguere ciò che è più atto a fare impressione… a far conoscere con quali colori si debban rappresentare i caratteri… quali ombre si debban usare per dar loro maggiore rilievo…“.
Parte, cioè, dall’imitazione della Natura “per dar corpo alle mie invenzioni“, là dove il verosimile è il vero della Natura, integrato nell’opera d’arte, “immaginando, inventando, vestendo le favole di allegorie, di metafore, di misteri… Il mondo è quel fecondissimo libro da cui prendo materia per dar corpo alle mie invenzioni“.
E spiega come riveste di “invenzioni” i suoi personaggi nella coralità della mess’in scena, andando a caccia di modelli per le calli di Venezia, con l’intenzione poi di divertire il suo pubblico con un “mendicume di verità“. E rivela, infine, l’intima essenza della sua riforma: “L’art cache l’étude sous l’apparence du naturel“. In altre parole, alla spiccia: solo con lo studio si raggiunge l’arte. (v. Prefazione “Commedie”. A cura di Kurt Ringger, Einaudi Editore, 1979).
Tutto questo dovevamo spiegare per dare a Goldoni quel che è di Goldoni, e a Roberto Latini quel che è di Roberto Latini, il quale, al Piccolo Teatro Grassi ha messo in scena (adattamento, regia e interpretazione) “Il teatro comico” di Goldoni, secondo Latini, cioè affondando le mani nel saporito e sapiente impasto goldoniano della sua prima delle 16 commedie, per ricavarne un’incredibile e talvolta allappante ricetta da nouvelle cuisine, ch’è tutta un’altra cosa da un fumante piatto di nostrane specialità casarecce da trattoria di campagna.
È cioè un’altra cosa, un altro spettacolo, un’altra commedia, e non il “Teatro comico”, fermo restando – onore al merito – il rispetto del testo di Goldoni, ma talmente compromesso da sovrastrutture registiche, invenzioni di gag, esagerazioni comportamentali, spettacolarità scenografiche, che non si capisce più che fine abbia fatto il buon Goldoni.
Dove era sancito chedoveva esserci il rigore della verosimiglianza, tutto viene invece ingolfato di enfasi e di fumose grandiosità, dando l’impressione di voler deliberatamente abbandonare la Poetica della riforma goldoniana, ch’è semplice e lineare, per tornare al libero arbitrio della commedia dell’arte, santificandone il ricordo in una trasfigurata, esaltante – ed esaltata – commemorazione delle sue gloriose spoglie. Ha infatti momenti di superba autorità registica, specie la seconda parte (lo spettacolo è in due parti, per due ore e mezzo con un intervallo), che ricordano, in abissale, audace lontananza, perfino certi allestimenti di Lindsay Kemp.
Un paio di temi caratterizzano il lavoro di Latini: il tormentone della famosa caccia alla mosca dell’affamato Arlecchino, gag trasfigurata in diverse varianti e filo conduttore di tutto lo spettacolo; e poi, in più occasioni, l’utilizzo di una fragorosa pistola (!), come voler metaforicamente indicare di voler far fuori gli innocenti personaggi della riforma goldoniana, quando invece un più rispettoso recupero d’un testo pur sorpassato dai tempi, dai nuovi strumenti espressivi, da altre Poetiche, rimane un glorioso capitolo della cultura teatrale.
Non era Paolo Grassi che, da queste stesse tavole, parlava del teatro come elevazione culturale e civile del popolo? Ma allora c’era ancora il socialismo. Requiescat.
“Il teatro comico”, di Carlo Goldoni – Adattamento e regia Roberto Latini. Con Roberto Latini, Elena Bucci, Marco Sgrosso, Marco Manchisi, Stella Piccioni, Marco Vergani, Savino Paparella, Francesco Pennacchia. Al Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, Milano). Repliche fino domenica 25 marzo.Informazioni e prenotazioni 0242411889