
Clio Cipolletta (Stella, Suora, Carmen, Agostina), Andrea Renzi (Sigismondo, Basilio), Maria Laila Fernadez (Rosaura) in una scena di “Calderòn” di Pasolini, in scena al Piccolo Teatro Studio di Milano
MILANO, mercoledì 10 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) In un desueto vernacolo veneto, ristretto all’ambito familiare, per “calderòn” (minuscolo) s’intendeva un grosso paiolo, spesso in senso metaforico, esteso a qualcosa di spiacevole, in cui si era dentro tutti. In questo significato, “brentòn” (da “brenta”=grosso tino) era maggiormente usato (ormai semo tuti nel brentòn = ormai ci siamo tutti dentro).
Cosa c’entra questa divagazione dialettale con Pasolini? Forse niente. Ma il suo “Calderón” (maiuscolo), opera teatrale in sedici episodi, pubblicata nel 1973 (una prima stesura nel ’67), ambientata nella Spagna franchista del 1967, è in realtà un grosso “contenitore” di complessi ingredienti, tra storia, sesso, allucinazioni, a volte di fulgida bellezza, altre di ossessive angosce, altre ancora di lucida esaltazione politica, contro il fascismo di Franco, guardando alla classe operaia come epopea marxista. Calderón de La Barca (1600-1681), massimo drammaturgo spagnolo del XVII secolo, dopo Lope de Vega, scrisse “La vita è sogno”. Pasolini, secondo la sua concezione di teatro come rito culturale, se ne appropriò, come stimolo creativo. E ne sortì il geniale e complesso – forse irrapresentabile – “Calderón”.
Per la verità, venne rappresentato da Ronconi ben due volte, nel 1978 e nel 1980, che così ebbe a commentare: “All’interno del testo ci sono doppi, triplicazioni, trasformazioni, essendo la storia di qualcuno che attraverso il sogno si immagina di esser qualcun altro“. Inoltre, è stato messo in scena nell’80 da Pressburger; e un’altra volta venne rappresentato al Teatro Litta con la regia di Antonio Syxty, nel 2002, che così spiegò: “In Pasolini, il sogno diventa un atroce inganno della natura, facendo passare il desiderio attraverso altri mondi, e, contemporaneamente, facendo ripiombare il corpo nella vera tragedia contemporanea“.
Con gli stessi personaggi di “La vida es sueño”, in un’ambientazione di onirica fuga dalla realtà, la protagonista, Rosaura, attraverso il sogno, vive tre diversi tentativi di fuga dal disagio della sua esistenza, impersonando, nel sogno, ora una giovane nobile innamorata dell’ex amante della madre (che scoprirà essere suo padre), ora una prostituta in un bordello di Barcellona, dove tenterà di sedurre un giovane (che poi scoprirà essere suo figlio); infine un’apatica e rassegnata moglie borghese, innamorata d’uno studente rivoluzionario (con scena finale che rimanda all’olocausto nazista). L’amore impossibile, il desiderio di fuga, l’impossibilità di uscire dal proprio stato sociale, la prevaricazione del potere sono gl’ingredienti del dramma pasoliniano, in scena ora al Piccolo Teatro Studio (quasi due ore senza intervallo),con la regia di Francesco Saponaro, nell’interpretazione di Maria Laila Fernandez (Rosaura), Clio Cipolletta (la sorella ed altre), Andrea Renzi (Sigismondo e Basilio), e inoltre Francesco Maria Cordella, Luigi Bignone e la partecipazione filmata di Anna Bonaiuto.
La scena (di Lino Fiorito), tra policrome pareti mobili, schermi per le proiezioni filmiche e un dominante lettone come luogo di oniriche fughe, è essenziale quanto basta per lasciare spazio all’immaginazione (ma quell’andirivieni del lettone da parte degli stessi attori, in facchinaggi spostamenti di luogo in luogo, ha un po’ appesantito il fluire dell’azione, ma come altro fare?). Ma il tutto è di limitato ma suggestivo impatto visivo. Fuori discussione, accentratrice, scenicamente dominante e visivamente affascinante, è la presenza delle due interpreti femminili: la sensuale, intensa e tenera Fernadez (Rosaura) e la più drammatica e scattante Cipolletta (la sorella). Insieme, con qualche tentazione coreografica, fanno un’amalgama di grande intesa drammaturgica, che salva – in parte – la difficoltà di seguire il testo tra inflessioni castigliane e partenopee (con l’aggravante delle isole di sonorità acustica del Teatro Studio).
Per il resto, tutto liscio, fino all’attesa profezia finale di Pasolini: “… un numero immenso di persone… bandiere rosse strette nei pugni… fazzoletti rossi annodati al collo sui colletti anneriti delle tute…”
“Sì, un bellissimo sogno, – commenta Basilio. – Ma io penso che proprio in questo momento comincia la vera tragedia. Perché tutti i sogni che hai fatto o che farai… potrebbero essere anche realtà. Ma quanto a questo degli operai, non c’è dubbio: esso è un sogno, niente altro che un sogno”.
Cordiali applausi per tutti alla fine. Si replica fino a domenica 21.
“Calderón”, di Pier Paolo Pasolini, regia Francesco Saponaro, scene Lino Fiorito, costumi Ortensia De Francesco, luci Cesare Accetta, con Maria Laila Fernandez, Clio Cipolletta, Andrea Renzi , Francesco Maria Cordella, Luigi Bignone e la partecipazione filmata di Anna Bonaiuto. Al Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6, Milano).
Informazioni e prenotazioni 848800304
www.piccoloteatro.org