(di Marisa Marzelli) No, non è andato tutto perduto nel tempo come “lacrime nella pioggia” il bagaglio immaginifico del primo BladeRunner, film fantascientifico di culto firmato da Ridley Scott nel 1982. L’attesissimo sequel, diretto dal regista canadese Denis Villeneuve, genietto sin qui in costante ascesa (La donna che canta, Sicario, Prisoners, Arrival), rispetta l’impianto visivo dell’originale e ne prosegue con coerenza il discorso.
Un’avvertenza per gli spettatori: se potete, riguardatevi il Blade Runner di Scott prima di andare a vedere Blade Runner 2049, i rimandi sono succosi e s’incastrano nel puzzle che riallaccia il filo di un discorso rimasto interrotto per 35 anni. L’originale, ispirato al romanzo distopico del ’68 di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, era ambientato nel 2019. Oggi, che a quella data ormai ci siamo, il sequel (come già avverte il titolo) si svolge nel 2049. Sono passati trent’anni e Los Angeles è ancora più cupa, piovosa, e inquinata. La fotografia del britannico Roger Deakins (collaboratore abituale dei fratelli Coen) tende all’ocra per gli esterni e gli interni squallidi, mentre prevale la fluorescenza per gli interni monumentali delle corporation. Grandi manifesti pubblicitari ancora incombono sulle strade notturne della megalopoli da incubo cyberpunk. Le discariche sono enormi, il livello del mare si è alzato, le differenze sociali si sono fatte incolmabili.
È tornato Hampton Fancher, primo sceneggiatore del film originario, che non portò a termine il lavoro per dissensi con il regista. Stavolta lo affianca Michael Green.
Dove eravamo rimasti nel primo film? Rick Deckard (Harrison Ford) il cacciatore di androidi era partito con la bella replicante Rachael di cui si era innamorato. Trent’anni dopo, a dare la caccia ai replicanti è il silenzioso ed efficiente agente “K” (Ryan Gosling). Facendo il suo lavoro s’imbatte in uno strano caso che lo porterà ad indagare indietro nel tempo, con molte difficoltà. Infatti, per un certo periodo gli archivi digitali sono andati perduti, distrutti per sempre da una tempesta magnetica. Ma la trama in sé, al di là di tante connessioni con il primo film che mettono alla prova la memoria dello spettatore e divagando su dettagli non essenziali per il plot, non è la primaria ragione d’interesse.
Villeneuve pratica una fantascienza quasi filosofica, tesa a riflettere su temi-monstre come il percorso dell’umanità, la memoria, i ricordi, l’identità. Chi sono diventati gli umani? E chi sono i replicanti? Macchine perfette che anelano ad avere un’anima; ma per averla dovrebbero ricordarsi dell’infanzia, agganciarsi a quelle emozioni remote che sono il background di ciò che ogni uomo è diventato. I replicanti forse siamo noi, con desideri “innestati” dalla pubblicità e dalla propaganda di multinazionali che ci manipolano e ci fanno credere di avere un passato che invece non ci appartiene. I replicanti forse sono gli immigrati che, considerati macchine, vorrebbero essere simili a chi li pilota e li governa. Cos’è reale e cosa virtuale? Qual è la qualità per saperne valutare la differenza? Il fuoco che il titano Prometeo ha rubato agli dei per regalarlo agli umani arde ancora? E chi è la fabbricante di ricordi (o di sogni) di grande abilità e origine misteriosa?
Blade Runner 2049 inizia con un occhio a tutto schermo la cui palpebra si solleva e che osserva… Un occhio che forse vede ciò che resta nascosto agli altri. Come l’occhio della serie televisiva dai tanti misteri Lost.
Critici entusiasti (negli Stati Uniti il film non è ancora uscito ma i recensori già plaudono quasi all’unanimità) paragonano la fantascienza di Villeneuve a quella di Tarkovsky. Il che non è una gran bella pubblicità presso il grande pubblico perché i film del maestro russo sono parecchio pesanti e difficili da interpretare. Diciamo piuttosto che sembra esserci un’affinità di pensiero e di spettacolarità tra la fantascienza di Villeneuve e quella di Christopher Nolan (si pensi ad esempio a Inception o al meno riuscito Interstellar).
Nel complesso, questo sequel d’autore ha personalità nello stile e si dimostra all’altezza delle attese di chi aveva amato l’originale. La realizzazione è ottima, ma i tempi sono dilatati (i 152 minuti potevano anche essere sfoltiti) e ne risente il ritmo. Volutamente, ad alcune domande non si trova risposta. Quanto al cast, il personaggio di Ryan Gosling funziona sebbene la star sembri aver perso ultimamente un po’ del suo carisma; ma finora se ne sono accorti in pochi. Anche Jared Leto, diventato famoso per le forti e imprevedibili caratterizzazioni (Oscar nel 2014 come non protagonista in Dallas Buyers Club) è inutilmente troppo caricato. Bene Robin Wright e tutto il reparto attoriale femminile. Ma il tuffo al cuore arriva quando entra in scena Harrison Ford.Il suo Rick Deckard, primo e indimenticato cacciatore di androidi, ovviamente invecchiato, è ancora pronto a rimettersi in gioco in un’interpretazione vigorosa e action. Deckard, Han Solo, Indiana Jones… Harrison Ford è il vero testimonial del nostro immaginario avventuroso cinematografico.
“Blade Runner 2049”, un sequel d’autore in grande stile. Ed è un tuffo al cuore quando entra in scena Harrison Ford
4 Ottobre 2017 by
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