Le religioni? Per Dennett sono un fenomeno naturale e l’evoluzionismo spiegherebbe anche il sovrannaturale

(di Andrea Bisicchia) Da un po’ di tempo, gli studi sulle religioni si sono moltiplicati, forse perché si crede che tanto la filosofia quanto la teologia, utilizzando metodologie poco rinnovabili, non abbiano più nulla da proporre rispetto all’idea di una religione trascendentale. Filosofi analitici, come Robert Audi, hanno cercato di dimostrare in che modo la razionalità possa favorire una vita religiosamente impegnata, e in che modo la fede possa avere una collocazione diversa nel mondo postmoderno, fino a sostenere l’ipotesi che possa esistere una maniera differente di credere.
Non c’è dubbio che, con l’affermarsi delle neuroscienze, il problema si sia sempre più orientato verso soluzioni che riguardano l’evoluzionismo, soluzioni che vanno oltre “la pericolosa idea di Darwin”, avendo, gli studiosi di religione, capito che l’apporto scientifico, da solo, non risulti sufficiente e che occorra l’ausilio di altre discipline, come l’antropologia, la psicologia, la storiografia, per ritornare a discuterne.
Daniel C. Dennett, nel suo poderoso volume: “Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale”, Cortina Editore, è convinto che l’evoluzione possa dimostrare in che modo l’impegno religioso debba sottoporsi alle leggi della natura e come il dio dei filosofi non abbia la potente personalità di quello della dottrina religiosa. Freud aveva affermato che la religione è più potente di Dio, essendo un sistema sociale, i cui partecipanti credono in un agente soprannaturale, al quale chiedono soltanto una approvazione.
Sorgono spontanee alcune domande. È possibile credere in una religione senza Dio? Indagare la religione scientificamente è da ritenere un’interferenza? Per Dennett, le religioni appartengono alla natura umana, sono, quindi, da considerare fenomeni naturali e non soprannaturali, essendo diventate vere e proprie istituzioni, da analizzare con gli strumenti delle scienze sociali. C’è da dire, però, che vanno distinte le grandi religioni monoteiste dalle tante piccole religioni che appartengono più allo stato associativo che a quello spirituale.
Dennett si chiede se sia possibile spiegarle attraverso la biologia evoluzionista, grazie alla quale si possono congetturare le origini stesse delle religioni,dopo il trapasso dal tempo della superstizione a quello della credenza. A dire il vero, le religioni hanno meno fascinazione dei grandi racconti mitologici, esigono, però, una maggiore partecipazione per rispondere ai bisogni, sempre più complicati, degli esseri umani e offrire loro dei benefici. Sempre secondo Dennett, si prospettano dei sistemi, dotati di veri e propri progetti,in competizione tra loro, che si aprono ai mercati. In simili casi,le religioni vivono il rischio della burocratizzazione,quella che Dennett definisce”la credenza nella credenza”, grazie alla quale si cerca di capire quali possano essere le ragioni per credere e quali quelle che ti spingono a ricercare un sostituto, nel caso in cui l’Originale risulti insufficiente. Come dire che l’uomo ha bisogno di uno schermo protettivo, trovandosi spesso dinanzi a un bivio: accettare la vita religiosa come forma ideale,oppure come fenomeno naturale assoggettato alla legge dell’evoluzione.
“Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale”, di Daniel C. Dennett. Cortina Editore 2007– pp. 500, euro 32,00

La magica scenografia di Mariko Mori in una “Butterfly” surreale e iridescente. E con uno staff di prim’ordine

Desktop1(di Carla Maria Casanova) Se a metterla in scena è una giapponese ci saranno i kimono e i fior di pesco. Ma se la giapponese è Mariko Mori, tutto ci sarà fuorché i kimono e i fiori di pesco. È una “Madama Butterfly” surreale, quella in scena a Venezia, alla Fenice, soffusa di colori pastello appena accennati e con molto bianco, molta luce. E con la firma inconfondibile di Mariko Mori in due sculture, di quelle che l’hanno resa celebre al mondo, come le installazioni monumentali esposte a New York, Tokyo e nei massimi musei europei. Per l’opera pucciniana, ha ideato due enormi volute, la prima che sta su, in mezzo al cielo, l’altra che approda in palcoscenico, entrambe con la stessa forma avvolgente e il materiale non si sa, potrebbe essere (ma ovviamente non è) porcellana, o metallo, o vetro, o madreperla… La luce scivola sopra e le colora con riflessi iridescenti.
Non c’è nient’altro, in scena, fuorché la diffusa profonda luminosità, che pensavamo essere prerogativa di Robert Carsen. Le donne della scena portano lunghe vesti velate bianche, o rosa o verde pallidissimo o cilestrino. Butterfly ha due imponenti spallette ad ali, forse più adatte a Turandot. Mariko Mori non si fa di questi problemi, e nemmeno quello dei capelli biondi dell’interprete, raccolti stretti intorno alla testa, con una vistosa acconciatura floreale.
Va tutto bene, tranne il bimbo giapponesino doc, con zazzeretta ebano, allorché il nocciolo del dramma di Madama Butterfly sta proprio il quel “figlio senza pari” che aspetta Pinkerton, padre ignaro di esserlo. È per Butterfly l’orgoglio e la prova, senza conferma del DNA, che quel bambino “dagli occhi azzurrini” e dai “ricciolini d’oro schietto”, è il figlio ariano davanti al quale il cuore del padre si scioglierà. E infatti si scioglie al punto che verrà a prenderselo, condannando irreparabilmente la madre giapponese al suicidio.
Il bimbo (Dolore) deve essere biondo. È l’unica libertà immotivata, e a maggior ragione perché ovviabilissima, di un allestimento insolito e molto bello, la cui magia è assicurata anche dal regista, lo spagnolo Alex Rigola, anche direttore, dal 2010, della sezione Teatro della Biennale di Venezia. La regia della pucciniana “Madama Butterfl”, creata per la Fenice, è la sua terza incursione nel teatro lirico.
Il taglio in due atti, ha suggerito l’idea di far eseguire il coro a bocca chiusa, intermezzo tra secondo e terzo, dai coristi allineati in fondo alla platea. Perplessa curiosità nel pubblico per scoprire da dove venissero le voci.
Lo spettacolo tiene bene anche sul versante musicale, a cominciare da Amarilli Nizza, che proprio come Madama Butterfly debuttò, vincitrice del Concorso Mattia Battistini e ancora ne è stata grande interprete nella versione fortissima, completamente diversa, creata da Damiano Michieletto per il Regio di Torino. La Nizza ha voce ben strutturata, tecnica solida, dizione accurata e raffinate intonazioni. Fabio Sartori, anche se di imponenza poco corrispondente al giudizio dell’innamorata CioCioSan (“bello è così che non si può sognar di più”…) possiede comunque la qualità principale, che è la voce svettante, parecchio sfruttata nei ruoli eroici. Lunga e onoratissima la carriera di Manuela Custer, di coinvolgente partecipazione. E beninteso piace Elia Fabbian: il personaggio di Sharpless è talmente consolatorio. Un po’ alta la sonorità che Giampaolo Bisanti ha impresso all’orchestra.
Il pubblico, composto quasi esclusivamente da stranieri (ahi ahi, non si potrebbe pretendere un certo decoro nell’abito a teatro?) ha freneticamente applaudito tutto.
Teatro La Fenice – Venezia – Repliche: 2, 4 ,9, 21, 24, 29 maggio, 1 giugno 2014.

Da Mursia e poi al Lingotto con Guido Oldani, poeta del malessere da affollamento di oggetti

Il poeta Guido Oldani, teorizzatore del Realismo Terminale (foto Dino Ignani)

Il poeta Guido Oldani, teorizzatore del Realismo Terminale (foto Dino Ignani)

Anteprima letteraria milanese in vista del Salone di Torino. Alla libreria Mursia, in viale Melchiorre Gioia, alle 18 di lunedì 5 maggio si terrà l’incontro “Il Realismo Terminale, verso una nuova antologia”, che prelude all’appuntamento in programma al Lingotto Fiere il 10 maggio, alle 18.30, presso lo Spazio dell’Associazione culturale S. Anselmo, a cura del quotidiano “Avvenire” e della Casa Editrice Mursia.
L’avvenimento, concepito da Guido Oldani, vedrà gli interventi di Giuseppe Langella, Lorena Carboni, Marco Pellegrini, Francesca Nacci e Luca Vaglio. Lo stesso Guido Oldani, poeta tra i più “nuovi” e importanti anche sulla scena internazionale, è teorizzatore del Realismo Terminale, corrente di pensiero sull’odierna, inquietante proliferazione di oggetti nella nostra vita quotidiana, affollamento che comporta la destituzione della natura e del suo rapporto armonico con l’uomo, i cui comportamenti sono minutamente condizionati dalla soverchiante “personalità” dei prodotti.
L’incontro torinese si concluderà alle 21 nella città di Pinerolo per un “fuori salone” al Teatro Sociale, sempre il 10 maggio. (p.l.)

“Più lib(e)ri Circus” e “Trincee”. Così Gorizia diventa per quattro giorni la capitale del libro e della storia

Cavalleria italiana a Gorizia durante la Grande Guerra

Cavalleria italiana a Gorizia durante la Grande Guerra

(di Patrizia Pedrazzini) Sessantadue fra piccoli e medi editori, che porteranno nel cuore di Gorizia migliaia di titoli. E convegni, incontri, laboratori. È “Più lib(e)ri Circus”, la vetrina dell’editoria indipendente promossa dall’Aie, l’Associazione italiana editori, che, al suo esordio, si terrà nella città friulana fra il 22 e il 25 maggio. Una scelta non casuale. Secondo dati riferiti al 2013, appartengono infatti al Friuli Venezia Giulia i più forti lettori italiani: il 56,4% (il dato è calcolato su quanti hanno letto almeno un libro non scolastico nell’arco di dodici mesi), contro il 43% della media nazionale.

Nello specifico, la manifestazione si pone l’obiettivo, in una fase di difficoltà del mercato, di fornire un contributo in risposta alla crisi delle vendite, andando a “cercare per strada” i lettori nei diversi territori nazionali, e coinvolgendo direttamente nell’operazione librai, bibliotecari, grossisti, insegnanti. I titoli pubblicati dai piccoli e medi editori (circa 2.600) rappresentano il 25% dei 60 mila che ogni anno vengono stampati nel Paese, ma il bilancio 2013 del comparto è negativo, anche per i prezzi, più alti rispetto a quelli dell’anno precedente.
A caratterizzare questo “numero zero” di “Più lib(e)ri Circus”, il suo svolgimento in concomitanza, sempre a Gorizia, del X Festival internazionale “èStoria”, il cui tema, nel centenario dello scoppio del primo conflitto mondiale, sarà “Trincee”. Sempre fra il 22 e il 25 maggio, la città si aprirà quindi a convegni (il primo, dal titolo “Una guerra globale. Mito e origini della Grande Guerra”, si avvarrà di un comitato storico internazionale di undici specialisti), dibattiti, incontri, interviste, lezioni, ma anche mostre, proiezioni, spettacoli, gastronomia, concerti, percorsi guidati sui luoghi della memoria.
“Echi del Monte Santo” è il titolo del concerto che il violinista Uto Ughi terrà, la sera del 22, proprio nel luogo in cui, quasi cent’anni fa, Arturo Toscanini si precipitò a dirigere una banda militare per rincuorare i soldati che avevano appena conquistato la montagna durante la battaglia della Bainsizza. Fra gli ospiti d’eccezione della manifestazione, anche John Patrick Hemingway, nipote del Premio Nobel Ernest, con il quale verrà organizzata una singolare visita dei luoghi di “Addio alle armi” tra romanzo e cinema, passando per Caporetto e Venzone. In tema di film, sono in programma la proiezione di “The Battle of the Somme”, il primo documentario realizzato durante la Guerra; del capolavoro di Stanley Kubrick “Orizzonti di gloria”; di pellicole inedite provenienti dal Filmarchiv di Vienna.
Infine, fra le mostre, alcune delle quali dedicate alle uniformi, all’operato della Croce Rossa, alla presenza di soldati ebrei sul fronte dell’Isonzo, anche quella dal titolo “Eppur si mangia…”, riservata a uno dei tanti problemi che la nuova guerra di massa pose: l’alimentazione di centinaia di migliaia di soldati, la conservazione e la cottura dei cibi, la distribuzione del rancio.