Battiston, indomito Churchill. Un avvincente spettacolo. Ma ancora una volta rovinato da quei maledetti microfoni

MILANO, giovedì 9 gennaio (di Emanuela Dini) – “Io, ubriaco, depresso, drogato, cocainomane…”, comincia con una fulminante e spiazzante voce fuori campo il “Winston vs. Churchill” in scena al Franco Parenti (un’ora e 15 minuti, senza intervallo) dove il personaggio del grande statista inglese viene raccontato in vecchiaia, solo e malato, che ruggisce ancora come un leone, urla, impreca, bofonchia, maltratta, si agita, ricorda. Ma non si arrende.
Una poltrona di cuoio trapuntata – terribilmente inglese, come quelle che ci sono nei club aristocratici e nelle sale da fumo delle case altoborghesi – una vecchia radio, un mucchio di foglie e di sabbia che raccontano la residenza della sua casa di campagna, Chartwell, nel Kent. Un tendone sullo sfondo. Una scena essenziale ed evocativa, dove Giuseppe Battiston dà vita a un Churchill indomito e pervicace nei suoi vizi, vorace di sigari e di alcol, insospettabilmente tenero e affettuoso nei confronti di un… gatto, dialetticamente battagliero e rispettoso con la giovane infermiera che riesce a tenergli testa, “mi piaci, giovane idealista, perché mi hai fottuto due volte”, sorprendentemente malinconico e ripiegato nel dolore più cupo e insopportabile quando ricorda il suicidio della figlia e il suo fallimento di padre.
Uno spettacolo a due anime e due verità, dove il politico incontra l’uomo, dove un Battiston-Churchill guerriero ripropone i discorsi più famosi «… Non posso promettervi altro che sangue, fatica, lacrime e sudore. Chiedete, qual è la nostra politica? Rispondo che è condurre la guerra per mare, per terra e nel cielo con tutta la forza e tutto lo spirito battagliero che Dio può infonderci» (discorso di insediamento alla camera dei Comuni, 13 maggio 1940), «Andremo avanti fino alla fine. Combatteremo sui mari e sugli oceani, nell’aria, combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle piste d’atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Non ci arrenderemo mai» (dopo la ritirata da Dunkerque, 3 giugno 1940).
Dove autocita i suoi aforismi (peccato il sottofondo di risate, che fa tanto varietà televisivo americano di seconda categoria) «Il politico deve essere in grado di prevedere cosa accadrà domani, il mese prossimo e l’anno prossimo, e, in seguito, avere la capacità di spiegare perché non è avvenuto», «Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio», «I socialisti sono come Cristoforo Colombo. Partono senza sapere dove vanno. Quando arrivano, non sanno dove sono. Tutto questo con i soldi degli altri».
Ma anche dove smette i panni del perenne vincitore e cede ai ricordi più dolorosi dei suoi fallimenti militari, come la battaglia di Gallipoli, dove morirono «40.000 uomini, no…40.000 ragazzi», o il lancinante ricordo del suicidio della figlia e del suo non riuscire a essere un buon padre.
E poi l’autodenuncia di voglia di potere e di dominio della scena politica di un uomo che si sente oramai alla fine dei suoi giorni ma non ha la minima voglia di smettere di comandare. Un uomo sempre in guerra, anche con se stesso, contro la vecchiaia che fiacca il fisico ma non lo spirito.
Uno spettacolo coinvolgente, dal buon ritmo, con un Battiston in stato di grazia che sbuffa, tossisce, trangugia pillole e sembra davvero che stia per strozzarsi e poi passa in un attimo a prendere in giro la solerte infermiera esibendosi in un delizioso falsetto che imita le sue attenzioni e cure premurose.
Peccato solo che la sua indiscutibile bravura venga oscenamente calpestata da un impianto audio a dir poco criminale, con i maledetti microfoni tarati a un livello da fiera di paese, che appiattiscono ogni modulazione vocale e trasformano una delle scene più divertenti e godibili in uno sguaiato battibecco assimilabile ai più beceri talk show televisivi.
E poiché non è la prima volta che la bravura e la professionalità di un attore viene mortificata da un impianto audio infelice, se proprio non si può fare a meno dei microfoni a teatro – ma chi l’ha detto? – almeno che si impari a tararli a un livello decente.
Applausi convinti ma anche qualche mugugno tra il pubblico proprio per l’esagerato livello audio.

“Winston vs. Churchill”, da “Churchill, il vizio della democrazia” di Carlo G. Gabardini. Con Giuseppe Battiston, e con Lucienne Perreca. Regia Paola Rota – Repliche fino a domenica 19 gennaio – Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14 – 20135 Milano. Tel. 02 59995206