Avedon. Che trasformò le modelle in attrici. E immortalò con l’obbiettivo, fra glamour e realismo, le icone del Novecento

MILANO, mercoledì 21 settembre ► (di Patrizia Pedrazzini) – Avedon. Ovvero il volto “umano”, più squisitamente personale, per certi versi intimo, delle fotografie di moda. Il maestro dell’obbiettivo che – correvano gli anni del secondo dopoguerra – letteralmente rivoluzionò il modo con il quale fino ad allora erano state ritratte le modelle, trasformandole da soggetti statici in attrici protagoniste di una sorta di set cinematografico. Non più belle statuine chiamate semplicemente a indossare, valorizzandoli, abiti e accessori, bensì donne chiamate a interpretare, e a mettere in scena, una vera e propria narrazione. Ma anche il maestro dei ritratti, potenti, descrittivi, che grondano cura per i dettagli, anche minimi. Di attori e attrici, di personaggi del mondo della cultura e più in generale della società, non di rado fotografati in più di un’occasione, a distanza di anni.
Centosei immagini, per oltre sessant’anni di carriera. Questa l’ossatura della mostra che Palazzo Reale dedica, da giovedì 22 fino al prossimo 29 gennaio, al fotografo newyorkese Richard Avedon (1923-2004) e ai suoi scatti iconici, legati soprattutto, ma non solo, a riviste del calibro di Harper’s Bazaar, Vogue, The New Yorker.
Suddiviso in dieci sezioni, introdotto dall’autoritratto del maestro, il percorso espositivo evidenzia, per quanto riguarda le immagini legate al mondo della moda, non solo la differenza fra gli scatti realizzati prima e dopo il 1960 (più “di scena” le prime, più concentrate sulle modelle le seconde), ma anche una delle caratteristiche “tecniche” del fotografo, che si ritrova anche e soprattutto nei ritratti: il ricorso a uno sfondo minimale e uniforme, bianco o tendente al bianco, che gli consentiva, unitamente alla quasi ossessiva attenzione per il dettaglio, di eliminare ogni potenziale elemento di distrazione al fine di enfatizzare la qualità della posa.
Ed ecco allora le divine delle passerelle di quei decenni del Novecento: da Dovima a China Machado, da Jean Shrimpton a Penelope Tree, a Twiggy, a Veruschka. Fino alle modelle delle sfilate di Versace. Ecco, come nell’inquadratura di un film, Dorian Leigh immortalata nell’agosto del ’49 in Avenue Montaigne, a Parigi, avvolta in un soprabito con collo di pelliccia e maniche voluminose, seduta in una decapottabile con accanto una cappelliera, un mazzo di rose e, acciambellato, un cagnolino. Un quadro, sapientemente dipinto in un perfetto equilibrio fra dettaglio e ambiguità, azione e posa.
Ma ecco anche, in tema di ritratti, l’allora ventenne Nastassja Kinski, attrice (e modella) figlia del discusso Klaus, ritratta nel 1981 morbidamente distesa su un pavimento (e con uno sfondo bianco) avvolta, quasi abbracciata, da un pitone.
E i ritratti, tutti rigorosamente in bianco e nero: Marlene Dietrich (con turbante Dior), le rughe di Humphrey Bogart, Brigitte Bardot (acconciatura di Alexandre), Michelangelo Antonioni con moglie, Marilyn Monroe, i Beatles, Marella Agnelli, moglie dell’Avvocato, il duca e la duchessa di Windsor, non più giovani, Malcolm X, Dwight Eisenhower, Robert Oppenheimer. Ma sola basterebbe, per tutte, l’ultima immagine di Truman Capote, del ’74, nella quale Avedon si focalizza sulla testa dello scrittore, che riempie gran parte dell’inquadratura ed è fuori centro. Il soggetto è in camicia scura e papillon, gli occhi gonfi, i capelli radi, la fronte cosparsa di piccole macchie, un rigonfiamento sulla fronte e uno sul labbro, la mascella serrata: la mente che aveva prodotto alcuni fra i più celebri romanzi del secolo scorso è lì, ma quello che si vede è solo un volto segnato dall’età.
Più che una mostra, un percorso storico, sempre oscillante fra bellezza, realismo, e tecnica. E, dietro l’obbiettivo, l’occhio di un maestro.

“Richard Avedon. Relationships”, Milano, Palazzo Reale, dal 22 settembre al 29 gennaio 2023.

www.avedonmilano.it