(di Patrizia Pedrazzini) Siamo sinceri. Rivedere sul grande schermo le gesta, al limite dell’eroico, di grandi campioni dello sport fa bene allo spirito. Merito dello sport, e del suo bagaglio di impegno e di sacrificio, di doti naturali e di volontà, di pulizia e di temerarietà. Ma merito anche dei suoi protagonisti, e della loro vincente “follia”. Se poi al centro della storia ci sono una “rivalità perfetta”, come per esempio quella, epica, fra i tennisti Björn Borg e John McEnroe, due interpreti (e non solo due) che più all’altezza non si può, e un regista attento e preciso come il danese Janus Metz Pedersen, non c’è da stupirsi se poi il film che ne esce si colloca come uno dei migliori, di argomento sportivo, mai girati.
Perché questo è “Borg McEnroe”, 107 minuti di adrenalina e di passione. Una finale, Wimbledon 1980, entrata nella leggenda, ripercorsa dall’inizio alla fine con rara maestria e inframmezzata da una copiosa serie di flashback che, ben lungi dal risultare eccessivi o fastidiosi, restituiscono, passo dopo passo, crisi dopo crisi, vittoria dopo vittoria, le vite e le personalità dei due protagonisti.
Da un lato l’algido, composto, controllato Borg, campione indiscusso, già vincitore di quattro Wimbledon, quindi più che mai sotto pressione per aggiudicarsi anche il quinto; dall’altro l’irascibile, sanguigno, attaccabrighe McEnroe, determinato a spodestare il dio. Svezia contro Stati Uniti. Ghiaccio (ma solo in apparenza) contro fuoco. La forza del braccio destro contro lo scatto del polso mancino. Ma due campioni che più campioni non si può. Due ex bambini ribelli, i classici sfasciaracchette, a modo loro fragili e forti, con un unico obiettivo: diventare il numero uno. “Dicono che tu non ci sia con la testa – sussurra a un Björn appena quindicenne, decidendo di farsene carico, l’allenatore Lennart Bergelin – Promettimi di non mostrare più emozioni in campo. Sarai come una pentola a pressione”. E così avverrà, per lo svedese, che non calpestava mai la linea di fondo perché portava sfortuna, che la sera prima di ogni incontro controllava personalmente l’accordatura di cinquanta racchette, che dormiva in camere freddissime per abbassare la frequenza cardiaca. Tutto il contrario di McEnroe, che le racchette le spaccava in diretta, che se la prendeva con i piccioni, che insultava pesantemente giudici e pubblico. Fra ovazioni di fischi. “Il peggior rappresentante dei valori americani dopo Al Capone”, come ebbe a scrivere di lui il New York Times.
Diventeranno amici, naturalmente. Come lo sport, quello vero, richiede. Che poi, in realtà, si sfidarono in appena 14 partite in quattro anni. Ma la verità è che si stimavano. Borg vedeva in McEnroe il sangue caldo che era stato costretto a soffocare. McEnroe invidiava a Borg il controllo emotivo.
Troppo facile non ricordare l’ottimo “Rush”, il film del 2013 di Ron Howard dedicato alla sfida fra due grandi dell’Automobilismo, l’austriaco Niki Lauda e l’inglese John Hunt. I temi sono gli stessi: il dramma, l’amicizia, il destino.
Qui c’è, forse, un maggiore scavo introspettivo, soprattutto per quanto riguarda la figura di Borg. Fin dalla scena iniziale, quando il campione si sporge, lo sguardo fisso e spaesato, dalla terrazza dell’appartamento di un grattacielo a Montecarlo, e non si capisce se si stia allenando i bicipiti o se pensi al suicidio (e in realtà, anni dopo, ci proverà, a suicidarsi). Al ragazzino arrabbiato che si allena, da solo, alla periferia di Stoccolma, contro la porta di un garage. O che si fa cacciare dal circolo, perché “il tennis è uno sport per gentiluomini, non è adatto a tutti i ceti sociali”. Ma non gli è da meno il più apparentemente fortunato McEnroe, impegnato a combattere contro se stesso, e insieme a non deludere le aspettative e le ambizioni degli esigenti, ricchissimi genitori.
Sverrir Gudnason (“Original”, serie tv “Wallander”) è perfetto, oltre che identico, nei panni del freddo e riservato svedese. Mentre Shia LaBeouf (“Constantine”, “Transformers”, “Nymphomaniac”) dà volto e corpo a un irrequieto, istintivo, credibilissimo McEnroe. Senza dimenticare il sempre bravissimo Stellan Skarsgård (“Amistad”, “King Arthur”, “Pirati dei Caraibi”), qui nelle vesti dell’allenatore, ed ex tennista, Bergelin. Da vedere.
Borg McEnroe. La “rivalità perfetta” e la gloriosa epopea di Wimbledon 1980. Una bella storia di sport e di amicizia
7 Novembre 2017 by