Si può essere sedotti da una voce artificiale? Sì, se dietro c’è un’ispirata Scarlett Johansson

Scarlett Johansson, la voce incantevole di “Her”

Scarlett Johansson, la voce incantevole di “Her”

(di Paolo Calcagno) Spike Jonze conferma con “Her” le sue qualità particolari di regista e di sceneggiatore dotato di straordinaria sensibilità e di non comune fantasia, già messe in mostra in film originali e piacevoli, quali “Essere John Malkovich” e “Il ladro di orchidee”. Jonze ama analizzare e rappresentare in immagini le personalità dei suoi personaggi mostrando le loro reazioni, come persone quasi sempre franate in crisi progressive, inghiottite dalle sabbie mobili del disagio, perse nel tunnel oscuro della depressione. Sono condizioni dell’ esistenza universali e, perciò, riconoscibili dal pubblico, anche se Jonze le esaspera con tocchi di magistrale originalità per sbalordirci con avvincenti e divertenti racconti cinematografici. Stavolta, Spike Jonze affronta il tema dell’illusione (con conseguente e puntuale delusione) amorosa, della ricerca dell’altro, in particolare del fascino dell’eterno feminino, dell’esaltazione che ci pervade nel successo di certe incontri, conquiste, relazioni, e dello smarrimento in cui anneghiamo quando siamo costretti a subire dolorose separazioni.
L’idea incredibile di Jonze è quella di far innamorare di un essere artificiale un giovane colto e sensibile di una futuribile e alienante Los Angeles. Il protagonista è Joaquin Phoenix, attore di origine latino-americana, superconcentrato nelle sue interpretazioni quanto permaloso e irritabile verso l’esterno che vorrebbe in permanente obbligo di devozione, se non di adorazione. Ciò fa di Phoenix un tipo non del tutto simpatico, al quale più che la mano si avrebbe la tentazione di stringere la gola, per quanto apprezzabile sia il suo talento, già messo in mostra agli inizi con il torbido ragazzino in “Da Morire”, proseguito con la rappresentazione splendida del grande Johnny Cash in “Walk the Line”, fino alla nomination all’Oscar con “The Master”.
In “Her” Phoenix è Theodore che si guadagna da vivere scrivendo per altri appassionate lettere sentimentali e che è irreparabilmente segnato dal divorzio dalla bella moglie. Le giornate di Theodore si colorano di buio e sono incorniciate in una solitudine pesta e dolente cui cerca invano di porre rimedio la sua migliore amica, la bravissima Amy Adams, attrice preferita di Jonze. L’incontro salvifico avviene in una delle visite da zombie di Theodore nel vuoto pneumatico dei centri commerciali. Il giovane senza troppa convinzione si consegna alle lusinghe pubblicitarie di un nuovo OS (sistema operativo) che promette facile e obbediente compagnia attraverso le “magie” di una voce artificiale interattiva di ultima generazione. La voce è quella di una seducente e spiritosa creatura invisibile che afferma di chiamarsi Samantha, animata da un’ispirata Scarlett Johansson (premiata alla Festa del Cinema di Roma per questa singolare performance), doppiata con efficacia nella versione italiana da Micaela Ramazzotti.
Jonze ha scelto di raccontare quello tra Theodore e la sua compagnia artificiale come un reale incontro tra due persone, dapprima impacciato da timidezze e incertezze, quindi reso più audace dagli impulsi della curiosità, poi stupito ed eccitato dalle scoperte stimolanti dell’altrui personalità, infine incantato dalle iniezioni di felicità di un inatteso, quanto mai troppo desiderato, “star bene”. Samantha si rivela ben altro che una servizievole compagnia sofisticatamente programmata: l’incontro con l’umano Theodore la contagia e la sprona verso la formazione di una personalità che la eleva ad “anima gemella” insostituibile e imprescindibile, in privato quanto in pubblico, per il fortunato “mortale” del film di Jonze.
Chi si azzardasse a ricordarci che non è questa la prima volta che un film narra l’amore tra una creatura umana e un replicante sarebbe da noi respinto a colpi di titoli e citazioni di pellicole “sci-fi”, e non, che vanno da “Alphaville”, di Godard, alla “Simone”, l’ologramma inventato da Al Pacino, passando per la replicante buona di “Blade Runner”, che aveva costretto Ridley Scott a un doppio finale, la mutante di “Les Immorteles”, che Enki Bilal aveva tratto da una graphic novel, il commovente personaggio digitale del film coreano ispirato all’androide di Philip K. Dick, fino al seducente clone di “The Island”, peraltro interpretato anch’esso da Scarlett Johansson. A differenza dei precedenti film, in “Her” la relazione tra il maschio con nervi e cuore e la femmina tutta pixel non è solo l’inciso o la conclusione di una “detective (o fantascientifica)-story, ma è “la storia”. Una “storia” che Jonze dedica alla sua impareggiabile maniera (non a caso, ha vinto l’Oscar per “la migliore sceneggiatura originale”) all’eterna ricerca dell’ideale condivisione sentimentale, la cui morale non può essere circoscritta riduttivamente da banali slogan, tipo “l’amore è solo una voce”.
“Her”, regia di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams. Stati Uniti 2013.

L’Oscar premia il vuoto a perdere di “La Grande Bellezza” d’un Sorrentino grottesco e spietato

Sabrina Ferilli e Toni Servillo in una scena del film “La Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino. Nell’altra foto, Toni Servillo: un’interpretazione semplicemente immensa

Sabrina Ferilli e Toni Servillo in una scena del film “La Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino. Nell’altra foto, Toni Servillo: un’interpretazione semplicemente immensa

(di Paolo Calcagno) Da 25 anni, almeno, Cate Blanchett è la mia attrice preferita, l’unica per cui mi sia realmente emozionato, durante una sua apparizione verde-smeraldo al Napoli Film Festival. Eppure, per una serie di congiunture sfavorevoli non ho ancora visto la sua interpretazione (straordinaria, mi dicono) in “Blue Jasmine”, di Woody Allen. Pertanto, non avevo potuto prevederla trionfante agli Oscar e consideravo favorite Meryl Streep (“August Osage County”) e Judi Dench (“Philomena”) per il trofeo riservato alla “migliore attrice protagonista”. Naturalmente, sono più che lieto per la vittoria della bravissima attrice australiana (per me, insuperabile in “Elizabeth”) e felice di aver “bucato” il pronostico.
Per il resto, condivido pienamente tutte (o quasi) le scelte dell’”Academy” e, confesso, che tifavo per esse, a incominciare dall’Oscar per “il miglior film straniero”, vinto da quello straordinario apologo del declino e del disagio post-moderno che è “La Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino, vero maestro delle inquadrature e grande artista del racconto cinematografico.
Preciso subito che il precedente “quasi” riguarda la statuetta alla “migliore attrice non protagonista”, andata a Liopita Nyong’o, eccellentemente in parte in “12 Anni Schiavo”: tuttavia, la mia preferita era Julia Roberts, dolorosamente dura e ostile in “August Osage County”. Riassumendo brevemente, davo per scontata l’affermazione di “12 Anni Schiavo”, di Steve McQueen, nella categoria più importante, “miglior film”: un “filmone”, davvero, il cui alto valore è sottolineato dall’inedito obbligo di proiezione nelle scuole americane. Matthew McConaughey e Jared Leto, rispettivamente “miglior attore protagonista” e “non” in “Dallas Buyers Club”, di Jean-Marc Vallée, non avevano rivali, se qualità e impegno della recitazione sono ancora da considerare prevalenti su abilità e successo pre-costruito del personaggio. Infine, restando ai premi principali, mi fa particolarmente piacere per l’Oscar “alla miglior regia” conquistato (assieme ad altri 7, più tecnici) da “Gravity”, del messicano Alfonso Cuaròn, primo cineasta latino-americano premiato dall’ “Academy”. “Gravity”, ingiustamente sottovalutato fin dall’ultima Mostra di Venezia, è un vero dono che riempie e arricchisce il pubblico del grande schermo.
servillo 2E veniamo all’Oscar, per noi, più atteso, che conclude il percorso di trofei tracciato con le conquiste del Golden Globe, European Film Award, Bafta britannico. 15 anni dopo “la Vita È Bella”, di Roberto Benigni, l’Oscar al “miglior film straniero” ritorna in Italia grazie a “la Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino, che continua a negare ogni riferimento con “La Dolce Vita”, di Federico Fellini. E, tuttavia, il grande regista riminese, Martin Scorsese, i Talking Heads” e Diego Armando Maradona sono stati citati quali “fonti di ispirazione” da Sorrentino, sul palco dei premiati, a Los Angeles: “Quattro campioni nella loro arte, che mi hanno molto insegnato, tutti, che cosa vuol dire fare un grande spettacolo, (cosa) che penso sia innanzitutto alla base dello spettacolo cinematografico”, ha dichiarato il regista napoletano. Sorrentino ha anche ricordato Napoli e Roma nelle sue citazioni e ringraziamenti: la città d’origine e quella in cui ha scelto di vivere, due capoluoghi di “La Grande Bellezza”, scandita nel tempo da monumenti, opere d’arte, tesori culturali, tradizioni popolari, immersi in incanti naturali senza uguali: una “Grande Bellezza” trascurata e tradita dallo svuotamento di valori e dal degrado culturale e sociale di chi la abita e di chi dovrebbe governarla e proteggerla.
Protagonista del film di Sorrentino è Jep Gambardella (cui dà rugosa malinconia un immenso Toni Servillo), giornalista dandy napoletano di 65 anni, autore di un solo romanzo scritto 40 anni prima, animatore e sovrano delle terrazze capitoline. Jep è un intellettuale pigro, un piacione compiaciuto, un fallito che si rifugia nel ruolo dello scettico-blu, brillante e detestabile fustigatore dei suoi compagni di cene e feste, modaioli vuoti e annoiati, desiderosi di apparire ad ogni costo, personaggi in fuga permanente dall’esigente autore della vita reale che si ubriacano del niente della dance-music, dei drink colorati, della cocaina che surroga le energie di cui non sono più capaci.
Sorrentino fa raccolta di incontri e ricordi e, raccontando in maniera grottesca e spietata i contrasti conosciuti (direttamente e non) di una Roma stordita e sonnambula, sviluppa la sua visione critica di certe categorie privilegiate della società del benessere, irrimediabilmente alle deriva verso le spiagge catramate dove l’esistenza si riduce a un miserabile vuoto a perdere.
“La Grande Bellezza”, regia di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli. Italia, 2013.

Il piagnucoloso “C’era una volta” della “Bella” Léa Seydoux e della “Bestia” Vincent Cassel

Léa Seydoux in una immagine di “La Bella e la Bestia” per la regia di Christophe Gans

Léa Seydoux in una immagine di “La Bella e la Bestia” per la regia di Christophe Gans

(di Paolo Calcagno) Christophe Gans, già mentore di Vincent Cassel nel lacunoso ma a tratti eccitante “Il patto dei lupi”, aveva sviluppato due progetti: i rifacimenti di “Fantomas” e de “Il Cavaliere Svedese”, un fumetto e una favola che avevano già largamente invaso l’immaginario collettivo, specie quello francese. Per entrambi i film il regista di “Silent Hill” ha rivelato di avere svolto profonde ricerche, anche nell’uso delle tecnicologie digitali, ispirato “dallo stile magico e simbolico” e dalle sperimentazioni del collega inglese Michael Powell in “Scarpette rosse” e “I Racconti di Hoffmann”.
Per vari motivi, come accade spesso nel cinema, i progetti di Gans non sono andati in porto, sostituiti però dall’offerta del potente gruppo Pathé di mettere in cantiere il remake, ovviamente riadattato, de “La Bella e la Bestia”. Una terribile sfida per chiunque poiché l’antica favola, divulgata soprattutto dalla penna di Madame de Villeneuve, è un capolavoro di Jean Cocteau che, per le sue invenzioni e per lo straordinario intreccio di “bianchi” e “vuoti” volutamente lasciati in sospeso nelle immagini di un racconto dove la storia in se stessa ha pochissimo peso, non appartiene solamente al cinema ma all’intera Arte Moderna e, in particolare, al geniale filone del Surrealismo.
Ma la sfida, raccolta avventatamente da Gans, avrebbe dovuto allarmare il regista transalpino ancora di più, considerando che sulla celebre favola la Disney aveva realizzato un musical e un film d’animazione capaci di uno straordinario successo planetario che, certo, non si è limitato al pubblico dell’infanzia. Ma tant’è, Christophe Gans ha gonfiato il petto, secondo prassi e arroganza di certuni interpreti della grandeur francese, e ha accettato la sfida con sprezzo del… ridicolo.
Gans ha ritenuto che bastassero e avanzassero le carte in suo possesso per realizzare un film attraente e complesso infilandosi “con la mia versione nelle molte aperte lasciate da Cocteau” e privilegiando l’ispirazione alla mitologia greca-latina dell’intervento divino, in forme animali, per “mischiarsi ai mortali e sedurli”. I risultati delle precedenti ricerche su forme estremamente aggiornate di effetti speciali elaborati e creati al computer, secondo softwares californiani, moduli di scannerizzazione canadesi delle sembianze degli attori e aggiornati ipercalcolatori parigini che rendono più agile e veloce la produzione delle immagini di sintesi (scenografia, personaggi, costumi, paesaggi) accoppiandoli in compositing alle sequenze dal vivo e alle riprese davanti ai green-screen si proponevano come uno scudo imperforabile. Inoltre, Gans si era assicurato le fedeli adesioni del suo attore preferito, il sex-symbol Vincent Cassel, e della neostar francese Léa Seydoux, peraltro nipotina straraccomandata di Jérome Seydoux, potente presidente della potentissima Pathé. Soprattutto la presenza dell’attrice che aveva vinto la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes con l’interpretazione della “donna dai capelli blu” del film di Abdellatif Kechiche “La vita di Adele”, impegnata in lunghe e dettagliate scene erotiche dedicate al rapporto saffico delle protagoniste, sembrava in un certo senso l’asso nella manica di Gans. Cosa ci si poteva aspettare che accadesse nelle segrete stanze del castello medioevale abitate dalla passione elettrico tra Léa la “Bella” e la “Bestia” Cassel, condannato in perpetuo alla criniera e agli artigli da leone per le sue scelleratezze giovanili, finché un amore puro e sincero non lo riscatti?
Le premesse erano stimolanti, davvero, e una fiaba stravolta dal lirismo erotico si profilava come un pezzo pregiato della stagione cinematografica. Niente di tutto ciò. Gli effetti speciali sono impiegati ovunque (alcuni davvero mirabili) eccetto che fra le lenzuola o fra i cespugli della foresta. La passione insaziabile tra la fanciulla e il mostro è offerta come una pinta di birra senza schiuma, piagnucolosa e soporifera nella rimestata melassa del “C’era una volta”. Gans si dedica, inoltre, a un noioso recupero delle origini familiari della protagonista, presentata come una “cenerentola” virtuosa del periodo imperiale, circondata da sorelle e fratelli scialacquoni e sciocchi. E nemmeno i più strabilianti dei magici interventi della tecnologia riescono a trascinare lo spettatore sul sentiero delle sorprese e delle emozioni di un’eccitante fiaba dark. Il film di Christophe Gans non va oltre la passiva e giuliva acquiescenza rivolta alla melensa ricerca di una facile commozione.
Da qualche parte abbiamo letto che in questa versione de “La Bella e la Bestia” i protagonisti sono “senz’anima”. Purtroppo, è assai peggio: sono senza corpi.
“La Bella e la Bestia”, regia di Christophe Gans, con Léa Seydoux e Vincent Cassel. Francia, 2013.

I film della settimana: commedie, dammi, animazione, fantascienza, e Laetitia Casta per amica

Laetitia Casta e Fabio De Luigi in una scena del film “Una donna per amica”, di Giovanni Veronesi

Laetitia Casta e Fabio De Luigi in una scena del film “Una donna per amica”, di Giovanni Veronesi

Una donna per amica” – Regia Giovanni Veronesi – Con Fabio De Luigi, Laetitia Casta, Monica Scattini, Geppi Cucciari – Commedia – Italia – Francesco e Claudia sono belli, giovani e molto amici. Lui è un avvocato, impacciato e spiritoso. Lei fa la veterinaria, un’anima libera e anticonformista. Tra loro non ci sono segreti, ma quando nella vita di Claudia arriva Giovanni e lei decide di sposarlo, Francesco si accorge che l’amicizia fra uomo e donna è più complicata del previsto…
Snowpiercer” – Regia, Joon-ho Bong – Con Chris Evans, Ed Harris, Tilda Swinton, Jamie Bell – Fantascienza – Corea del Sud – 2031. Dopo il fallimento di un esperimento per contrastare il riscaldamento globale, una vera e propria Era Glaciale stermina tutti gli abitanti del pianeta. Gli unici sopravvissuti sono i viaggiatori a bordo dello Snowpiercer, un treno ad alta velocità che fa il giro del mondo…
La bella e la bestia (La belle & la bête)” –  Regia Christophe Gans – Con Vincent Cassel, Léa Seydoux, André Dussollier, Eduardo Noriega – Fantastico – Francia – 1810. In seguito al naufragio delle sue navi, un mercante perde tutti i suoi averi, ed è costretto a ritirarsi in campagna con i suoi sei figli. Tra di loro c’è Belle, la più giovane delle sue figlie, e la più bella. Di ritorno da un viaggio massacrante, il commerciante scopre il magico regno della Bestia, che lo condanna a morte per avergli rubato una rosa. Per salvare la vita del padre e garantire un futuro ai suoi fratelli Belle decide di presentarsi al castello al posto del padre…
Spiders 3D (Spiders)” –  Regia Tibor Takács Con Christa Campbell, Patrick Muldoon, William Hope, Shelly Varod – Fantascienza – Usa – New York. I detriti di una stazione spaziale russa abbandonata precipitano sulla metropolitana. Dopo varie indagini, le autorità locali liquidano l’evento come una spiacevole fatalità priva di conseguenze allarmanti. Nessuno può immaginare quale pericolo mortale si stia in realtà abbattendo sulla città…
“TIR” – Regia Alberto Fasulo – Con Branko Završan, Lucka Pockja, Marijan Šestak – Documentario – Italia, Croazia – La storia di Branko, un ex professore di Rijeka, che da qualche mese è diventato camionista per un’azienda italiana. Una scelta più che comprensibile: adesso guadagna tre volte tanto rispetto al suo vecchio stipendio d’insegnante. Eppure tutto ha un prezzo…
“Il violinista del diavolo” – Regia Bernard Rose – Con: Joely Richardson, Christian McKay, Veronica Ferres, Helmut Berger – Drammatico – Germania, Italia – 1830. Niccolò Paganini, virtuoso del violino e amante delle donne, si trova all’apice della carriera, acclamato in tutta Europa. Il suo nome è sinonimo di amori e scandali, esattamente ciò che il suo manager Urbani sta facendo del suo meglio per alimentare. Manca ancora però un debutto britannico e per riuscire a convincere Paganini a raggiungere Londra, l’impresario inglese John Watson e la sua amante Elisabeth Wells sono disposti a tutto. Urbani, astuto uomo d’affari, riesce a portare Paganini nella capitale britannica, anche contro la sua volontà…
“La legge è uguale per tutti… forse” – Regia Ciro Ceruti, Ciro Villano Con Ciro Ceruti, Ciro Villano, Gianluca Di Gennaro, Carolina Marconi – Commedia – Italia – Due cognati si trovano a doversi confrontare col mondo della Giustizia da due punti di vista completamente differenti. Il primo è un ambizioso avvocato che, grazie ad un cavillo legale, riesce a fare uscire di galera un ragazzo con disturbi psichici accusato di avere ucciso i suoceri, mentre il secondo, un simpatico cialtrone, viene accusato di un omicidio che non ha commesso…
“La scuola più pazza del mondo” – Regia Hitoshi Takekiyo – Animazione – Giappone – Nella scuola elementare St. Claire arrivano in visita tre simpatiche bambine: la Super Peste Mako, la Super Vanitosa Miko e la Super Secchiona Mutsuko. Gironzolando per la scuola, si intrufolano nell’aula di scienze, dove trovano un modello anatomico che battezzano Signor Nudo, per loro un giocattolo da truccare e disegnare. Ma il Signor Kun, come si chiama realmente, prende vita…