MILANO, domenica 5 luglio ●
(di Carla Maria Casanova) Otello buuu. Otello di Rossini, non di Verdi, assente dalla Scala da 145 anni. I primi buuu di Pereira ma questa volta buuu senza remissione. Buuu annunciati per il direttore e superbuuu all’allestimento, anche loro stra annunciati. Mi par di sentire qualcuno “Anche Ronconi…” D’accordo, Ronconi era – fu- buato per idee che non piacevano. Qui il buu è per le idee che mancano. Quelle che ci sono, sono sbagliate o patetiche. Vedi la gondola finale e l’arpa che arriva da sinistra, spinta da un attrezzista in polpe, e finisce a destra, sempre suonata dalla regolare arpista dell’orchestra, seduta su una regolare sedia. Per favore! Le trovate: Desdemona, per adeguarsi al Moro (o vuol giocare ai pellerosse?) si spalma sulla faccia manate di crema nera. Nella scena finale, appare un fondale con proiezione fotografica di una città attuale. Nessuno ci fa caso. Ma a qualcuno viene in mente di chiedere: cosa vorrà dire? L’ufficio stampa ha un bello spiegare che si tratta di un collage di immagini di molte città: significano che la storia di Otello rimane attuale. Infatti, basta sentire un telegiornale…
Ad ogni modo una nota positiva, in questo allestimento minimalista dovuto a Jürgen Flimm che ha firmato regia e scene, c’è: sarò costato niente: sono solo velari grigi a tutta altezza. Poi, in una pagina del programma di sala, si legge che “la Fondazione Milano per la Scala ringrazia i Sostenitori che hanno “generosamente contribuito” all’allestimento dell’opera”. Sono 49 (quarantanove!). E non basta: detto allestimento è coprodotto con lo Staatsoper di Berlino. Ohibò. Ma quanto costano i metri di velo?
Nonostante gli sforzi, l’allestimento dunque non è piaciuto. Flimm, peraltro già autore alla Scala di un pregevole Wozzeck (2014) aveva anticipato “non ho dimestichezza con Rossini, mi ha aiutato la compagnia di canto, tutti esperti del genere”. Si vede che i cantanti avevano già abbastanza da pensare con i loro ruoli, a volte ai limiti dell’eseguibilità.
Vediamo il versante musicale. Sul podio, il direttore cinese Muhai Tang. La prima frase del suo curriculum dice “figlio di un celebre regista cinematografico cinese”. L’ultima “insegna direzione d’orchestra al Conservatorio di Shanghai” Nel mezzo si dice che Karajan lo invitò a dirigere alcuni concerti… altri ne ha diretti a destra e a manca. Ha diretto opere a Helsinki (gran bella città). Ha diretto artisti come Rostropovich, Cecilia Bartoli…(voci maligne raccontano che proprio la Bartoli, e proprio in questo Otello rossiniano, abbia furiosamente imposto a Muhai Tang i suoi – di lei – tempi, altrimenti (lei) se ne sarebbe andata. Sarà vero?). Fatto sta che nell’Otello rossiniano alla Scala, ieri sera, Muhai Tang si è beccato i suoi sonori buu. Era lento, piatto, per nulla rossiniano.
Restano i cantanti. Un cast formidabile, per carità. Vogliamo fare le pulci? Premessa: Otello di Rossini non è quello di Verdi. Opera lunga: tre atti: 170 minuti più due intervalli di 20 minuti ciascuno. Totale = 210 minuti. Si sa che la partitura, per mano dello stesso Autore, subì confusioni, rimescolamenti, cambi, sostituzioni. Infine, le arie furono decise. Alcune sublimi, ma ci sono molti recitativi un po’ tediosi. (Tagliare? Magari..) Poi, il libretto di Francesco Berio di Salsa: demenziale in modo esagerato (pare sia esistita anche una versione a lieto fine). Il tutto inizia con una gran festa che il papà di Desdemona prepara per la figliola. Festa di nozze, nella fattispecie. Con sposo innamorato bell’e pronto. (E che sposo! Juan Diego Florez, il super bello e super premiato tenore concupito da papà, mamme, signore e signorine di tutte le platee. Mettetevi il cuore in pace: è felicemente accasato). A Desdemona comunque Florez/Rodrigo (che starebbe per il Cassio verdiano) non piace, perché lei è innamorata di Otello ossia il Moro di Venezia. Gli ha anche giurato eterna fè. Dunque niente nozze. La scena è pari pari quella del secondo atto di Lucia di Lammermoor: mentre il rito sta per concludersi irrompe Otello. Son tue cifre? A me rispondi! Lei giura che ama lui (Otello). Lui non le crede. Ci si mette anche il perfido Jago con false prove. Otello (il mega cretino del teatro universale) gli crede. Si arrabbia moltissimo. Uccide Desdemona. Sopraggiungono il papà, l’innamorato respinto e tutti quanti a dire che perdonano e acconsentono alle nozze di Desdemona con Otello ossia il Moro di Venezia. A Otello non resta che trafiggersi con una spada. Fine della tragedia. Che possa sussistere nel pubblico un minimo di simpatia per chicchessia del gruppo, è probabilità remota.
I cantanti. La distribuzione è singolare, forse unica. I ruoli principali sono: tre tenori con parti acutissime, un soprano, un basso. Otello è Gregory Kunde (che canta anche quello di Verdi) e la sua voce a quello è più affine. Qui ogni tanto si slabbra (la voce). Juan Diego Florez (osannato) alle prese con la parte acutissima ma vigorosa di Rodrigo forse nei grandi spazi della Scala fa un po’ fatica. Edgardo Rocha (Jago), be’, mi è piaciuto più di tutti. Canto spericolato e possente con voce gradevole!. Pregevole anche Roberto Tagliavini come Elmiro (padre). (A Pesaro fu l’insuperabile Samuel Ramey). Olga Peretyatko (Desdemona) l’unica cantante un po’ contestata, ha avuto qualche défaillance di intonazione, ma esegue con proprietà . Peccato che non si capisca nulla di quanto dice. E sì che parla quattro lingue perfette!
“Otello, ossia Il moro di Venezia”, di Gioachino Rossini. Direttore Muhai Tang. Repliche: martedì 7, venerdì 10, martedì 14, venerdì 17, lunedì 20, venerdì 24 luglio.
Informazioni: Tel. 02 72003744
www.teatroallascala.org