All’Elfo, di qua una satira di Molière (per non essere cocu, meglio una moglie oca), di là un Brecht da melodramma

Arturo Cirillo (Arnolfo) e Valentina Picello (Agnese) – foto Luca Del Pia

MILANO, mercoledì 27 febbraio (di Emanuela Dini) “La scuola delle mogli” è stata una delle opere più fortunate di Molière (1622-1673), scritta nel 1662 è stata definita una “commedia sostenuta”, che dal comico vira talvolta al drammatico, senza mai perdere di vista le critiche e il sarcasmo verso le abitudini, le manie, i vezzi della nascente borghesia francese e i suoi aneliti verso l’aristocrazia.
La trama farebbe inorridire qualsiasi donna di oggi, anche non femminista: un uomo maturo, Arnolphe, che si è sempre comportato da libertino ed è terrorizzato dall’idea delle “corna”, decide di allevare e “educare” una ragazzina al ruolo di moglie, mantenendola nell’ignoranza e destinandola a diventare sua moglie, nella piena convinzione che “sposare un’oca non ti renderà cornuto”.
E buona parte del testo è un inno alla sottomissione, all’ignoranza, al rispetto di grottesche regole da “buona moglie”. Che vanno beatamente a farsi benedire quando la fanciulla, Agnès, incontrerà un giovanotto che le farà battere il cuore. E il gioco del teatro si dipana tra intrighi, segreti, doppiezze, gioco delle parti, battibecchi, fino al lieto fine che vedrà trionfare l’amore tra i due giovani.
«Un testo tra i più moderni, contraddittori e inquieti sul desiderio e sull’amore. Dove si dice che la natura dà maggior felicità delle regole sociali, dove il cuore insegna molto di più di qualsiasi scuola», ha spiegato Arturo Cirillo, regista e protagonista, nel ruolo di Arnolphe.
La messa in scena al teatro dell’Elfo, 95 minuti senza intervallo, è colorata, dinamica e suggestiva, con una casa lineare ed essenziale che ruota su se stessa, una lunga scala di ferro che porta al primo piano dove si accede con una botola, ed è la stanza-prigione della povera Agnès.
I costumi sono lontani dagli stereotipi settecenteschi e giocano con ironia, tra parrucche sempre storte e sacche della spesa da ipermercato; le luci e la musica hanno un ruolo importante, regalando a Cirillo l’opportunità di esibirsi in assoli a passi di danza; gli attori sono tutti bravi e hanno l’aria di divertirsi un mondo a stare in scena, ma una menzione particolare va a Valentina Picello, che disegna una Agnès peperina e ironica, niente affatto sottomessa, dalla battuta pronta e da una pizzicante vitalità. Brava.
Una sala strapiena e lunghi applausi hanno giustamente premiato un lavoro godibile, accurato, ben confezionato, ottimamente recitato.

LA SCUOLA DELLE MOGLI di Molière, traduzione di Cesare Garboli. Regia Arturo Cirillo. Con Arturo Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini. Al Teatro Elfo Puccini, Sala Shakespeare- Milano. Repliche fino a domenica 10 marzo – www.elfo.org

Tournée dopo Milano: 20/31 marzo 2019 – Napoli, Teatro Mercadante; 16-17 marzo 2019 – Cesena, Teatro Bonci; 12 marzo 2019 – Urbino, Teatro Sanzio; 4/7 aprile 2019 – Ancona, Teatro delle Muse.

______________________________________

RULLANO DI NUOVO I “TAMBURI NELLA NOTTE”. MA IL SANGUINOSO DRAMMA RIVOLUZIONARIO DIVENTA UNA COMMEDIA ESPRESSIONISTA A LIETO FINE

Riproponiamo la recensione del dramma di Brecht, da noi pubblicata il 6 ottobre 2017 dopo la prima al Teatro Filodrammatici, ed ora in scena al Teatro dell’Elfo Puccini (scene, regia e attori, tutto identico al precedente allestimento). L’attuale ripresa, lunedì 25 febbraio, all’Elfo è stata salutata da una sala strapiena, con tantissimi attori tra il pubblico. Molti applausi alla fine. Bravi e convincenti gli interpreti, con una menzione d’onore a Eugenio Fea, nel doppio ruolo del padre di Anna e della cantante del café chantant. Repliche fino a domenica 10 marzo.

(di Emanuela Dini) Scritta nel 1919 da un Bertold Brecht poco più che ventenne (era nato il 10 febbraio 1898) e rappresentata per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1922, “Tamburi nella notte” è una commedia ambigua, che nasce come dramma e atto di denuncia, con riferimenti alla rivoluzione spartachista (che appunto, nel gennaio 1919, venne soffocata nel sangue, con l’uccisione dei suoi ispiratori e leader, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg), ma poi vira nella commedia e segue le vicende amorose di due fidanzati, fino a un lieto fine dal sapore molto mélo.
L’azione si svolge tutta in una notte del novembre 1918, a Berlino, mentre si prepara la rivolta. I gretti coniugi Balicke vogliono imporre alla figlia Anna un matrimonio d’interesse con l’arricchito borghese Murk, anche se la ragazza aspetta ancora il suo ex fidanzato Andrea Klager, dato per morto in guerra. Ma Andrea riappare, Anna si accorge di esserne ancora innamorata, manda a monte il fidanzamento e alla fine vissero tutti felici e contenti, con Andrea che volta le spalle alla rivoluzione e sposa Anna, anche se lei è incinta di Murk.
Raccontata così sembrerebbe più una telenovela che un’opera di Brecht, ma l’intreccio si svolge tutto sullo sfondo della rivoluzione spartachista e il testo va avanti su un doppio binario, amore e politica, privato e pubblico, ideali rivoluzionari e opportunismo borghese, con l’idealizzazione forse un po’ ingenua dei primi (in fondo Brecht aveva 21 anni) «Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione biologica» e un’acida condanna del sentimentalismo «L’amore rende scemi».
Il testo è denso, con afflati rivoluzionari, speranze sul crollo del capitalismo, raffigurazioni feroci del mondo dei piccoli borghesi e figure romantiche, come le cameriere-cantanti (e, se capita, prostitute) del café chantant berlinese, che emanano saggezza, disincanto e buonsenso. La messa in scena di Francesco Frongia, è quasi grottesca, con toni da vaudeville e una rivoluzione che non compare mai in scena, ma si intuisce, con quei rulli di tamburi del titolo, appena accennati, con le bandiere rosse arrotolate, e con i rivoluzionari – convinti? -, mah, forse sì, e con quei gretti genitori borghesi, macchiette caricaturali. Insomma, una rappresentazione sempre sul filo del comico caricaturale, che non tocca mai le corde del dramma, anche nelle scene più intense in cui ce lo si aspetterebbe.

TAMBURI NELLA NOTTE, di Bertold Brecht. Regia Francesco Frongia. Con Luigi Aquilino, Edoardo Barbone, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi. Teatro Elfo Puccini, Sala Fassbinderwww.elfo.org