Forlì dal 26 settembre: 19 “colpi di scena”, con altrettante compagnie. Una variegata analisi dell’attuale drammaturgia

(di Andrea Bisicchia) Sulle pagine di questo giornale, abbiamo presentato le Stagioni di ACCADEMIA PERDUTA/ROMAGNA TEATRI che gestisce metà dei teatri della Bassa Romagna che, se aggiunti, all’altra metà, offrono un panorama di oltre cento spettacoli, rigorosamente quasi esauriti in abbonamento e, pertanto, alquanto omologati, nel senso che, nei loro circuiti, si possono vedere i medesimi spettacoli che si vedono a Milano, a Roma o a Palermo, con qualche eccezione che riguarda quelle poche produzioni che non possono circuitare o per la enorme mole, o per l’alto costo.
C’è, però, da dire che ACCADEMIA PERDUTA organizza, contemporaneamente, “TEATRI D’INVERNO” e “COLPI DI SCENA”, i cui spettacoli sono fuori abbonamento e tutti attenti alla drammaturgia contemporanea, dando spazio alle nuove generazioni.
A Forlì, nei vari spazi della città, dal 26 al 29 settembre, si potrà capire cosa voglia dire “sguardo sul teatro contemporaneo” e quali siano i gruppi giovanili chiamati a mostrare le loro capacità professionali, oltre che la loro immaginazione artistica che, come è noto, crea, a sua volta, un diverso immaginario nella mente dello spettatore. Il Festival ha, come protagonisti, ben 19 Compagnie ospiti, delle quali si possono vedere 10 Anteprime e 9 Prime. Si tratta di Compagnie già affermate che convivono con altre emergenti, provenienti da tutta Italia, alcune delle quali, come INSTABILI VAGANTI, lavorano anche all’estero.

È bene citarle tutte, perché il loro lavoro è in continua evoluzione ed oggetto di nuove ricerche, si tratta di:

TEODORO BONCI DEL BENE, MENOVENTI, ELSINOR/SBLOCCO 5, INSTABILI VAGANTI, BLUESTOCKING; KEPLER-452, CENTRO TEATRALE MaMiMo/ERT, LES MOUSTACHES; PAOLA FRESA; EMILIANO BRONZINO; CHRISTIAN DI DOMENICO; FABIANA IACOZZILLI; CRAMPI, COMPAGNIA BERARDI CASOLARI; ASSOCIAZIONE TEATRALE AUTORI VIVI; MABELLINI/PASTORINO; GRUPPO DELLA CRETA, COLLETTIVO Bestand; ECO DI FONDO, MANA CHUMA TEATRO; COMPAGNIA AMENDOLA/MALORNI; ALESSANDRO BERTI/CASAVUOTA.

“COLPI DI SCENA” si prefigge di far conoscere non solo i loro lavori, ma anche le tematiche che affrontano e che rispecchiano la particolare visione del mondo sociale che rappresenta il terzo millennio. I temi affrontati saranno: la libertà di espressione, il potere della tecnologia nella società dei consumi, in particolare, quello della evoluzione che crea false illusioni. Non mancano le riscritture dei classici, tipo: “P come Penelope” che, in chiave ironica, offre un’immagine poco suadente del mitologico personaggio omerico, o come “LidOdissea” che presenta un’Odissea 2,0, che porta, al centro della scena, una famiglia in vacanza che trasforma il viaggio mitologico in una scoperta dei paradossi della società contemporanea.
C’è chi si ispira a Calvino, con riferimento alle “Città invisibili”, o chi affronta il tema dei “confini” e c’è ancora, chi indaga i rapporti familiari, magari col soccorso di proiezioni audiovisive, che riproducono storie poco note di comunità in difficoltà e c’è chi lavora sui sentimenti, sui pregiudizi, sulla paura, insomma sulla condizione umana sempre in bilico tra l’essere e l’esistere.
Non mancano incursioni su problemi di carattere internazionale, sul rapporto tra italoamericani e afroamericani, ed infine c’è chi va in cerca del senso dell’esistenza, soffermandosi sul tema del dolore o sulla possibilità di vivere una nuova vita, con l’unico scopo di morire felice.
C’è da attendersi una nuova progettualità che dovrà, però, fare i conti col linguaggio della scena e non con la pura teorizzazione delle tematiche che si intendono affrontare.
Parallelamente alle messinscene, ci saranno anche degli approfondimenti su “I MESTIERI DEL TEATRO; OGGI”, a cura di Renata Molinari, e due OSSERVATORI CRITICI, il primo coordinato da Massimo Marino, in collaborazione con la Facoltà DAMS dell’Università di Bari, e il secondo seguito da Michele Pascarella, con delle attività laboratoriali.

Al Teatro Manzoni – Divertirsi a una presentazione. Chi ben comincia. Sorprendente festa con gli spettacoli in cartellone

MILANO, mercoledì 20 settembre – (p.a.p.) Seguiamo da una cinquantina d’anni, con accanita e tetragona resistenza, le presentazioni stagionali dei vari teatri che, da sempre, alla vigilia dei nuovi annuali debutti, presentano i loro programmi. Più o meno densi di spettacoli, con il pubblico in sala (non sempre), con gli interpreti di maggior prestigio pronti a doviziose e illustratorie spiegazioni (e non mancano quasi mai autorevoli personaggi politici, comunali e patrocinanti).
Diciamo ciò, non per glorioso senso del sacrificio, ma per dar merito, con qualche chiosa, alla piacevolezza o meno dell’importante avvenimento stagionale.
In genere c’è un senso soffuso di precise atmosfere, dovute a: rituali barbosi e saccenti, o al paludato orgoglio di pubblicizzare una nobile mercanzia, o a provocare soporiferi sbadigli, eccetera.
Ma – gaudio magno – talvolta si tratta di un vero e proprio divertimento intellettuale, quando, con incontenibile goduria, non diventa ammirevole dimostrazione di intelligenza, di umorismo, di ironia.
Diciamo del Teatro Manzoni, con quindici, e più, attori, registi e produttori in scena, a rimbalzarsi gioiose battute, arguzie e mot d’esprit. E il numeroso pubblico in platea a godersela per quasi due ore tra applausi, risate e grida di esclamativa felicità, ma anche con un commosso applauso a un filmato con Silvio Berlusconi, al quale si deve la salvezza del Teatro Manzoni, quando nel 1978 se ne voleva fare un centro commerciale.
Ora, l’imprevedibile meccanismo di tanta piacevole presentazione era anche facile immaginarlo con i personaggi sul palcoscenico: da Franco Branciaroli a Paolo Ruffini, da Gianluca Guidi a Giampiero Ingrassia, da Laura Curino a Antonio Cornacchione, a Paolo Calabresi, citandone solo alcuni, e via via, partendo dalla prosa a tutti gli altri generi dei compositi cartelloni delle rassegne: Extra, Ridere alla grande, Festival della Magia, Family, e con un florilegio di nomi in programma a non finire, da Sgarbi a Lopez/Solenghi, da Dalla Palma a Cevoli, a Raul Cremona, a Lina Sastri, a Crepet…

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Ma, limitandoci alla sola Prosa, che prevede undici spettacoli in cartellone (ma in totale e fra tutti se ne contano cinquantasei), ecco il calendario della stagione in abbonamento:

17-29 ottobre: “Testimone d’accusa” di Agatha Christie, con Vanessa Gravina, Giulio Corso, Paolo Triestino. Regia Geppy Gleijeses.

7-19 novembre: “Trappola per topi” di Agatha Christie, con Lodo Guenzi. Regia Giorgio Gallione.

21 novembre – 3 dicembre: “La strana coppia – Revival”, di Neil Simon, con Gianluca Guidi, Giampiero Ingrassia. Regia Gianluca Guidi.

16-28 gennaio 2024: “Quasi amici”, dal film “Intouchables”, con Massimo Ghini, Paolo Ruffini. Regia Alberto Ferrari.

13-25 febbraio 2024: “Il calamaro gigante”, con Angela Finocchiaro, Bruno Stori. Regia Carlo Sciaccaluga.

12-24 marzo 2024: “Perfetti sconosciuti”, di Paolo Genovese. Con Paolo Calabresi.

2-14 aprile 2024: “Fiori d’acciaio” di Robert Harling, con Tosca D’Aquino, Martina Colombari. Regia Andreozzi/Vado.

16-28 aprile 2024: “Pigiama per sei”, di Marc Camoletti. Con Laura Curino, Antonio Cornacchione, Rita Pelusio, Max Pisu. Regia Marco Rampoldi.

7-19 maggio 2024: “Il mercante di Venezia” di Shakespeare, con Franco Branciaroli. Regia Paolo Valerio.

Fuori abbonamento:

6-11 febbraio 2024:”Amanti”, di Ivan Cotroneo, con Massimiiano Gallo, Fabrizia Sacchi.

3-5 maggio 2024: “Non è vero ma ci credo”, di Peppino De Filippo. Regia Leo Muscato.

Dal dialetto arcaico di pezzenti, miserabili ed emarginati al realismo poetico di Franco Scaldati. Catastrofe e salvezza

(di Andrea Bisicchia) Il nome di Franco Scaldati è stato accostato a Pirandello, Testori, Pasolini, con i quali vengono riscontrate convergenze di tipo linguistico, oltre che di tipo sociale, visto che molti dei protagonisti vivevano ai margini delle città, nelle periferie milanesi, quelle del Fabbricone, nelle periferie romane e in quelle palermitane della Zisa. Ma sono stati fatti anche i nomi di Beckett, Copì, Muller, Handke.
C’è da dire che un vero drammaturgo lo si riconosce subito dalla scrittura, ovvero dalla capacità di inventare un lessico che si caratterizza per la novità linguistica, per le sue basi fantasmatiche, per la sonorità e per la capacità di sublimare la realtà, per poterla trasferire in un mondo metaforico, fatto di sogni, di attese e di immaginazione.
Nella scrittura è riconoscibile l’identità non solo di un autore di teatro, ma anche dei registi che lo mettono in scena, erano, infatti, riconoscibili gli spettacoli di Strehler, Ronconi, Nekrosius, Brook, solo per citare alcuni noti registi. Non per nulla continuiamo a sostenere che ogni rivoluzione artistica è sempre una rivoluzione linguistica. Non c’è dubbio che gli autori più importanti del secondo Novecento siano quelli che hanno diretto le loro scelte verso forme linguistiche inusitate, dal grammelot di Dario Fo al plurilinguismo di Testori, alla inconfondibile koiné di Pasolini, al napoletano di Moscato, al dialetto arcaico di Scaldati.
Dobbiamo a Valentina Valentini che ha già curato, per l’Editore Marsilio, una serie di testi dell’autore palermitano, il volume edito da Titivillus: “Il teatro è un giardino incantato dove non si muore mai. Intorno alla drammaturgia di Franco Scaldati”, che raccoglie una serie di saggi fondamentali, non solo di docenti, di ricercatori, ma anche di attori, collaboratori degli spettacoli di Scaldati, come: Marion d’Amburgo, Melino Imparato o come la costumista Antonella Di Salvo.
A dire il vero, la prima scoperta di Scaldati la si deve all’interesse del regista e direttore del Teatro Biondo di Palermo, Pietro Carriglio, che lo scelse più volte come attore, oltre che come autore e, ancora, all’interesse di registi palermitani come Umberto Cantone e Matteo Bavera. Fu però determinante l’interesse di Franco Quadri che, nel 1990, pubblicò, con traduzione a fronte, alcuni capolavori, come “Il pozzo dei pazzi”, “Assassina”, “La Guardia dell’acqua”, “Occhi”, con prefazione di Vincenzo Consolo.
Il pubblico milanese potè assistere in quegli anni alla messinscena di “Il pozzo dei pazzi”, con la regia di Elio De Capitani, e di “Lucio”, con la regia di Cherif, entrambi al Teatro dell’Elfo. Si trattò di due eventi che non ebbero quella circuitazione necessaria per far conoscere un autore scomodo, come Scaldati, circuitazione che si è avverata, recentemente, con “Totò e Vicé”, portato in scena, con un grandissimo successo, dalla coppia Vetrano-Randisi, mentre il testo lo si può leggere nell’edizione Cue Press.
Anche se Scaldati ha dichiarato di essersi accostato a Testori, la differenza tra i due è alquanto controversa, perché gli Scarrozzanti sono i vagabondi del teatro povero, sono degli emarginati che fanno uso di un plurilinguismo tutto inventato, che è ben diverso dal dialetto di Scaldati, parlato dai suoi protagonisti, tutti appartenenti a quei miserabili che vivono nei quartieri più poveri di Palermo.
Al rapporto Scaldati-Testori è dedicato il saggio di Carlo Serafini che riscontra in entrambi il culto sacro per la parola che si fa carne e sangue.
Anche il rapporto tra Scaldati e Pasolini è un po’ controverso, come ha dimostrato Stefano Casi nel suo intervento, sostenendo che i quartieri e i vicoli palermitani contengono una realtà ben diversa dalle borgate romane, anche perché, mentre Pasolini amava il suo sottoproletariato, Scaldati non amava i suoi pezzenti che però immetteva in un realismo poetico.
Fondamentali sono i saggi di Viviana Raciti e di Valentina Valentini per conoscere l’intera produzione teatrale di Scaldati, alla Raciti dobbiamo la preistoria, avvenuta nelle “cantine” palermitane, degli esordi di Scaldati e l’ordinazione dei testi teatrali che ha raccolto, sistemandoli, per decenni, alla Valentini dobbiamo l’attraversamento delle Opere, tra pagina scritta e pagina scenica, tra l’atto di scrivere e l’atto di recitare, tra lingua plastica e lingua orale, tra catastrofe e salvezza.
Per quanto riguarda il rapporto con Pirandello, questo non va ricercato nell’uso del dialetto, essendo quello agrigentino alquanto “dolce” rispetto a quello palermitano, è più esatto cercare la convergenza con “I Giganti della montagna”, come ha fatto Valeria Merola che ha visto in Scaldati una specie di Mago Cotrone, anche perché gli fu commissionato da Federico Tiezzi per la sua messinscena dei “Giganti” il finale mancante, che Scaldati intitolò “Ilse uccisa dai Giganti”.
Per motivi di spazio, dobbiamo citare sommariamente gli interventi di Marco Palladini, sulla qualità musicale di “Il pozzo dei pazzi” e “Occhi”, di Andrea Vecchia, “La notte di Agostino il topo”, di Stefania Rinaldi, sull’importanza del mondo animale nella drammaturgia di Scaldati, di Stefania Rimini sulle figure femminili, di Matteo Martelli su “Totò e Vicé”, e di Cosimo Scordato su “Di in-canto e di misericordia”.
Se vogliamo proprio fare un ulteriore accostamento, come non pensare a “‘Nzularchia“ e a “La cupa” di Mimmo Borelli, per l’uso della lingua adoperata nella sua purezza espressiva.
Intanto, il Teatro Biondo ha annunziato la messinscena di “Assassina”, con la regia di Franco Maresco, il 13 marzo 2024.

Valentina Valentini (a cura di), “Il teatro è un giardino incantato dove non si muore mai. Intorno alla drammaturgia di Franco Scaldati”, Titivillus Editore 2019, pp. 208, € 16.

Venezia 80. “Povere creature!” conquista pubblico e critica, e vince il Leone d’Oro. Miglior regia, Garrone (“Io capitano”)

VENEZIA, sabato 9 settembre – Va a “Povere creature!” (“Poor Things”), del regista geco Yorgos Lanthimos, il Leone d’Oro come miglior film all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia. La sua Bella, sorta di Frankenstein al femminile, giovane donna riportata in vita da uno scienziato e desiderosa di uguaglianza e di libertà, ha convinto tutti, pubblico e critica.
Leone d’Argento per la migliore regia a Matteo Garrone per “Io capitano”, storia di immigrati (v. foto), uno dei quali interpreti, Seydou Sarr, è stato anche insignito del Premio Mastroianni.
Coppa Volpi per il miglior attore a Peter Sarsgaard (“Memory”), e per la migliore attrice a Cailee Spaeny per “Priscilla”

ECCO TUTTI I VINCITORI

Leone d’oro per il miglior film. Povere creature! (Poor Things) di Yorgos Lanthimos.

Gran premio della giuria: Evil Does Not Exist di Ryūsuke Hamaguchi

Leone d’argento per la miglior regia: Matteo Garrone per “Io capitano”

Premio speciale della giuria: Green Border di Agnieszka Holland

Miglior sceneggiatura: Guillermo Calderón e Pablo Larraín per El Conde

Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile: Cailee Spaeny per Priscilla

Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile: Peter Sarsgaard per Memory di Michel Franco

Premio Marcello Mastroianni (attore emergente): Seydou Sarr per Io capitano

Miglior film della sezione Orizzonti: Explanation for Everything di Gábor Reisz

Miglior regia Orizzonti: Mika Gustafson per Paradiset brinner

Premio speciale della giuria Orizzonti: Una sterminata domenica di Alain Parroni

Miglior sceneggiatura della sezione Orizzonti: Enrico Maria Artale per El Paraiso

Miglior cortometraggio Orizzonti: A Short Trip di Erenik Beqiri

Premio Leone del futuro per la miglior opera prima Luigi De Laurentis: Love Is a Gun di Lee Hong-Chi

Miglior film Orizzonti Extra: Felicità di Micaela Ramazzotti