Altro classico in seconda lettura. Cazeneuve: dal rito al mito, dall’azione al racconto. Se i tabù non ci mettono lo zampino

16.8.16 andrea, cazeneuve(di Andrea Bisicchia) In un momento in cui gli studi sul mito e sul rito vanno moltiplicandosi in maniera esponenziale, ricordare, come seconda lettura, un classico di Jean Cazeneuve (1915-2005): “La sociologia del rito”, Il Saggiatore, può aiutarci a rintracciare temi e motivi del passato validi ancora oggi.
Come è noto, il sociologo, in generale, si interessa dei comportamenti collettivi che possono essere classificati sia nell’ambito dell’irrazionale che in quello del razionale e che si manifestano, prevalentemente, nella sfera della ritualità, che è contraddistinta dall’azione, a differenza del mito, che si manifesta attraverso il linguaggio, nel senso che racconta storie che successivamente traduce in atti simbolici.
Il rito, al contrario, non racconta storie perché agisce, ovvero compie delle azioni, spesso ripetitive, per esorcizzare tutto ciò che si manifesta in forma ostile. I riti primitivi nacquero proprio con l’intento di difendere i popoli dalle manifestazioni ostili della Natura che, a differenza dei moderni, sempre pronti a escogitare mezzi tecnologici come armi di difesa, per proteggersi si mascheravano, ballavano, compivano sacrifici accompagnati da cerimonie legate a credenze che si riferivano al soprannaturale, ma che diventavano anche abitudini sociali.
L’autore, che è stato docente alla Sorbona, sulla scia di maestri come Lévy-Bruhel, Marcel Mauss, Levi-Strauss, compie un viaggio nella natura e nella funzione del mito, alternando il metodo storicistico con quello comparativo, riflettendo sul perché l’umanità abbia fatto ricorso al rito fino a influenzarne la stessa struttura sociale. Successivamente ne ha analizzato le azioni simboliche, quelle che permettono di modificare e di manipolare il trascendente quando si presenta come impurità, generatrice di angoscia, in quanto minaccia l’ordine sociale e mette in crisi le regole necessarie che permettono alla condizione umana di non vivere ansiosamente. Per questo motivo, l’impurità si trasforma in infiniti tabù che hanno a che fare con la proibizione che, a sua volta, genera disuguaglianza perché incapace di arginare l’impuro, il quale, per la sua anormalità , sfugge alle regole di cui il gruppo sociale ha assoluto bisogno, consapevole del fatto che il tabù crea l’antiregola che, a sua volta, trasforma l’ordine in disordine.
Cazeneuve sa che le potenze soprannaturali sfuggono alle regole sociali, tanto che gli uomini sono costretti a ricorrere al rito per ristabilire una forma di equilibrio, ma anche alla magia che, però, non ostacola le regole, benché il rito magico tragga la sua efficienza da ciò che è anormale o insolito, avendo come fine la ricerca della purificazione e del ripristino dell’ordine sociale. Non per nulla, il fenomeno religioso va concepito come ipostasi della coesione sociale, poiché si assume il compito di sacralizzare l’uomo e di metterlo al sicuro da ogni impurità. L’autore si sofferma anche sui miti negativi, su quelli di iniziazione, sulle cerimonie, sull’uso tecnico della potenza numinosa da parte della religione, attraverso la quale, la condizione umana può partecipare a un principio che la supera, ovvero col trascendente con cui comunica attraverso la preghiera, l’offerta, il sacrificio, considerato come sublimazione della religiosità, specie quando è il dio che si sacrifica e che, attraverso la sua morte, chiama gli uomini a elevarsi dalla loro condizione e a sconfiggere ogni tendenza antitetica in nome della riconciliazione. La domanda che viene spontanea è questa: in un periodo di secolarizzazione come il nostro, è ancora possibile ricercare nel rito i potenziali della religione che si sono depositate in forme simboliche?

Jean Cazeneuve, “La sociologia del rito”, Il Saggiatore, p. 399, 1974