(di Marisa Marzelli) Il nuovo film dei fratelli Coen (tre anni dopo A proposito di Davis, passato un po’ sotto silenzio, e dopo l’ottima sceneggiatura scritta per Il ponte delle spie di Spielberg) è fatto a scatole cinesi. Una dentro l’altra ci sono pezzi concatenati della storia del cinema americano dell’età d’oro. Un riconoscibile lavoro dei Coen, ironico e dissacrante, ma anche una riflessione quasi filosofica sulla grande fabbrica dei sogni.
Autori completi e complementari, Joel ed Ethan Coen sono qui sceneggiatori, montatori, registi, produttori. Ave, Cesare! usa la formula del film nel film (alla maniera classica di Effetto notte o Otto e ½ di Fellini) per svelare i meccanismi dietro le quinte della fabbrica del cinema e aggiungervi dell’altro. La prima scatola, contenitore di tutte le altre e guida alla lettura dei significati, racconta di EddieMannix (un individuo veramente esistito e che lavorava alla Metro Goldwyn Mayer), un “fixer”, cioè un risolutore di problemi, figura a metà tra il produttore e il tuttofare di un grande Studio degli anni 50. Il personaggio (interpretato da Josh Brolin) è introdotto in un’atmosfera da film noir mentre sta pedinando qualcuno. Di scatola in scatola lo vediamo al lavoro quotidiano, consistente nel vigilare sui molteplici film contemporaneamente in produzione, assicurarsi che i divi sotto contratto non facciano capricci o si mettano in situazioni scomode e non coincidenti con la loro immagine pubblica, depistare la stampa a caccia di indesiderati gossip.
Mannix nel privato è un cattolico praticante, persino bigotto, ma sul lavoro è spregiudicato. Succede che sul set di Ave, Cesare!, il film più importante in produzione, un kolossal sulla storia di Cristo – incrocio tra Ben Hur, Quo Vadis? o Il re dei re – il protagonista (George Clooney nel ruolo di un centurione romano in via di conversione) venga rapito a scopo di riscatto. Mannix deve intervenire e risolvere, mentre su altri set dello Studio la protagonista di un musical acquatico (Scarlett Johansson in stile Esther Williams) è incinta ma non è sposata; una star dei western (AldenEhrenreich) deve interpretare il sofisticato dramma di un regista europeo snob (Ralph Fiennes) ma sa fare solo il cowboy, un terzo divo (Channing Tatum) gira le scene di tip-tap di un musical alla Gene Kelly. Mannix è onnipresente per tappare falle, mediare, mettere pezze dove serve e tenere a bada due giornaliste, gemelle in competizione e a caccia di scandali (le interpreta entrambe Tilda Swinton facendo il verso alle pettegole del tempo, Elsa Maxwell e Louella Parsons).
Le situazioni sono varie ma tutte surreali. Ad esempio, il “fixer” convoca una riunione con un prete cattolico, uno protestante, un rabbino e un religioso musulmano per verificare che le rispettive chiese non contestino come la tematica religiosa viene trattata in Ave, Cesare! A proposito di quest’ultima produzione, il divo Clooney, fatuo e viziato, è stato rapito da un gruppo di intellettuali marxisti, guidato niente meno che da Herbert Marcuse, che vogliono regalare il riscatto ad un sottomarino sovietico per finanziare il comunismo. In tutto ciò, il buon Mannix è corteggiato dalla Lockheed perché vada a lavorare per questa concreta multinazionale aerospaziale, lasciando l’effimera fabbrica dei sogni di Hollywood.
La commedia è permeata di umorismo nero, critica verso il mondo dello spettacolo e la mitologia hollywoodiana, cinica e irriverente ma non al vetriolo. Sembra quasi che i fratelli registi, maneggiando temi tanto delicati e sensibili per la società statunitense come le manipolazioni dell’immaginario collettivo da parte delle Majors e la triste pagina del maccartismo, si vogliano fermare nel momento in cui il ridicolo rischia di diventare indignata denuncia di un intero sistema comunicativo, dell’ipocrisia di un’industria dell’intrattenimento che fabbrica sogni per mirare al tornaconto.
Racconto metacinematografico in cui i Coen squadernano tutta la loro competenza cinefila (fin troppo, perché certi riferimenti o personaggi sfuggono alla comprensione se non si conosce più che bene il cinema americano anni 50) e il gusto di parlarne, Ave, Cesare! mostra un virtuosismo tecnico e narrativo da primi della classe che, si sa, non sono mai molto amati. È come quando Almodovar svolgeva impeccabilmente sceneggiature complicatissime, al limite dell’irraccontabile. Solo lui sapeva farlo, ce lo dimostrava e la cosa era da ammirare ma non ci faceva davvero appassionare al film. Lo stesso fanno qui i Coen, con una caterva di dettagli e un uso in chiave comica degli attori, disposti a prendersi in giro senza batter ciglio.
Un film che divertirà molto i veri cinefili a caccia di chicche intelligenti e puntuali (basti pensare alla citazione di intellettuali di origine europee che hanno contribuito a rendere grande il cinema americano) un po’ meno gli altri spettatori.
“Ave, Cesare!”: dissacrante virtuosismo (anche troppo) dei fratelli Coen nell’Hollywood anni 50. Per raffinati cinefili
12 Marzo 2016 by