(di Andrea Bisicchia) Viviamo in un’epoca di criminalità diffusa, sia per l’imperversare di bande dranghetiste, camorriste, mafiose, sia per l‘invasione di clandestini, non certo quelli onesti, ma quelli che praticano il malaffare, le cui storie criminali sono sotto gli occhi di tutti, visto che hanno trasformato in fonte di guadagno il traffico di organi, gli omicidi più efferati e più inumani, con fanciulle squartate vive. Eppure, chi fa il male, oggi, è considerato una persona normale, visto che il suo “lavoro” è ritenuto utile, perché aiuta il Pil, da alcuni personaggi del Bilderberg, rappresentato, per chi non lo sapesse, da 130 partecipanti provenienti dal campo economico, politico e bancario.
Isabella Merzagora ha pubblicato, per Cortina, “La normalità del male. La criminologia dei pochi, la criminalità dei molti”, nel quale, quasi scusandosi con Hannah Arendt, per aver parafrasato il suo libro “La banalità del male”, ci introduce in un argomento, non solo di carattere criminologico, ma anche sociologico, dato che fa distinzione tra male individuale e male collettivo, senza disdegnare l’apporto psicologico, in quanto si chiede cosa succeda, nella psicologia di un popolo, quando ha scelto di essere criminale e, quindi, quale sia stato il suo rapporto con la normalità e con la anormalità.
Addentrandosi nel laboratorio del male, Isabella Merzagora ne ricerca le tante cause, che possono essere state originate da malattie mentali, da cattiverie, da disperazioni causate dalle disuguaglianze, ma anche dalla superficialità, quando il male è prodotto dalla “banalità”. In fondo, il male, dipende sempre dall’uomo, sia quando è affetto da cause biologiche, sia quando è generato da cause sociali e, soprattutto, quando è conseguenza di ideologie totalitarie, costruite sull’odio e sulla disumanizzazione.
L’autrice distingue la criminologia dei “diversi” da quella dei “normali”, fatta di ambivalenze, di conformismo, di viltà, specie quando è a conoscenza di fatti criminali e non fa nulla per denunziarli. Dietro gli eventi criminali, c’è sempre una dichiarata differenza culturale, benché, in molti casi, i pregiudizi culturali possano creare dei mostri. In “Psicologia delle masse”, Freud sosteneva che gli impulsi a cui, spesso, le masse obbediscono, possono essere crudeli o criminali, specie se guidati da dittatori. La Merzagora ci informa sui genocidi nel mondo che hanno provocato 120 milioni di morti, contro gli 80 milioni delle due guerre mondiali. In tali casi, il male è stato prodotto dalla “ottusità” di pochi, come è accaduto durante il nazismo e il fascismo.
Può, il passato, essere maestro di vita in senso negativo? Forse, certi rigurciti di fascismo, in Italia, sono ancora da individuare nel concetto di diversità? La vera causa dei delitti, sostiene l’autrice, è da ricercare nella impossibilità di accordo fra “Noi” e gli “Altri”. Le ecatombe dei naufraghi possono avere a che fare con la criminalità? O meglio con la criminalità politica? Ma se migliaia di questi naufraghi sono dei criminali incalliti, come comportarsi? È giusto pensare che l’odio sul Web, nei loro confronti, sia dovuto al fatto che molti di loro sono dei criminali pronti a uccidere per un telefonino e a fare a pezzi ragazze colpevoli solo di essere cadute nella trappola della droga?
La Merzagora dedica l’ultimo capitolo a questi argomenti, lo fa anche con apparati figurativi che danno, al meglio, l’idea del fenomeno, analizzando i comportamenti e i sentimenti di chi, sul digitale, fa conoscere le proprie considerazioni sui gesti criminali riguardanti i casi: Mastropietro, Diene e Faoro.
Isabella Merzagora, “La normalità del male. La criminologia dei pochi, la criminalità dei molti”, Cortina Editore 2019, pp 214, euro 19,50.