MILANO, mercoledì 16 marzo ► (di Paolo A. Paganini) Quarant’anni fa c’è stato un celebre e fatale incontro: il drammaturgo e poeta tedesco di Sassonia, Heiner Müller (1929-1995), erede eretico di Bertolt Brecht (ma con non gratuite familiarità con Beckett e con Artaud), s’incontrò con il drammaturgo e poeta inglese di Stratford, William Shakespeare (1564-1616), con il quale si era però già imbattuto nel ’65 con “Philoktet” e nel ’72 con “Macbeth”, che Müller ritrascrisse con parodistica ispirazione e consistente successo.
Ma ora, nel 1977, con “Hamletmaschine”, più che un incontro con il Bardo, è stato uno scontro di due mondi, di due poetiche, sul piano teatrale e sociale. Qui la vena parodistica s’è prosciugata. C’è poco da ridere.
Per Shakespeare, l’Amleto è una tragedia dell’angoscia morale e dell’incapacità di conciliarla con l’azione, è la frantumazione di un’anima combattuta tra uno spasimo di giustizia, per vendicare l’assassinio del padre, e una esitante remissione, forse dettata dalla prudenza, ma, più ancora, dall’incapacità di por mano al ferro contro la propria libidinosa madre e il suo viscido ganzo.
Müller, dal canto suo, oppone un Hamlet politicizzato, devastato dall’incurabile male del pessimismo ideologico, lacerato fra la constatazione d’un degenerato totalitarismo comunista e la devastante massificazione d’un assurdo capitalismo. Da qui discende lo stesso pessimismo nei confronti del teatro (inimmaginabile in Shakespeare), che “ha perso il suo rapporto con la società, diventato solo una gara di bravure e di eccentricità fra registi” (concetti desunti da una intervista del 1988).
Ma veniamo al più immediato incontro fatale Müller-Shakespeare, propiziato e promosso, ora, dalla regista Pūjādevī (diplomata nel 1993 alla Civica Scuola d’Arte drammatica “Paolo Grassi” e con un medagliere di numerose esperienze in ambito teatrale, cinematografico e televisivo) con, in scena all’Out Off, Luca Pasquinelli ed Eleonora Cecconi, impegnati allo spasimo in una performance di sperimentali, inquietanti e violente suggestioni drammaturgiche.
Il progetto registico mette a confronto brani dell’Amleto di Shakespeare con quadri dell’Hamletmaschine di Müller: lacerti di due frantumazioni drammaturgiche che qui, in poco più di un’ora, trovano un lodevole impasto (non parleremo di unità) nello spettacolo “Hamlet und Ophelia Befreit” (che vorrebbe dire, più o meno, Amleto e Ofelia liberati).
A mo’ di esempio, per capirci meglio, prenderemo, fra i tanti, il frammento dell’incontro di Amleto con la madre Gertrude.
Shakespeare: “… All’età vostra già si è placato il furore di luglio… Il sangue obbedisce al giudizio… Quale demonio vi ha così truffato?… O vergogna, dov’è il tuo rossore?… Arrosolata in un letto di corruzione tra tanfate di sudaticcio e fetori di lardo rancido; e con parolette sdolcinate fare all’amore sopra a un mucchio di letame…”.
Già Shakespeare non andava leggero.
Müller si fa ancora più livido, brutale, macabro, blasfemo.
“… Mia madre… i suoi seni sono un letto di rose, il grembo la fossa dei serpenti… Ti farà tornare vergine, madre, perché il re possa godersi una notte al sangue… Il grembo materno non è una via a senso unico. Ora ti lego le mani dietro la schiena, perché mi disgusta il tuo abbraccio col velo da sposa… Ora devi urlare…”.
Lascio lo scabroso seguito alla fantasia dei lettori e all’attenzione degli spettatori, ai quali raccomandiamo, cum grano salis, questo breve ma intenso spettacolo, che anche in Müller si limita a una decina di pagine, ricche di fantasmiche apparizioni di personaggi (e di riflessioni sul ruolo del teatro e dell’attore), ma aperte a mille possibilità registiche e interpretative.
Qui, ora, è tutto concentrato sui due protagonisti, in una simbiosi di abilità attoriali. Luca Pasquinelli è Amleto/Nostro contemporaneo, pervaso di nevrosi, di disperate inquietudini, di deprimenti pessimismi. Eleonora Cecconi è Ofelia/Gertrude/Donna di strada, tra seduzioni, dolcezze e malvagie violenze. Entrambi in una esasperata gara di generosità interpretativa da elogiare incondizionatamente (ma avrei tagliato il cabarettistico riferimento a Milano, troppo facile, è come sparare sulla Croce Rossa).
Le provocazioni e le metafore abbondano ma, essendo finalizzate a una intelligente riflessione, non sono sprecate. La performance termina con un abbraccio. Più per disperazione che per amore. Non è sempre così, quando si avverte la fine?
“HAMLET UND OPHELIA BEFREIT”, progetto e regia di Pūjādevī, con Eleonora Cecconi, Luca Pasquinelli. Al Teatro Out Off, via Mac Mahon 16, Milano. Repliche fino a domenica 20. Lo spettacolo – tuttora in fase di trattative – dovrebbe toccare le piazze di Bari, Taranto, Lecce, Napoli.