MILANO, giovedì 1 gennaio 2015 ●
(di Paolo A. Paganini) Vuoi vedere che Matteo Salvini ha ragione? Vuoi vedere che non siamo fatti per l’Europa?
L’inizio dell’anno, da una vita, è sempre stato celebrato e solennizzato con il classico concerto di Capodanno del Wiener Philarmoniker (oggi diffuso in 90 Paesi), e con il suo immancabile e trascinante finale in sempiterna laude della “Radetzky march” con pubblico accompagnamento di mani. Poi, da qualche anno, Venezia ha voluto competere con Vienna, opponendo all’aulica classicità del valzer viennese il bel canto italiano. Di per sè, l’idea era buona. Noi ci siamo sempre fermati all’idea.
Da un punto di vista pratico, impossibile opporre il nostro geniale pressappochismo, la nostra estemporanea creatività al rigore, alla severità, alla disciplina asburgica. Un’ulteriore prova è stata dunque fornita da quest’ultimo concerto di Capodanno.
Comincia il Teatro alla Fenice di Venezia, sul podio Daniel Harding. RAI 1, ore 12.30, s’è assistito al più sconcertante spettacolo rossiniano, pucciniano etcetera, interessante, sì, ma di una così scarsa professionalità formale (sottolineiamo formale) come mai ci era capitato di vedere.
Qualche considerazione.
Nemmeno nella più sproveduta provincia, durante uno spettacolo, si lascia in piena luce sia la platea sia il palcoscenico. Il luogo deputato del teatro è dove sta l’attore, a meno che non si voglia privilegiare l’esibizionismo di dame ingioiellate e signori più o meno inamidati. E poi, cos’è questo ormai ricorrente vizio registico di voler sempre mettere del proprio anche quando non ce n’è di bisogno. Così si assiste a Mimì che entra cantando dal fondo dell’orchestra per raggiungere sotto podio l’amato bene, Rodolfo, e poi andarsene entrambi alla fine, sempre cantando, con voci a sfumare fuori orchestra, come mai s’era visto in un concerto di canto. E poi ancora: si sentiva proprio la necessità di evocare l’eduardiana “Napoli milionaria” musicata da Nino Rota, del quale (alla Fenice!) viene eseguito il pur curioso boogie-woogie in chiave gershwiniana? E, in ultimo, il balletto della Scala, con un genio della coreografia, tra Palazzo Ducale e campielli goldoniani, come si può lontanamente immaginare che termini con l’esecuzione d’un can-can (da Ponchielli) con la prima ballerina in tanga, a mostrar le pur belle gambe e chiappe! E intanto il coro esibiva ineleganti coccarde da uovo di Pasqua, e al trionfo verdiano del “Libiam” le danzatrici di contorno sembravano andare fiere dei loro candidi abiti a balze decrescenti come tante torte nuziali a più strati!
E così, tra qualche sbuffo e un mortificato amor di patria, siamo passati, un’ora dopo, alle 14.30, RAI 2, al Wiener Philarmoniker, dove un virtuosistico Zubin Mehta, senza spartito, s’è immerso in un repertorio tutto straussiano, davanti a un foltissimo, rispettoso, partecipe pubblico non solo viennese, nella penombra della bellissima sala d’ori e stucchi. Una gioia dello spirito e degli occhi. Anche perché, al trionfo cromatico dell’addobbo floreale (un’esplosione di rossi e di gialli, di rose garofani orchidee), omaggio del Comune di Vienna (ohibò, non ci sono sempre stati i garofani di Sanremo?), facevano riscontro le palpabili atmosfere della severità, della disciplina, dell’eleganza formale, della compostezza. E il corpo di ballo, con delle coreografie in omaggio ai 650 anni dell’Università viennese, la più antica d’Austria, nella policromia delle vesti femminili, sul rosso, bianco, nero, si esibiva con giovanile ironia e grazia muliebre, senza alcun bisogno di mostrare gambe e glutei (grande merito coreografico del milanese Davide Bombana). Il tutto esprimendo il piacere esaltante di una universalità senza più confini…
Per questo abbiamo richiamato, all’inizio, le assurde, anacronistiche sparate antieuropeistiche di Salvini. Soprattutto perché l’aristocratica suggestione di Venezia, e non solo, le glorie antiche e rinascimentali di Roma, la stupenda umanità del popolo napoletano, le trionfali bellezze sicule di una perenne ellenicità, e tutto il resto dell’italica bellezza, e poi la nostra letteratura, l’architettura, la pittura, la musica, tutti i frutti dell’italico ingegno, non meritano di essere ghettizzati nel nostro atavico provincialismo.
Bel canto italiano e valzer viennesi, due concerti di Capodanno a confronto: la condanna del provincialismo
1 Gennaio 2015 by