MILANO, venerdì 29 maggio ●
(di Carla Maria Casanova) “Lucia de Lammermoor” di Gaetano Donizetti alla Scala. A spettacolo finito, ci si guarda tra amici e, contemporaneamente, si dice ”Bisogna chiudere i teatri”. Sia chiaro, non è stato un insuccesso. Anzi. Al pubblico da Expo (in prevalenza giapponesi e tedeschi) lo spettacolo è piaciuto. Applausi. Ma questo tipo di melodramma deve ottenere un delirio, per essere un successo. Dunque per noi vecchi habitués “non ci siamo”. Quando in Lucia si son sentite Callas / Sutherland / Scotto/ e qualche altra e, come Edgardo, Di Stefano / Gianni Raimondi e, come Ashton, Bastianini / Cappuccilli, è un po’ dura trangugiare Damrau / Grigolo (non parliamo di Gabriele Viviani al quale forse conveniva far annunciare di non essere in perfetta forma).
I due protagonisti cantano correttamente, per carità. Quando Diana Damrau debuttò alla Scala ne “L’Europa riconosciuta” di Salieri, diretta da Muti (2005), fu rivelazione. Ma poi c‘è stata quella “Traviata”…
Qui, nella celeberrima “pazzia” qualcuno del pubblico dormiva. E Vittorio Grigolo, sempre un po’ sopra le righe, perché mai alla chiamata finale piomba in scena con un acrobatico balzo alla Ferruccio Soleri (vedi “Arlecchino servitore due padroni”) come a dire “Sono qui, eccomi, applaudite”? Ci si è domandati cosa stesse facendo.
Questa Lucia è data in edizione integralissima, con tutti i tagli aperti. Tre ore e trenta di spettacolo. Due intervalli, necessari in questo caso per far riposare il soprano che, con i tagli aperti, in totale canta per un’ora e 40 minuti. A parer mio, alle ore 22, dopo la scena-madre del matrimonio (atto secondo) che termina con la grande invettiva del tenore, battuto (cioè cornuto) e mazziato, l’opera potrebbe finire. Tanto oramai lei ha firmato, sposa l’altro e anche se non torna in scena tutta sporca di sangue, si capisce che l’avrebbe ammazzato. La storia è bell’e finita. Le pazzie liriche sono quasi sempre noiosissime. Specie se a cantarle non è una delle interpreti di cui sopra. Anche le due arie del tenore che seguono (Tombe degli avi miei e Tu che a Dio spiegasti l’ali) senza un interprete fuoriclasse, risultano inutili.
Vuoi vedere che il più interessante di tutti è stato Arturo, lo sposino, tenore Juan José de Léon?
Un po’ lento Stefano Ranzani sul podio. Ma abbiamo ascoltato tutto fino in fondo. Anche perché, in questa edizione super originale, è stata inserita, al posto dell’usato flauto, la glasharmonika o armonica a bicchieri, prevista in un primo tempo da Donizetti per dare qualche ulteriore brivido alla cadenza della pazzia. L’allestimento è una coproduzione con il Metropolitan di New York. La regia di Mary Zimmerman sposta la Scozia del XVI secolo di Walter Scott a un luogo anonimo, molto tetro come si deve, del 1800.
Peccato che Diana Damrau, per meglio entrare nel personaggio (ah, quella mania delle americane per gli strizzacervelli!) è ricorsa ai consigli di uno psichiatra. E Lucia, da normale ragazza innamorata di Tizio alla quale impongono di sposare Caio, diventa una donna schizzata piena di tic. Non c’era bisogno di tanta scienza. La odierna cronaca nera ci racconta a iosa dove la coercizione dei sentimenti possa condurre.
Teatro alla Scala. Milano. “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti. Dir. Stefano Ranzani – Repliche 31 maggio, 3,5,8,11 giugno