(di Patrizia Pedrazzini) – Fresco della Festa del Cinema di Roma, introdotto da una sorta di slogan pubblicitario ricco di promesse, per il quale “delle varie forze che governano il mondo, la più forte è l’amore”, arriva nelle sale “Astolfo”, commedia semplice e scanzonata diretta, sceneggiata e interpretata da Gianni Di Gregorio. Nella quale il protagonista (che certo non è quello dell’Ariosto, spedito sulla Luna a recuperare il senno di Orlando, però un filo di affinità la esprime, visto che gli piace, la notte, ammirare l’argenteo astro seduto sul davanzale della finestra), è un pensionato sulla settantina, che tutti chiamano “professore”, mite, gentile, disponibile, e solo.
Il quale, gentilmente sfrattato dall’appartamento romano nel quale vive dopo la separazione dalla moglie, decide di tornare in provincia, nel natìo paesello, dove si trova l’antico, e abbandonato, palazzo nobiliare di famiglia. E dove non ci mette molto a scoprire che, da una parte il prete, dall’altra il sindaco, gliene hanno silenziosamente sottratto qualche “pezzo”. Ma dove incontra anche tre curiosi e simpatici personaggi – un operaio che aggiusta gli elettrodomestici, un sedicente cuoco, che però cucina bene, e uno sbandato senza fissa dimora, che gentilmente gli si piazzano in casa (tanto è grande…) e che lui altrettanto gentilmente accoglie. Ma dove, grazie a un quarto amico (di vecchia data questo, ma alla fine, squattrinato e pieno di debiti com’è, gli si piazzerà in casa anche lui), conosce anche Stefania (Stefania Sandrelli), una donna sua coetanea, vedova, piacevole, dolce e gentile. Un po’ come lui.
Scattano prima la simpatia, poi il piacere di stare insieme, poi, forse, qualcosa di più. Stefania vorrebbe e non vorrebbe. Tra l’altro fa la nonna a tempo pieno, e quando il figlio e la nuora scoprono la sua “storia”, cercano (con l’aiuto del prete) di ostacolarla (anche perché, diciamola tutta, se mamma si innamora e magari si risposa pure, a parte il discorso eredità, chi li tiene poi i bambini?). Ce la faranno, i nostri eroi? Riuscirà, il nobile Astolfo, a conquistare l’amata e a partire con lei, se non sull’ippogrifo, sulla scassata Panda bianca che si ritrova, verso una nuova vita?
Ecco, questo è “Astolfo”: un film garbato e leggero, che affronta con garbo e leggerezza una garbata e leggera storia d’amore fra due persone non più giovani, ma nemmeno ancora vecchie (“terza età” è proprio brutto). Ma non solo.
Ci sono anche, forti, i temi dell’amicizia, della condivisione, dell’altruismo, della generosità. E del tempo che passa, con le sue malinconie e la velata tristezza che accompagna la consapevolezza di una vita che volge al termine. Ma sono attimi. E, se da un lato in questo contesto appaiono tutt’altro che marginali le figure dei quattro squinternati amici/ospiti (resi con maestria da Alberto Testone, Mauro Lamantia, Gigio Morra e Alfonso Santagata), dall’altro il film si configura come un invito alla vita, al sorriso, alla speranza in un futuro ancora da vivere.
E in questo sta forse l’unico neo della storia: perché in “Astolfo” si sorride molto, ma non si ride praticamente mai. C’è sempre, intorno a tutto e a tutti, ma soprattutto ai due protagonisti, una sorta di velo di rassegnazione, di nemmeno tanto implicita accettazione di un tempo e di un’età che, in fondo, non consentono alternative. Sentimenti ed emozioni accompagnati da una sola, possibile domanda: perché rinunciare, in nome di chi o cosa allontanare da sé un ultimo regalo della vita? E allora, va bene così.
“Astolfo”, favola garbata e leggera sul tempo che rimane. Perché l’amore non ha età, e la vita regala sempre sorprese
19 Ottobre 2022 by