Allucinante atto unico di Genet. Un thriller di amore-odio di due paranoiche “serve” verso la padrona. Tragico finale noir

Manuela Mandracchia, Vanessa Gravina, Anna Bonaiuto in “Le serve” di Jean Genet (foto Tommaso Le Pera).

MILANO, mercoledì 4 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Eh, sì, il signor Genet aveva un bel dire, quando spiegava che le sue “Bonnes” (Le serve) non dovevano essere lette come una pièce realistica, ma che, anzi, erano da allestire come una sorta di favola, cioè in quella sospensione interpretativa tra il sogno e la realtà. “Le serve”, allestite ora al Piccolo Teatro Grassi, contravvengono le indicazioni dell’Autore. E diciamo subito che la cosa non ci è dispiaciuta.
Per la storia, due date.
Questa cruda e inquietante fiaba alla Grimm è del 1947. Nella stessa data nacque il Piccolo Teatro, dove, quasi vent’anni dopo, nel 1976, Strehler rappresentò il suo primo e unico Genet, “Le balcon”, apologetico rituale su casini, con uno strepitoso staff attoriale (De Carmine, Tarascio, Carraro, Graziosi, Ricci, Proclemer ecc). Ora, nel 2017, si ripete proprio qui, in Via Rovello, un altro rituale, quello della paranoia (Le serve). E se, nel Balcon, tra realtà e fantasia, si scatenavano le allucinazioni d’un bordello, qui, ora con “Les bonnes”, si assiste al fenomento psichico di un’immedesimazione, di possesso di personalità.
Tutto in linea con la discussa personalità di Jean Genet, il dannato Genet, ladro, omosessuale, Legionario in Africa, abituale frequentatore di prigioni, tossico, pornografo, celebratore dei casini (“il casino è un teatro che tutti dovrebbero frequentare”), ospite, quando poteva, nella sua vita vagabonda, di albergacci d’infimo ordine, possibilmente vicino alle stazioni, da dove era pronto a partire per altre destinazioni, con la sua sgangherata valigetta piena di appunti, abbozzi di romanzi, poesie, lettere, che conservava come reliquie, ossessionato dalla bellezza della parola, ammirata, elogiata e condivisa, quando, ormai consacrato alla gloria parigina, frequentava amici come Sartre, Matisse, Simone de Beauvoir.
Nelle “Serve” non ci sono bordelli, né l’odio razzista di “Les Nègres”, né il problema della colonizzazione di “Les Paravents”, ma la fatua ed esibita ricchezza di Madame nel suo fastoso palazzo. Amata-odiata, dalle due umili cameriere del titolo, le sorelle Claire e Solange. L’atto unico (un’ora e trenta) al Piccolo Teatro Grassi, innesta un altro argomento caro a Genet: lo sfruttamento degli umili da parte dei padroni, la tirannia ammantata di bonomia e condiscendenza dei potenti, dei privilegiati, nei confronti degli oppressi, dei deboli, dei dimenticati.
La trama in breve. Madame è spesso assente con l’amante. Le due serve ne approfittano per scatenare la loro “liberatoria” paranoia, il loro delirio di fingersi, alternativamente, serva e padrona, indossando gli abiti, i gioielli, gli indumenti di Madame, in un processo psichico di immedesimazione, di sovrapposizione dei caratteri, un transfert della personalità (prima scansione, stupenda). Ma la situazione si fa insopportabile per la presenza di quell’amante scomodo, che vogliono allontanare. Lo denunciano con una lettera anonima. Viene arrestato, finisce in prigione. E la Serva-Madame si sente finalmente liberata (seconda scansione). L’amante però viene rilasciato in libertà provvisoria. La situazione ora rischia di precipitare. La grafia della lettera anonima potrebbe essere facilmente riconosciuta. Decidono di uccidere Madame, avvelenando il suo solito infuso serale di tiglio (terza scansione). Portano l’infuso avvelenato a Madame. Ma lei non beve. Corre invece dall’amante liberato per festeggiare tutta notte a champagne. Si presenta per le Serve un’altra occasione per indossare, ancora una volta, le ricche vesti di Madame. Ora, la serva è diventata Madame. Ma non doveva morire? (Quarta scansione. Che suspense, che formidabile noir).
Per concludere, torniamo a noi. Si potevano, oggi, seguIre le indicazioni di Genet? Si poteva, dopo settant’anni di crudo realismo sociale, e teatrale, farne favola, ancorché livida e cruda, tra sogno e realtà, in tempi così smagati, spoetizzati, cinici e indifferenti? E allora, che il regista, Giovanni Anfuso, ne abbia fatto un inquietante, rapinoso thriller, in un crescendo di climax, come abbiamo cercato di indicare, più sopra, con le nostre “scansioni”, lo condividiamo senza riserve. E, forse, non avrebbe potuto realizzarlo con tanta scatenante crudezza, senza la presenza (di classica autorevolezza), di Vanessa Gravina (Madame), Manuela Mandracchia (Claire), Anna Bonaiuto (Solange). Affascinanti. Pur con qualche squilibrio di vocalità. Pubblico entusiasta.

“Le serve”, di Jean Genet, traduzione Gioia Costa, regia Giovanni Anfuso. Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello 2, Milano. Repliche fino a domenica 15 ottobre.
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
0242411889 – www.piccoloteatro.org