MILANO, giovedì 14 aprile ► (di Paolo A. Paganini) Ha un bel dire Shakespeare che “noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Ma i sogni, se talvolta possono essere angeli consolatori, portatori di letizia e conforto, altre volte possono tramutarsi in demoni, suscitatori di tormento e angoscia. Di incubi, insomma.
“Arancia meccanica” è un incubo, l’incubo del male e della violenza, fini a se stessi, senza scopo, solo per il piacere del male e della violenza.
Kubrick, che nel ’71 ne fece un memorabile film, distruttiva parabola di un’umanità alla deriva, prospettava un futuro senza speranza, come un'”Arancia meccanica” destinata a diventare “Arancia a orologeria”, in un inarrestabile e inevitabile crescendo di follia, fino all’esplosione di violenze senza più remore e con la definitiva catastrofe di tutti i valori morali.
Kubrick si era ispirato al libro di Anthony Burgess (1962), che a sua volta lo ridusse ad opera teatrale. Il succo rimane uguale: la violenza di bande di ragazzi, che, sotto gli effetti di allucinogeni, si divertono a colpire con inaudita violenza inermi cittadini scelti a caso, fra stupri, rapine e omicidi. Soprattutto il capo di una banda di giovane malfattori, Alex, è il più spietato. Finché non viene catturato dalla polizia e costretto a “una cura di condizionamento del comportamento”: viene cioè sottoposto alla visione di filmati di inaudita violenza e contemporaneamente trattato con una cura farmacologica, tutto ciò per procurargli un malessere fisico come reazione a ogni forma di violenza. Una volta “guarito” viene rilasciato come un automa inoffensivo.
Ma fino a quando dureranno gli effetti della cura?
Nella risposta bifocale, due differenti finali nel film e nel romanzo, uno distruttivo, l’altro con un filo di speranza. Ma rimane predominante un denominatore comune: un’estetica del male, portatrice di un’ironia insopportabile nella sua beffarda descrizione delle crudeltà, come scherzacci goderecci e “innocenti”, perché irresponsabili, come bambinate di giochi sadici, come sono soliti fare i bambini. Sappiamo che non è così. Ma se sottraiamo i contenuti morali alla descrizione del male, svuotiamo un’opera di ogni possibile indignazione. La descrizione d’un cancro o di una polmonite non è più scandalosa della descrizione del male o della violenza.
Venendo pertanto a considerare l’operazione di “Arancia meccanica”, di Anthony Burgess (attenzione, non “da Stanley Kubrick”), in scena al Teatro Carcano, prodotta dalla Fondazione Teatro di Napoli, viene da chiedersi se questo caotico aggrovigliarsi di piani (stroboscopici, al rallenty, accecanti, assordanti, foneticamente svuotati di accessibile comprensibilità in uno slang anglo-russo, ossessivamente esasperanti, mostruosamente dilatati in grotteschi e diabolici balletti, musicalmente deflagranti) sia da ritenersi semanticamente corretto o inutilmente fuorviante. È pur vero che il troppo stroppia, e questo è l’aspetto negativo. Ma è altrettanto vero che l’allestimento di un’ora e quarantacinque senza intervallo è giustificato, che si voglia o no, dal tentativo – legittimo sperimentalismo – di cercare di vedere l’azione attraverso gli occhi e la mente di Alex, come essere dentro la mente di Alex. E scoprire la scatenata accensione dei suoi neuroni impazziti. Così vede e sente Alex. E così si spiegano gli eccessi di un allestimento altrettanto folle e sgradevole, perché così doveva e deve essere. Gli spettatori sono avvertiti. Un plauso alla generosa dedizione degli interpreti, bravi fino allo spasimo, a cominciare da Daniele Russo (Alex) e proseguendo con tutti gli altri, distribuiti anche in più parti, sulle basi musicali di Marco Castoldi, in arte Morgan, altrettanto pertinenti nell’economia dello spettacolo.
Si replica fino a domenica 24 aprile.
“ARANCIA MECCANICA”, di Anthony Burgess, con Daniele Russo, Sebastiano Gavasso (Dim), Alessio Piazza (Georgie), Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, Bruno Tramice – Scene Roberto Crea – Costumi Chiara Aversano – Luci Salvatore Palladino – Musiche Morgan – Regia Gabriele Russo – Al Teatro Carcano, corso di Porta Romana, 63 –Milano