Aldo, Giovanni e Giacomo in una commedia sulla vita e le sue illusioni. Perché anche di disincanto si può sorridere

(di Patrizia Pedrazzini) – Allegro, spiritoso, con momenti di grande tenerezza e quel fondo di amarezza e di malinconia che è poi la firma della “comicità” lombarda, arriva nelle sale per Natale “Il grande giorno”, ultimo lavoro di Aldo, Giovanni e Giacomo, per la regia di Massimo Venier.
Commedia (come sempre) agrodolce ma non triste, divertente ma mai grossolana, nella quale il trio appare di nuovo in grandissima forma. Certo il ritmo non è quello dei bei tempi andati, ma si sa, gli anni passano, i figli crescono e i capelli imbiancano (per chi li ha). E poi, alla fine, i nostri tre, sono mai veramente cresciuti?
Eccoci allora sul lago di Como dove, nella ricca cornice di Villa Kramer (che poi si scoprirà chiamarsi Villa Smerdi), presa in affitto per l’occasione, ci si appresta a celebrare (per tre interi giorni) il matrimonio tra la figlia di Giovanni e il figlio di Giacomo. I promessi sposi si conoscono fin da bambini, perché i due padri sono soci in affari nella “Segrate Mobili”, azienda leader nella costruzione di divani. Ovviamente tanto Giovanni è generoso, entusiasta e al limite dell’esagerazione, tanto di contro il povero Giacomo è attento ai soldi, pignolo e piuttosto taccagno. Ma cosa non si farebbe per i figli?
E allora vai con l’ingaggio, per colazioni aperitivi pranzi e cene, di un maître noto come “il Riccardo Muti del catering” (Pietro Ragusa), mentre per le nozze si è andati a scomodare nientemeno che un cardinale, tale Pineider (Roberto Citran), purtroppo per lui celiaco. Poi ci sono la moglie di Giacomo (Antonella Attili) e la compagna di Giovanni (Elena Lietti). E l’ex moglie di quest’ultimo, la, si favoleggia, bellissima Margherita (Lucia Mascino), attesa con il nuovo fidanzato, “una specie di Alain Delon giovane”, inglese o americano non si sa bene: Aldo. Di fatto il solito “terrone”, allegro, simpatico e giocherellone, che fin da subito piace tanto ai due promessi (e alla nonna). Ma con il cui arrivo, inutile dirlo, comincia a succedere di tutto. Gaffes a pioggia, equivoci, disastri (mai premere un pulsante che sembra lasciato lì per caso…), momenti imbarazzanti e, non bastasse, un pesante, molto pesante scheletro che, nel disagio generale, si catapulta fuori dall’armadio, rischiando di mandare a quel paese tutto: amicizie, certezze, amori, e pure il matrimonio dei ragazzi. Come andrà a finire?
“Il grande giorno” è una commedia, sì, ma non più di tanto. Certo le battute non mancano: dall’immarcescibile “ma porca di quella maledetta puttana” (si poteva farne a meno?) ai più lievi e spassosi “se quello è Alain Delon, io sono Philip Morris”, o “anche il capitano del Titanic era un professionista”. Ma alla fine la chiave di tutto è già fin da subito in quel coro, gridato a squarciagola a tavola, di “Maledetta primavera”, nella nostalgia e nel disincanto che quella canzone riesce come poche e evocare. E nella fine delle illusioni, con la quale, prima o poi, ci si trova tutti a dover fare i conti.
E allora ben venga, perché no, la figura del modesto prete di mezza montagna chiamato in extremis (dopo che il cardinale si è azzoppato) a celebrare le nozze, che mai ha officiato un matrimonio in vita sua (solo funerali, su al paesello), ma che in compenso non solo apprezza alla grande i manicaretti del maître, ma anche, con somma semplicità, elargisce a tutti la propria personalissima pillola di saggezza: “Dopo ogni fine, c’è un nuovo inizio” (gli piace tanto questa frase, la dice a ogni funerale).
Che sarà anche scontata e al limite del comico, però è vera. E se da una parte quelli che ne escono meglio sono i ragazzi, meno avvezzi ai compromessi e ai sotterfugi, e più coraggiosi nell’affrontare i temporali della vita, dall’altra non c’è tristezza, né pessimismo, nella tavolata finale dei nostri eroi, che raccolgono i cocci dei rispettivi disastri e sorridono a un futuro che chissà come sarà, ma che importa? Non è mai troppo tardi per accettare i propri errori, non rinunciare ai propri desideri e fare, con garbo, la propria piccola, grande rivoluzione.
Gradevole, tenero, equilibrato. Bello.