(di Paolo A. Paganini) Il teatro dell’Arte, a Milano, così in simbiosi con la Triennale, al Parco Sempione, non è un teatro popolare. Risente di una certa paludata solennità, con quell’atrio bellissimo e basilicale. A dir la verità, mette un po’ in soggezione. Così, anche gli spettacoli, che vengono celebrati sul non piccolo palcoscenico della funzionale sala circolare (in passato, né Strehler né i milanesi volevano saperne, chissà perché) risentono, probabilmente, di questa austera e trionfalistica architettura d’epoca fascista.
Anche Paolo Rossi, dunque, che ha qui portato in scena “Il colore è una variabile dell’infinito”, definito “varietà teatrale e musicale” di Roberta Torre, in un’ora esatta di rappresentazione, è apparso come intimorito, ingessato, più stupito e serioso che clownescamente ilare, più attento, misurato e sornione, quasi metafisico (ohibò). Ci è particolarmente piaciuto, perché, in realtà, “il varietà teatrale e musicale” c’entra ben poco (non bastano due – tre canzoncine). È anzi un fine spettacolo dal gusto surreale, fatto a scene e quadri, per ricordare, con leggerezza, un po’ per celia un po’ per non morir, la vita e l’opera di Pier Luigi Torre (Vieste 1902 – Milano 1989), da parte di Roberta Torre, nipote di Pier Luigi, nonché intensa ed impegnata regista di cinema e di teatro. Del nonno ingegnere, plurilaureato, amante della matematica fino al parossismo, progettista aeronautico in particolare del Savoia-Marchetti (e dunque ideatore della famosa trasvolata oceanica di Italo Balbo), docente al Politecnico, botanico (inventò la “rosa blu” nel suo giardino di Stresa), e soprattutto progettista per la Innocenti della famosissima Lambretta (che, nella motorizzazione del dopoguerra, è paragonabile solo al successo della 500 della Fiat) qui dunque la Torre ne rimmemora l’opera e la straordinaria personalità di studioso, finito tristemente (e impietosamente, ché, già tanto, la vita si sa è a volte un brutto affare) in un istituto ormai fuori di testa e rimbambito dopo un elettroshock.
Paolo Rossi lo interpreta con qualche giocosa trasvolata cabarettistica. Se ne assume anzi scherzosamente legittima identificazione. “Anch’io,dopo tutto, ho un diploma di perito chimico. Mi hanno promosso alla maturità con il giuramento che non sarei mai entrato in un laboratorio, dopo che, alla domanda del professore di dirgli che cosa indicasse la formula H2SO2, tergiversai dicendo: ce l’ho sulla punta della lingua. La sputi, pirla: è acido solforico!”
Ma a parte queste rare e felici incursioni, Paolo Rossi ha momenti di sincera partecipazione, forse di commozione, come nella scena finale dell’ospedale. Bravo. Ben coadiuvato dall’ottimo e fedele “assistente” Rocco Castrocelo e, nell’ordine, da Camilla Barbarito, Aura Falcone e Giuditta Jesu. Applausi e risate (moderate), e alla fine, tutti in scena, attori, regista e tecnici… a tempo di twist.
Repliche fino a domenica 8 giugno.
Al Teatro dell’Arte il mito della Lambretta e in sella c’è Paolo Rossi nelle vesti del suo inventore
14 Maggio 2014 by
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