VENEZIA – La grande mostra multimediale MAGISTER GIOTTO, in occasione delle Celebrazioni dei 750 anni dalla nascita GIOTTO (Colle di Vespignano 1267 – Firenze 1337), è la prima delle tre esposizioni che compongono la trilogia MAGISTER – annualmente dedicate a grandi Maestri dell’arte italiana: GIOTTO (tardo Medioevo), CANOVA (Neoclassico, estate 2018) e RAFFAELLO (Rinascimento, estate 2019), negli spazi della monumentale Scuola Grande della Misericordia di Venezia, dal 13 luglio al 5 novembre 2017. Il progetto espositivo – di alto rigore scientifico e impegno scenografico e filmico – fa parte del format MAGISTER – prodotto da Cose Belle d’Italia Media Entertainment per promuovere il pensiero e l’arte italiana a livello internazionale. Ogni mostra prevede la collaborazione di Comitati Scientifici costituiti dai principali studiosi di ogni artista per coniugare in maniera originale e innovativa ricerca artistica e tecnologia multimediale con le ulteriori collaborazioni di autori della cultura italiana, come musicisti, scrittori, attori, scenografi per creare percorsi culturali unici e contemporanei.
La mostra MAGISTER GIOTTO ha la direzione artistica di Luca Mazzieri, autore e regista, e la direzione esecutiva di Alessandra Costantini, architetto e progettista.
La mostra è allestita negli ampi spazi della Scuola Grande della Misericordia – per un totale di 28.000 metri cubi (il secondo spazio veneziano per ampiezza dopo Palazzo Ducale). Il percorso espositivo (della durata di circa 45 minuti) si snoda tra il piano terra e il primo piano, nei quali il visitatore, è accompagnato dalla voce di Luca Zingaretti per la narrazione dei testi, e dalla drammaturgia musicale originale del compositore contemporaneo Paolo Fresu.
La produzione artistica di Giotto è narrata attraverso un percorso verbale – visivo – musicale nel quale verrà spiegata ed approfondita la rivoluzione compiuta dalla sua opera nel tardo Medioevo, che ha rinnovato l’arte occidentale aprendo la strada al Rinascimento verso l’età moderna.
Scuola Grande della Misericordia, Sestiere Cannaregio 3599 – 30121 Venezia
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Konrad Mägi, un inquieto giramondo, difficile e insofferente, ma capace di trasmettere con il colore gioia e ottimismo
ROMA – In concomitanza con l’avvio del Semestre di Presidenza Estone dell’Europa, l’Eesti Kunstimuuseum – Museo nazionale d’arte, Estonia e l’Ambasciata dell’Estonia in Italia promuovono, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la prima ampia mostra europea su Konrad Mägi (1878 – 1925), uno dei maggiori artisti del Novecento estone.Per il pubblico italiano Mägi sarà una clamorosa riscoperta. Per molti versi Mägi resta un artista e un uomo difficile da collocare negli “ismi” di quegli anni. Si confronta con tutti, nelle sue opere ne sfiora alcuni, l’espressionismo fra tutti, ma non ne fa proprio nessuno. Così come non si appiattisce, pur amandola, sulla tradizione artistica estone. È un artista originale, unico nel panorama continentale del momento. Anche perché del tutto personale era il suo approccio con la pittura, arte con la quale si misurò per meno di un ventennio, a partire dal 1906 quando, abbandonata la scuola a San Pietroburgo, si rifugiò alle Isole Åland, in quella che era una specie di comune di musicisti, scrittori, pittori e uomini liberi. Poi il soggiorno a Parigi, quello in Normandia e, ancora, in Norvegia. Uomo fortemente irrequieto, problematico, instabile, Mägi torna in Estonia a partire dall’estate del 1912. Qui fu uno dei rifondatori di Scuola d’Arte di Pallas, che diventa un campus per decine di artisti. L’ambiente naturale di Saaremaa, dove soggiornò per periodi alle terme, risultò straordinariamente consono alla sua pittura. A stimolarlo non era la visione romantica, sentimentale della natura, ma la percezione del paesaggio, di boschi, prati e acque, colti come potente sintesi di bellezza e potenza. Pochi anni e Mägi viene colto da nuova irrequietezza e, ai primi del 1920, ricomincia a peregrinare in Europa. Visita Venezia, Capri e Roma. Il sole, la luce, i colori del Mediterraneo sembrano catturarlo ma l’artista continua a misurarsi con i problemi di una complessa vicenda umana, in costante difficile equilibrio. La morte prematura, nel 1925, conclude l’esistenza d’un artista intenso, complesso, difficile, eppure capace di trasmettere, con i suoi quadri, allegria, positività, gioia, in un trionfo di colori brillanti e potenti, sia negli amatissimi paesaggi sia nei potenti caratteri dei ritratti.
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Grandi del passato e contemporanei a confronto con l’opera di Marino Marini. Una prima restrospettiva in dieci sezioni
PISTOIA – Con il titolo “Marino Marini. Passioni visive” la Fondazione Marino Marini propone, del Maestro, la prima retrospettiva. L’esposizione, che si terrà in Palazzo Fabroni a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, si presenta come uno dei momenti di punta delle Celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della Cultura 2017. Dopo Pistoia, la mostra si trasferirà alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dal 27 gennaio al 1 maggio 2018. “Manca ancora, nella vicenda espositiva e nella letteratura scientifica su Marini, un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua ricerca di scultore“, afferma la Direttrice della Fondazione Maria Teresa Tosi. “Lo stato odierno degli studi sembra richiedere questa prospettiva: l’unica che può restituire all’artista la sua posizione di assoluto rilievo nella vicenda del modernismo novecentesco internazionale. Da qui è nata l’idea di questa mostra che vuole ripercorrere tutte le fasi della creazione artistica del Maestro, dagli anni Venti agli anni Sessanta”. La mostra si articola in dieci sezioni, tutte caratterizzate dal raffronto tra le opere dello scultore pistoiese e quelle di altri grandi del passato o di suoi contemporanei. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929 che fu un passaggio determinante della sua svolta arcaista, si misura con una testa greco-arcaica da Selinunte e con un coperchio figurato di una sepoltura etrusca.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul soggetto del nudo maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere capitali del medesimo tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, Marini reinventa il significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato, specialmente all’arte egizia, da cui desume la lezione di una volumetria pura, intrinsecamente monumentale. Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da una originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si confrontano in mostra con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le maggiori proposte europee del tempo nella difficile partita di trasformare il corpo femminile in una forma astratta. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra proporrà confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei.
Info:
www.fondazionemarinomarini.it
Prima retrospettiva alla riscoperta d’un artista “dimenticato”: Francesco Verla, un protagonista del Rinascimento veneto
TRENTO – A mezzo secolo dalla pubblicazione dell’unica indagine sull’artista, allora curata da Lionello Puppi, il Museo Diocesano Tridentino propone la prima retrospettiva su Francesco Verla (1470 – 1521). “È un risarcimento dovuto a un grande protagonista del Rinascimento tra Veneto e Trentino, a torto dimenticato”, afferma Domenica Primerano, Direttrice del Tridentino. Nelle sale del Museo Diocesano (che valgono da sole la visita) si potrà, per la prima volta, vedere riunita la gran parte delle opere di Verla: dalle soavi pale d’altare ispirate all’“aria angelica et molto dolce del Perugino” ai fregi a grottesche, di cui era uno specialista. L’esposizione avrà inoltre un’articolazione sul territorio con i cicli affrescati nella chiesa di San Pantaleone a Terlago e sulle facciate di Casa Wetterstetter a Calliano. A dar conto di un artista tutt’altro che secondario nell’arte italiana ed europea a cavallo tra Quattro e Cinquecento, “alfiere del Rinascimento” in territorio alpino.
www.museodiocesanotridentino.it
Un secolo “breve”, ma tra i più fecondi e tumultuosi dell’arte italiana, iniziato tragicamente con la catastrofe della guerra
VIAREGGIO – La Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna propone, nella sua sede accanto al Lungomare di Viareggio, dal 7 luglio al 5 novembre prossimi, una mostra di singolare interesse, dal titolo “Il secolo breve” (si richiama al celebre saggio pubblicato nel 1994 da Eric Hobsbawm). Il sottotitolo della Mostra, “Tessere di ‘900”, vuole invece dar conto di una esposizione che propone una serie di testimonianze del Secolo trascorso: tessere d’un mosaico che, letto nel suo insieme, evidenzia un periodo artistico tra i più fecondi e creativamente tumultuosi dell’arte italiana. Un buon numero delle 50 opere riunite per la mostra proviene da collezioni private, esposte al pubblico per la prima volta. Nel percorso espositivo, concepito da Susanna Ragionieri, le nature morte di Thayat, Balla, Severini e De Pisis emergono per il sentimento di classicità di cui sono pervase, mentre le figure di Spadini e Campigli si contrappongono, pur nella comune impronta parigina, per l’evocazione di un passato colto e dal cuore antico. Il paesaggio, infine, si offre nei volti più variegati attraverso le suggestive visioni di Rosai, Lloyd, Guidi e Paresce, a cui si aggiungono Morandi, Guttuso, Viani e De Chirico. Eric Hobsbawm, in “Il secolo breve”, condensa il Novecento in tre periodi, non esitando ad indicare il primo, compreso tra il 1914 e il ’45, come quello della “catastrofe” per le ferite sociali e le crisi economiche, ma fecondo, rivoluzionario e ricco di fermenti. Portando la lancetta del tempo al 1909, all’alba di quello che qualcuno ha definito anche “il secolo delle speranze deluse”, quando Marinetti pubblica su “Le Figaro” il Manifesto del Futurismo, ci si avvede che la pittura italiana, lasciatasi alle spalle la lezione degli Impressionisti e di Cézanne, si apre ad uno dei momenti più dirompenti e felici, una trasformazione visiva scaturita dallo stesso Futurismo e dalla Metafisica, nonché al recupero della forma operato da Novecento, movimento che, riallacciandosi alla tradizione, ha elaborato una nuova idea figurativa in grado di dialogare con il presente.
Centro Matteucci per l’Arte Moderna – via G. d’Annunzio, 28 – Viareggio.
Dal 7 luglio al 5 novembre
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Monaco, Vienna, Praga e Roma. Ora, per la prima volta, le quattro Secessioni in un unico panorama storico-artistico
ROVIGO – Negli ultimi anni in Italia il tema delle Secessioni è stato indagato e presentato in rassegne prevalentemente dedicate al singolo episodio viennese e a quello romano. “Secessione. Monaco Vienna Praga Roma. L’onda della modernità”, la mostra a cura di Francesco Parisi in programma a Rovigo, a Palazzo Roverella, dal 23 settembre al 21 gennaio 2018, propone per la prima volta un panorama complessivo delle vicende storico-artistiche dei quattro principali centri in cui si svilupparono le Secessioni: Monaco, Vienna, Praga e Roma. Evidenziando differenze, affinità e tangenze dei diversi linguaggi espressivi nel primo vero scambio culturale europeo, basti pensare a Gustav Klimt e a Egon Schiele che esposero alle mostre della Secessione Romana o a Segantini che partecipò alle annuali mostre viennesi. Nella rassegna vengono messi in evidenza gli esiti modernisti della secessione monacense, il trionfo del decorativismo della secessione viennese, il visionario espressionismo del gruppo Sursum praghese fino al crocevia romano e alla sua continua ricerca di una via altra e diversa. L’esposizione promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, si avvale della prestigiosa collaborazione delle principali istituzioni museali europee, dall’Albertina di Vienna alla Klimt Foundation, dal Museo Villa Stuck di Monaco alla Narodni Galerie di Praga e di altre importanti collezioni museali europee.
Scandita per sezioni tematiche dedicate alle singole città europee, la mostra si apre, cronologicamente, con la Secessione di Monaco.Quando, nel 1892, apparve sulla scena, non presentava una fisionomia ben definita e specifica, ma presto avrebbe assunto quel taglio modernista che sarà definito Jugendstil, titolo derivato dalla rivista «Jugend» che ospitò le illustrazioni della giovane bohème monacense. Al movimento aderirono Franz von Stuck, Anders Zorn, Max Klinger, Max Liebermann, Ludwig von Hofmann.
La Secessione di Vienna si formò nel 1897 e rappresentò, sin dal suo esordio, l’evoluzione e il superamento di tutte le formule allora esistenti, incluso il simbolismo. Sostenuto dallo scrittore Ludwig Hevesi e dal pittore Gustav Klimt.
La Secessione di Praga prese forma in una serie di gruppi di artisti più o meno organizzati, che a partire dal 1890 si ritrovarono a manifestare le loro idee in aperto contrasto con l’arte ufficiale boema. Dato il grande sviluppo dell’illustrazione, del disegno e dell’incisione, circa un terzo dell’intera sezione sarà costituito da opere su carta.
La Secessione di Roma (1913-1916) aveva una formula diversa, quella dell’esposizione libera e “giovane” che permetteva al suo interno, seppur con alcune limitazioni, lo svilupparsi di linguaggi differenti. La Prima Esposizione Internazionale della Secessione fu l’occasione per vedere in mostra per la prima volta opere di Matisse e dei post-impressionisti, mentre l’anno successivo, alla II Esposizione, accanto a Cézanne e Matisse, furono presenti Klimt e Schiele.
Info:
www.palazzoroverella.com