MILANO, giovedì 8 ottobre –
(di Paolo A. Paganini) Crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidi, un repertorio infinito di violenze, di stupri, di abusi, di omicidi di massa, di “soluzioni finali” contro popoli inermi o in guerra, dai campi della morte cambogiani ai gulag sovietici. Poi, il diritto penale e i tribunali internazionali ci hanno messo una pezza con condanne che ormai non avrebbero rimediato ai milioni di morti, di desaparecidos in Argentina (30.000 persone scomparse nel nulla), di milioni di ebrei e intellettuali nei campi di sterminio tedeschi, di dissidenti politici rumeni sotto la dittatura di Ceausescu, di slavi, di iracheni, di siriani, di africani…
A questa lunga e incompleta lista di orrori aggiungeremo la guerra cecena, nota come guerra del Caucaso settentrionale, con la quale l’esercito della Federazione russa volle riconquistare il controllo dei territori occupati dai separatisti ceceni. Furono lasciati sul campo 25.000 morti civili. C’è chi parla di 50.000 tra morti, feriti e dispersi. Imponenti furono anche le perdite russe. La tragedia fu acuita anche e soprattutto dal mancato rispetto dei diritti umani (condannati dalla comunità internazionale). Le ostilità furono dichiarate ufficialmente concluse nel 2009.
Fu l’ultimo tragico, immane episodio di una terra, la Cecenia, da sempre tormentata dalle invasioni straniere. Dagli Ottomani ai Cosacchi, dall’autorità imperiale russa, che fin dal 1817 pretese di espandere il proprio controllo sul territorio ceceno, per garantirsi le vie d’accesso dalla Georgia alle regioni della Transcaucasia. Da allora, per non addentraci oltre, fu un lungo succedersi di soprusi, di omicidi, violenze, stupri, rapine, rapimenti, attentati terroristici, attacchi suicidi. Paura, insicurezza, povertà, traumi psicologici (denunciati da Medici Senza Frontiere nel 2006) accompagnarono per tutta la vita la maggioranza di inermi e incolpevoli ceceni. Fino agli anni Duemila.
Fino all’incorruttibile giornalista russa Anna Politkovskaja.
La premessa ci è servita per comprendere la coerenza, la sensibilità, il coraggio, l’impegno morale e professionale, il martirio della Politkovskaja, in un ambiente, quello ceceno, da sempre considerato un “ripostiglio” della Russia. Un popolo disprezzato e visto come un “fagotto” senza nessun valore.
Impegnata sul fronte dei diritti umani, Anna Politkovskaja si prese a cuore le sofferenze degli oppressi, con reportage dalla Cecenia (“la cosa più importante è continuare a raccontare quello che vedo!) e con articoli fortemente critici sulla “Novaja Gazeta”, quotidiano russo di impostazione liberale, contro il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Minacce, lettere anonime, offese, critiche, tentativi di avvelenamento, non fermarono l’implacabile martellamento delle suoi articoli di condanna contro l’esercito e il governo russo, colpevoli di avere infranto lo stato di diritto in Cecenia e in Russia.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja viene fatta tacere per sempre con quattro colpi di pistola davanti all’ascensore della sua abitazione, mentre rientrava con le borse della spesa. In uno dei suoi ultimi interventi in un convegno sulla libertà di stampa, nel 2005, disse: “Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano…”.
Premonitrice.
L’8 ottobre, la polizia russa prelevò il computer sul quale la giornalista stava scrivendo un lungo articolo sulle torture commesse dagli apparati di sicurezza ceceni. Non se ne seppe più niente.
Orbene, in un intenso spettacolo a lei dedicato, intitolato (non occorrono commenti) “Donna non rieducabile”, un progetto di e con Elena Arvigo, a mo’ di memorandum a cura di Rosario Tedesco, scritto da Stefano Massini (testo ispirato ai reportage della giornalista russa, con quanto ed ancor più abbiamo sopra accennato) ha debuttato al teatro Out Off, con un’accoglienza da grandi occasioni, che fa onore sia al teatro sia al pubblico, in quest’epoca di miserie morali e di spettacoli mediocri.
E c’è da dire che la Arvigo ci mette l’anima. Sulla scena per un’ora e un quarto, si porta appresso, come oggetto di scena, il pesante infisso d’un ascensore o d’una porta, che talvolta sembra la Croce di Cristo sul Golgota. Anche Anna Politkovskaja ebbe il suo Calvario. Ai piedi di questo infisso cadono le borse della spesa, cade Anna Politkovskaja. E se poi lo smuovi, lo raddrizzi, lo pieghi, lo stendi, l’infisso puoi immaginare di farlo diventare quello che vuoi, un punto d’appoggio, un tavolo, una panchina, un sepolcro… Brava e generosa l’Arvigo, che si prodiga con contagioso trasporto. Applausi intensi e commossi alla fine.
Lo spettacolo, che sarà replicato fino a domenica 25, sarà supportato da tutta una serie di iniziative sociali, politiche e culturali, in memoria di Anna Politkovskaja.
www.teatrooutoff.it
Tournée
Roma – dal 2 al 15 maggio (Teatro Argot)
Napoli – 4 e 5 dicembre (Teatro Nest)
Brescia – novembre (Wonderland Festival)
Mestre – novembre
Lunezzano – gennaio
Reggio Emilia – febbraio (Teatro Mamimò)