Attacco al potere, atto terzo. Però questa volta è Banning a finire nei guai. Ma quando si ha un papà come Nick Nolte…

(di Patrizia Pedrazzini) Eccolo di nuovo, verrebbe da dire parafrasando una vecchia canzone dei Rokes del 1967. D’altra parte quale film, che sia stato un campione, magari anche inatteso, di incassi, può dirsi oggi immune dalla grande tentazione del sequel? E allora eccolo qui, il terzo capitolo (“Angel Has Fallen”) di “Attacco al potere”, dopo che il primo (“Olympus Has Fallen”, del 2013), partito con un budget di 70 milioni di dollari, ne ha rastrellati in tutto il mondo 170, e il secondo (“London Has Fallen”, del 2016) è passato da uno stanziamento iniziale di 60 milioni di dollari a un incasso finale di oltre 200. Quindi, ancora tre anni dopo, perché no?
Con i medesimi protagonisti, ovviamente: Gerard Butler nei panni dell’agente dei servizi segreti Mike Banning e Morgan Freeman in quelli del Presidente Allan Trumbull. Solo che questa volta la trama si fa un filino più “complessa”: il “nemico” qui non è rappresentato dai terroristi nordcoreani o da quelli dell’Isis, bensì, in un certo senso, da quello strenuo difensore, vero e proprio emblema dei più puri e patriottici valori americani che è Banning stesso. Il quale si ritrova, senza neanche rendersene conto, vittima di una cospirazione che lo indica come mandante di un attentato proprio ai danni di quel Presidente degli Stati Uniti del quale è la più fidata guardia del corpo. E conseguentemente braccato sia dall’FBI, sia dagli agenti della sua stessa agenzia. Quando il nemico viene da dentro.
Non staremo a insistere sull’ovvietà della trama (è dai tempi de “I tre giorni del Condor”, del 1975, che il cinema non disdegna la figura dell’uomo onesto e perbene ingiustamente accusato che, per difendersi, è costretto a fuggire), né sulla pochezza dei dialoghi (“Farò del mio meglio, signor Presidente!”, “Non preoccupatevi di trovare me, perché sarò io a trovare voi!”). In fondo, a che servono in un action movie?
Così vai con due ore di intrighi che più prevedibili non si può, sparatorie, inseguimenti, scazzottate e qualche battutina forse ironica. Con un Butler particolarmente inespressivo del quale tuttavia, in questo terzo capitolo, vengono almeno evidenziate caratteristiche più intime e “umane” (l’attaccamento alla moglie e alla figlioletta, la stanchezza, una non meglio identificata malattia che lo costringe a prendere antidolorifici), che ben accompagnano la caduta e la risalita dell’angelo custode del presidente.
E, da ultimo, con un nuovo ingresso: Nick Nolte nei panni del padre di Banning, sparito dalla vita del protagonista tanti anni prima e che ora vive nei boschi agghindato da eremita squinternato nel pieno disprezzo del mondo e delle sue tecnologie. Il quale, manco a dirlo, aiuterà il figlio a uscire dai guai. Un’interpretazione che una vecchia volpe come Nolte confeziona alla grande, regalando al film momenti di leggerezza sorniona, oltre che di vitalità. Solo che non basta.