(di Piero Lotito) Una domanda “impossibile” non può che produrre una risposta “impossibile”, è così? Non sempre, perché il verosimile che a volte ne consegue è uno strumento proprio dell’arte, la cui funzione, sappiamo, è di rappresentare l’emozione del reale, interpretandola e magari sfigurandola.
L’intervista cosiddetta impossibile è un genere (giornalistico o letterario) tutt’altro che ozioso. Spesso, piuttosto, fornisce la giusta chiave – il ferro del professionista – per aprire la porta della conoscenza.
Nelle librerie è stato appena depositato un formidabile grimaldello, che ci permette nientemeno di aprire (e scoprire) l’anima di tre grandissime poetesse russe, tre stelle alte e irraggiungibili (e sta qui l’efficacia di uno strumento come l’“intervista impossibile”, che riesce appunto ad avvicinare i mondi più remoti): Anna Achmàtova, Marina Cvetaeva e Mat’ Marija Skobzova. Chi manovra il tutto è una quarta donna, una quarta poetessa: Curzia Ferrari, la cui familiarità con la letteratura russa è nelle sue tante traduzioni e nell’aver avuto a che fare con nomi quali Esenin, Gorkij, Majakovskij (decisiva per la scoperta di quest’ultima furia poetica, la biografia Majakovskij: la storia, il romanzo, SugarCo 1982). Tradotta a sua volta in una dozzina di Paesi e indicata nelle ultime edizioni tra i più attendibili candidati al Nobel, la Ferrari ha pubblicato con Aragno le raccolte di versi Fondotinta (2007), Lucertola (2010), Pietra (2013), trilogia potente del nostro esistere quotidiano. Ora, dunque, le interviste impossibili di Voglio uno specchio!, edite da Corsiero editore.
Un libro di scavo nell’anima, un libro di sofferenza. Ma anche un libro non difficile. «Si tratta in fondo – dice Curzia Ferrari al cronista – di quattro donne che si parlano, e che hanno in comune un amore smisurato per una terra». La terra russa, crogiolo di straordinarie intensità liriche e narrative, terra drammatica, che forse soltanto i russi – e chi, come la Ferrari, vi si è fatta “trattenere” – sanno e possono raccontare. Intense si dipanano in Voglio uno specchio! le esistenze delle tre grandi indagate, perché così le immaginiamo: sedute l’una accanto all’altra, mentre ascoltano le domande della loro amica investigatrice italiana e, con la voce affabile di chi riempie comunque il vuoto della propria assenza, rispondono sui fatti della poesia, della vita, della Russia, dell’Europa.
Marina Cvetaeva, nata a Mosca nel 1892 e morta suicida (impiccata) a Elabuga nel 1941 «per essersi vista rifiutare un posto da lavapiatti, che le sarebbe servito per mantenere il figlio».
Anna Achmàtova, nata a Bolscioj Fontan (Odessa) nel 1889 e morta nel sanatorio di Domodedovo (Mosca) nel 1966, che inseguiva – e spesso raggiungeva – la perfezione delle parole, e che un giorno confiderà alla stessa Ferrari: «Io penso in versi».
Mat’ Marija Skobzova, nata ad Anapa, sul Mar Nero, nel 1891, morta nel lager di Ravensbrück nel 1945 e proclamata santa nel 2004 dalla Chiesa ortodossa.
Domande, confidenze, ammissioni. In Voglio uno specchio! s’intesse tra le quattro donne una seducente trama di atteggiamenti privati e riferimenti storico-artistici che, via via, rivela nitidamente il progetto di Curzia Ferrari. «Ho cercato me stessa – confessa – in un confronto a quattro voci». E allora noi lettori sappiamo della lettera che la Cvetaeva scrisse all’Achmàtova alla morte del «cigno sublime» Aleksandr Blok, con i versi a lui dedicati: «Il tuo nome è una rondine nella mano, / il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua…». E di Anna Achmàtova («Un’intervista solo a metà “impossibile” – svela Ferrari –, perché Achmàtova l’ho conosciuta. Io, giovane, piccola, intimorita. Lei, anziana, grande, sovrastante. Riverita da tutti. Fu in Sicilia, nel 1964…), dell’Achmàtova scopriamo i gesti che ne sottolineano la fede religiosa, così rivelati, a più di cinquant’anni, nella sua “impossibile” intervista: «Mica per niente sono andata a Siracusa a comprare candele votive! Mica per niente ho sempre portato un rosario al collo e tenuto bene in vista la Bibbia sul comodino – quando ebbi un comodino, naturalmente! Mica per niente nella borsa, in una busta, mi ha seguito dovunque la mia icona personale… E delle icone ho scritto più volte: “Anche nel buio più fondo / con esse la vita riluce…”». E veniamo a conoscenza dello sgomento della Skobzova – lei, futura santa – alla morte di Esenin: «Quando si uccise Esenin, il più russo di tutti i poeti russi, lui – che ha sempre mantenuto la mente sensibile alla santa eredità della nostra stirpe e alla saggezza della natura – ebbi una crisi di pianto che durò più giorni… Perché qualcuno non ha tolto il cappio dal suo collo?».
Della stessa “intervistatrice” veniamo infine a sapere delle «molte volte» che ha pensato di scrivere una biografia di Marina Cvetaeva (la prediletta?) e, forse, ricaviamo l’idea di Bellezza attraverso la definizione intensamente attribuita all’Achmàtova: «Il grido del simbolo dell’arte in un mondo che ignora il significato del simbolo», che può indurre ad avvertire «attimi di Bellezza in luoghi assolutamente anonimi, squallidi: una lampada accesa in una stanza dai muri scrostati o in una caverma, può creare una trama di emozioni “perfette” – e quando ci ripensi, capisci che per un attimo hai visto la Bellezza. Mi trovavo in un rifugio antiaereo di Leningrado: … il giallore ondeggiante di una lanterna appesa al gancio del soffitto, il suo ferreo schema a griglia sui volti spauriti della gente, e ombre sinuose dalla calcina rotta – potevo immaginare di trovarmi a una mostra di arte rupestre preistorica… piovevano bombe… la bellezza».
Ma lo specchio, che cosa c’entra lo specchio del titolo in questa polifonia di anime baciate dalla poesia? Curzia Ferrari racconta in prefazione di un suo umile «specchietto da pochi soldi, privo di molatura e incorniciato di plastica celeste», che portava in valigia durante i viaggi col proposito di trovare più avanti «uno specchio non sostenibile alla misura di specchio, capace di rendermi il disordine festoso, talora affannoso del presente, ma che in certi momenti fosse anche un mappamondo predatore…». Un giorno lo trovò. «Lo specchio – scrive – mi venne tra le mani, all’improvviso, in forma di tre immagini femminili fatte parola poetica, un dono che frequentavo da tempo girandoci intorno con la mente del letterato». Le tre immagini più una, schegge di un unico specchio.
Curzia Ferrari, “Voglio uno specchio! Interviste impossibili con Marina Cvetaeva, Anna Achmàtova e Mat’ Marija Skobzova”, Corsiero editore 2015, pp. 174, euro 16,50.