(di Andrea Bisicchia) La tecnica che Bianca Stancanelli ha scelto per raccontarci la storia della “Città Marcia”, edita da Marsilio, è quella del romanzo giallo, con un omicidio di mafia e con tutti gli ingredienti tipici di questo genere, fatti di mistero, di accuse fondate e infondate, di depistaggi, di verità sepolte, di memoriali scoperti per caso, di testimonianze contraddittorie, di finte sceneggiate, create apposta per imbrogliare la matassa, insomma di tutti gli elementi che tengono il lettore avvinghiato fino alla scoperta del vero colpevole.
Non prevale l’invenzione fantastica, bensì la scelta di un materiale ben documentato per indagare la storia del protagonista, che non è certo un grande personaggio, ma che lei riesce a renderlo tale. Si tratta di Giuseppe Insalaco, eletto sindaco di Palermo nel 1984, in una delle stagioni più torbide della storia siciliana. Vi rimase 101 giorni, uno in meno del Generale Dalla Chiesa, ma che verrà freddato, con quattro colpi di pistola il 12 gennaio 1988, pochi mesi dopo il Maxi Processo.
Un personaggio da romanzo o un attore capace di muoversi su un palcoscenico particolare, dove rappresentare la storia della Città marcia? Per avvalorare questa tesi, l’autrice ricorda un giudizio di Salvatore Sciascia che lo paragonò ad Angelo Baldovino, un provinciale spiantato che accetta un matrimonio per finta, attraverso un sordido compromesso, ma che alla fine scoprirà di essere onesto. Questo fascino lo provò anche Giuseppe Insalaco, con tutte le contraddizioni del caso, che aveva scelto la facile via della politica a fianco del ministro Restivo, fino alla rincorsa del potere che, se in primo momento lo accetta, in un secondo momento lo espelle, poco curandosi dei pericoli per la sua vita.
Si tratta di una storia molto simile a quella di tanti altri uomini politici che hanno scelto la medesima città marcia per fare i loro affari, pur consapevoli di essere dei morti viventi. È chiaro che bisogna fare delle distinzioni tra coloro che hanno voluto seguire le leggi dello Stato e coloro che, al contrario, hanno scelto l’Antistato. Bianca Stancanelli traccia questa storia in 19 brevi, ma intensi capitoli, attraverso i quali, non racconta soltanto la storia del suo protagonista, ma anche quella di tanti altri che, muovendosi nella città marcia solo per far quattrini, l’hanno talmente infettata da trasformarla in un cloaca massima.
A Palermo chi fa politica, a parte poche eccezioni, mira ad arricchirsi, pronto a colludere con imprenditoria e mafia, proprio quelli che Insalaco, a modo suo, aveva deciso di contrastare, diventando vittima della città cannibale. Non era stato un Carneade qualunque, bensì un sindaco che si era ribellato al potere dei Ciancimino, dei Bontade, dei Riina. Leoluca Orlando, ricorda l’autrice, lo paragonò a Peppino Impastato, con una differenza, che questi, pur vivendo in una famiglia mafiosa, aveva rotto definitivamente con essa, mentre Insalaco era già stato contaminato dalla mafia e aveva cercato di combatterla dal di dentro.
Bianca Stancanelli passa in rassegna tutti i politici e tutti i mafiosi che insieme hanno contribuito al sacco di Palermo dal 1978 a oggi, ne racconta fatti e misfatti, resi possibili soltanto perché la politica si era arresa al potere mafioso fino all’anno del Maxi Processo e a quello della morte di Falcone e Borsellino, che si erano sacrificati per rendere Palermo una città vivibile, perseguendo tutti coloro che inseguivano l’odore dei “picciuli”.
Il lettore vorrebbe, a questo punto, conoscere i nomi degli assassini, l’autrice lo accontenta e ipotizza anche i nomi dei mandanti. Personalmente credo che il marcio non sia stato del tutto sconfitto.
Bianca Stancanelli, “La città marcia. Racconto siciliano di potere e mafia”, Marsilio Editore 2016, pp 272, € 16.