MILANO, mercoledì 25 marzo ●
(di Paolo A. Paganini) All’inizio degli anni Settanta, Giorgio Gaber e Sandro Luporini, con “Il Signor G”, iniziarono un nuovo genere, il “teatro canzone”, un impasto di armoniosa alchimia tra monologhi e canzoni, pescando nel sociale, nella politica, nella morale, nell’imbecillità quotidiana e nella tenerezza dei sentimenti. Di spettacolo in spettacolo, non mancò, a destra e a sinistra, chi diede dei qualunquisti alla ditta Gaber/Luporini.
Ora quella riduttiva definizione sembra una bestemmia, rispetto allo spettacolo “Father and son”, celebrato con deliri e gridolini da sballo al Piccolo Teatro Strehler, nell’interpretazione di Claudio Bisio, accompagnato dalla colonna sonora dal vivo di chitarra e violino. Ecco, ci eravamo illusi, sarà una rinnovata proposta, in un certo senso, di quel famoso teatro-canzone. L’attore d’indubbio carisma popolare c’è, Claudio Bisio, la mini-orchestrina, c’è per rinnovare gli antichi fasti, e, magari, per andar giù pesante nel variegato mondo della beozia comunarda del bislacchismo politico, nelle conventicole socio-economiche, nella becera mediocrità delle schifezze televisive e, soprattutto, nella tragedia del mondo giovanile, devastato dal crollo dei valori, dall’esempio avvilente della corruzione dilagante (dei padri), dall’asfittica prospettiva della disoccupazione. Ce ne sarebbe stato d’avanzo. Ma Michele Serra, autore del monologo di Bisio, è, sì, il massimo esponente di una goliardica satira di successo politico-intellettuale, ma non è Sandro Luporini. E, soprattutto, Bisio non è Gaber. È un attore di moda nazional/televisiva di straordinario successo, di grande simpatia ma non certo di eccezionali finezze artistiche.
Qui è nel ruolo vittimistico d’un amebico e velleitario pater familias, pavido e svuotato d’autorità, con l’unica ambizione di fare – finalmente – una faticosa gita in montagna con il figlio diciassettenne, per mostragli le bellezze del creato e magari sottrarlo all’accidia d’una vita smidollata e trasandata, essendo, il ragazzotto, un tipico rappresentante di un’abulica inettitudine: sdraiato perennemente sul divano, sommerso da computer, iPhone, iPod, cuffie alle orecchie, TV a tutto volume, in un mare di briciole e di sporcizia.
In un’ora e venti senza intervallo, Bisio, con innato spirito cabarettistico e con esperienza di lungo corso, parte dal figlio per spaziare lungo le orbite emblematiche dell’universo giovanile: la scuola, i colloqui con i professori, gli spinelli, le anfetamine insieme con Platone, le ragazzotte mutule ed esangui senza cervello, la nuova legge elettorale che mai non si fa, sommersa da settemila emendamenti (il figlio fra un anno andrà a votare), i calzoni con il cavallo al ginocchio, le felpe e i felpomani con il tempio della loro devozione, l’Abercrombie, i post-it paterni incollati in ogni dove, per ricordargli di pulire il Water, di non lasciare mutande e calzini in ogni angolo eccetera.
E con un rigurgito critico di autocoscienza per tutti quei ridicoli bigliettini, Bisio infine esclama: “Eh sì, sono una padre parodistico! O sono la parodia di un padre?” L’ha detta lui.
Le umane genti, in platea, quasi tutti giovani e adolescenti, ridono e ridacchiano da matti vedendosi rappresentati con sì amabile simpatia da un loro idolo. I meno giovani, i genitori cioè dei suddetti, sghignazzano a loro volta di gusto, riconoscendosi e vedendosi vittimisticamente descritti nell’impari lotta descritta sulla scena. Ovazioni da stadio alla fine per tutti.
“FATHER AN SON”, ispirato a “Gli Sdraiati” e a “Breviario comico” di Michele Serra, con Claudio Bisio. Al Picolo Teatro Strehler, Largo Greppi, Milano. Repliche fino a venerdì 3 aprile