Carrà in 130 quadri. Dal Divisionismo al Futurismo alla Metafisica, la storia di un artista capace di voltare pagina

Carlo Carrà, “Il bersaglio”. Olio su tela, cm 75 x 85. Collezione privata

MILANO, giovedì 4 ottobre – (p.ped.) Carlo Carrà. Ovvero una vita spesa all’insegna di due grandi passioni: la pittura e la cultura. Ambiti senza i quali difficilmente avrebbe potuto incarnare il potente ruolo di battistrada che lo vide protagonista delle avanguardie nelle maggiori capitali europee, ma anche della successiva, forte capacità di voltare pagina, per intraprendere strade sempre nuove, volgendosi al passato con spirito moderno.
A questo maestro dell’arte italiana, vissuto fra il 1881 e il 1966, piemontese di nascita ma milanesissimo di adozione (è sepolto al Cimitero Monumentale), Palazzo Reale dedica, fino al prossimo 3 febbraio, una mostra veramente all’altezza: oltre 130 opere, la più ampia rassegna antologica mai realizzata su di lui. In massima parte quadri (ma ci sono anche documenti, fotografie, lettere e filmati, compreso quello, inedito, realizzato nel 1952 e che ne racconta la vita attraverso le parole dello storico dell’arte Roberto Longhi), provenienti dall’estero (Mosca, Londra, Zurigo, Praga, Budapest), nonché dai Musei Vaticani, dal Mart di Rovereto, dagli Uffizi di Firenze, dalla Pinacoteca di Brera e dal Museo del Novecento di Milano. Oltre a numerose collezioni private.
Il risultato è la possibilità di ripercorrere l’intero percorso artistico del maestro, dalle iniziali prove divisioniste ai quadri futuristi, dalla metafisica ai cosiddetti valori plastici, dai paesaggi alle nature morte che (“La natura morta è, secondo me, la prova del fuoco per un pittore”) ne attestano, a partire dagli anni Venti, il ritorno alla realtà. Senza dimenticare le grandi composizioni di figura del decennio successivo, cui risalgono anche gli affreschi per il Palazzo di Giustizia di Milano, che la mostra documenta con i cartoni preparatori.

Carlo Carrà, “Estate”, 1930. Olio su tela, cm 165 x 120. Museo del Novecento, Milano

Peccato solo che manchi il bellissimo (e grande) “I funerali dell’anarchico Galli”, completato nel 1911, in piena fase futurista, e oggi custodito al Museum of Modern Art di New York. Ma per il resto l’esposizione consente di toccare con mano veramente tutta l’articolata e indomita storia, anche personale, del pittore e dell’uomo Carrà. A partire dalla sua irrequietezza, dal suo amore per i viaggi (e quindi per la conoscenza di realtà e mondi diversi): Parigi (dove si recò a soli diciannove anni, nel 1900, in occasione dell’Esposizione Universale, per eseguire le decorazioni di alcuni padiglioni), Londra, e gli incontri con Apollinaire e Picasso.
Suddivisa in sette sezioni (Tra Divisionismo e Futurismo, Primitivismo, Metafisica, Ritorno alla natura, Centralità della figura, Gli ultimi anni, Ritratti), la mostra è un susseguirsi di capolavori. Ne segnaleremo almeno due: “Stazione a Milano” (1910-11), con le sue tematiche urbane, lo spazio frammentato, i colori scuri ravvivati da poche macchie luminose, la rappresentazione del dinamismo attraverso uno schema di forze centrifughe; e il sognante “Dopo il tramonto (Il faro)”, del 1927, ovvero il silenzio assoluto, la luce anomala, i colori profondi e pieni, la dimensione onirica. Testimonianze, il primo del passaggio dal Divisionismo al Futurismo, il secondo dell’approdo alla Metafisica.

Carlo Carrà, Milano, Palazzo Reale, fino al 3 febbraio 2019
www.palazzorealemilano.it
www.mostracarlocarra.it