Carmelo Bene, macchina attoriale, primo grande performer. Anticipò un’idea di teatro. La voce, creatrice di sensazioni

(di Andrea Bisicchia) – Jean-Paul Manganaro è uno studioso di Carmelo Bene fin dal tempo in cui costui era stato chiamato a dirigere la Biennale di Venezia, su indicazione di Paolo Portoghese che, però, non riuscì a gestire l’estro incontrollabile del “non attore”, come Carmelo era solito dire di sé. Furono anni difficili, anche perché, per la prima volta, non venne rappresentato alcuno spettacolo e quando si chiedeva conto a Carmelo Bene delle spese sostenute nel suo settore (un miliardo e trecento milioni nel 1987, 700 milioni nel 1988) non veniva data alcuna risposta plausibile. Sappiamo che quei soldi servirono per produrre un filmato, visto da pochissimi, e per pubblicare dei libri, uno di questi fu “Carmelo Bene, il teatro senza spettacolo”, edito da Marsilio, con saggi di Klossowski, Dumoulié, Scala, Artioli, Fadini, Grande e Manganaro, certamente pagati per il loro lavoro e per aver approntato dei Manifesti per teorizzare il concetto di “Attorialità” da contrapporre a quello di attore che, secondo Bene, andava inteso come “Intrattenitore”, o “Imbonitore” e non come “artefice”.
Manganaro (1944) è professore associato di Letteratura Italiana all’Università di Lille, si è occupato anche di Gadda, Calvino, Testori. Nel volume “Oratorio Carmelo Bene”, edito dal Saggiatore, ripercorre il cammino teorico e professionale dell’attore pugliese e lo fa in 14 capitoli, nei quali cerca di spiegarne “la macchina attoriale”, iniziando dal suo presentarsi in scena con camicie bianchissime, da contrapporre al trucco nerissimo degli occhi che, insieme, davano l’idea di un ritratto, per proseguire con l’analisi dell’uso della voce, trasformata da Carmelo in materia sonora e in una plurivocalità, una voce che, attraverso gli altoparlanti, moltiplicava le situazioni, senza arrivare a una vera e propria azione drammaturgica, anche perché le parole e le immagini, dopo averle dette e viste, avevano lo stesso valore di un evento.
Allora, diciamo la verità, Carmelo Bene non era un attore, ma semplicemente il primo grande performer, sicuramente ben diverso da tutti quei piccoli performer che hanno attraversato, dopo di lui, il teatro italiano. Insomma, egli aveva anticipato un’idea di teatro, la cui finalità non era la narrazione, né la psicologia, bensì l’immersione totale nello spazio scenico per creare, non delle interpretazioni, ma delle sensazioni, cosa che riusciva a fare attraverso la Voce, la Foné, subordinando ad esse il proprio corpo, a differenza dei tanti performer di oggi che fanno uso soltanto del training per movimentare il proprio corpo.
Anche Manganaro, in fondo, è d’accordo nel ricercare e trovare, in Carmelo Bene, gli stilemi del performer costruiti sulla vocalità che doveva corrispondere alla teatralità della voce, con cui Bene ripercorreva, a suo modo, i ritmi melodici e prosodici, reinventati da lui stesso. Se fosse stata considerata “l’attorialità” come performatività, qualche critico illustre, come Guido Almansi, non avrebbe scritto, sulle pagine di Panorama, (24 – 10 – 1996) di essersi trovato, in alcuni suoi spettacoli, dinanzi a un “ciarlatano”. Manganaro, al contrario, lo riteneva un “fenomeno”, un epiteto che gli andava riconosciuto per “l’uso scenico della pratica mentale e per la struttura (…) del suo lavoro”.
Se Carmelo Bene ha lasciato un segno, questo lo si dovrà ricercare nella “rivoluzione globale del linguaggio teatrale”, capace di ordinare e organizzare il significante. Proprio in questo, Carmelo Bene si sentiva diverso da Strehler, da Zeffirelli, da Gassman, artefici, a suo avviso, di un classicismo formale e non profondo come il suo. Basterebbe confrontare l’“Adelchi” realizzato da Gassman, costato miliardi, con quello di Carmelo Bene, riassunto nella sua “attorialità”, e non rappresentatività, oppure ripercorrere i suoi modi di adattare “Amleto”, “Riccardo III”, “Otello”, per vedere confermato quanto detto sopra, ovvero di trovarsi dinanzi a un “fenomeno” e a un grande performer. Del resto, le sue riduzioni teatrali dei classici non saranno, né potranno essere realizzati da attori “convenzionali”, come lui era solito definirli.

Jean-Paul Manganaro: “ORATORIO CARMELO BENE”, Il Saggiatore 2022, pp. 190, € 19.

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