Ritorna (quasi) alla normalità il Festival di Locarno con una sventagliata di 203 film. E con il pubblico in Piazza Grande

LOCARNO (CH), sabato 31 luglio ► (di Marisa Marzelli) Torna per la sua 74ma edizione il Locarno Film Festival (4-14 agosto) e torna a svolgersi in presenza, nelle sale e sul megaschermo di Piazza Grande, nel rispetto di rigorose misure sanitarie. Numerose le novità, a partire dall’avvicendamento alla direzione artistica. Arriva il 56mo italiano, Giona A. Nazzaro (nato però a Zurigo e bilingue italiano-tedesco), giornalista di professione e già Delegato generale della Settimana della critica della Mostra del cinema di Venezia. Ha collaborato con diversi festival internazionali, dal Torino Film Festival a quello di Roma, al Festival dei Popoli di Firenze. Autore e curatore di monografie dedicate a famosi registi, è entrato in carica a Locarno dal 1° gennaio di quest’anno, subentrando alla parigina Lili Hinstin, dimessasi dopo solo due edizioni a causa di divergenze con i vertici della manifestazione.
Nella sua dichiarazione di intenti il nuovo direttore afferma che “Senza pubblico non c’è festival – aggiungendo –Vogliamo celebrare il ritorno al cinema”. In effetti, l’edizione 2020 si era svolta soprattutto online, con poche programmazioni nelle sale, mentre lo schermo all’aperto di Piazza Grande era rimasto spento. Di conseguenza anche il pubblico presente si era rivelato scarso e occasionale. Dopo lo scoppio della pandemia e l’edizione ibrida dell’anno scorso, stavolta gli organizzatori si sono molto impegnati, sul piano artistico e finanziario, per riportare il Festival sulle rive del Verbano ai livelli che gli hanno dato la fama di cui gode e preparare la volata per le celebrazioni che si terranno nel 2022 in occasione del 75mo anniversario.
Il programma generale presenta 203 film in totale. Naturalmente, a suscitare le maggiori attese è il cartellone serale in Piazza Grande, che si aprirà con una prima mondiale: Beckett del regista milanese Ferdinando Cito Filomarino (è pronipote, da parte materna, di Luchino Visconti), prodotto da Luca Guadagnino. Di prima grandezza gli interpreti: John David Washington (figlio di Denzel e star del blockbuster Tenet) e Alicia Vikander; musiche di Ryuichi Sakamoto. Racconta le peripezie thriller di un turista americano (Washington) in vacanza in Grecia. Con questa ghiotta anteprima, il Festival di Locarno dichiara anche di aprire alla proiezione di prodotti Netflix (al contrario di Cannes, che accetta solo film con distribuzione nelle sale), che distribuirà il film online da metà agosto.
Concluderà invece le proiezioni in Piazza Grande Respect di Liesi Tommy, biografia musicale della regina del soul Aretha Franklin, con Jennifer Hudson e Forest Whitaker.
Nel mezzo, una dozzina di opere internazionali di rilievo, tra cui Free Guy di Shawn Levy (già autore della trilogia Notte al museo), con Ryan Reynolds; Hinterland di Stefan Ruzowitzky (vincitore del Premio Oscar al migliore film straniero nel 2008 con Il Falsario) e Vortice del francese Gaspar Noé (già passato a Cannes). Non mancheranno in Piazza alcuni classici, da Animal House di John Landis, a Terminator di James Cameron e Heat di Michael Mann.
Il Concorso internazionale propone 17 prime mondiali e vede in lizza anche autori famosi come Abel Ferrara e lo sperimentatore francese Bertrand Mandico.In lizza per il Concorso Cineasti del presente, 15 film provenienti da tutto il mondo.
Novità per i Pardi di domani (sezione riservata ai corti e mediometraggi), con l’introduzione di un nuovo concorso riservato ai “Corti d’autore”.
La Retrospettiva è invece dedicata ad Alberto Lattuada: “un cineasta che ha attraversato tutti i generi senza mai ripetersi“, sottolinea il direttore Nazzaro. Non mancheranno, tra le altre offerte, un programma dedicato ai bambini, con la selezione Locarno Kids: Screening e la sezione indipendente Settimana della critica, con sette documentari. Come sempre, un occhio particolare sulla cinematografia svizzera, focus di Open Doors sul Sud-Est asiatico e la Mongolia, incontri e tavole rotonde.
Per l’inaugurazione sarà presente l’attrice Laetitia Casta (riceverà l’Excellence Award) e tra gli ospiti internazionali più attesi ci sono il regista John Landis (sarà premiato con il Pardo d’onore Manor 2021), il direttore della fotografia Dante Spinotti (Pardo alla carriera), il pioniere degli effetti speciali Phil Tippett (Guerre Stellari, Jurassic Park), l’attrice Kasia Smutniak.
Quanto alla sicurezza sanitaria, nel rispetto delle misure in vigore a livello federale, Piazza Grande all’aperto e la struttura Fevi potranno essere completamente riempiti: un certificato Covid-19 (avvenuta doppia vaccinazione) sarà però necessario per accedervi. Nelle altre sale non servirà il certificato ma dovrà essere rispettato il limite dei due terzi della capienza, nonché il rispetto delle distanze e si dovrà indossare la mascherina.

La prenotazione del posto è obbligatoria per tutti e per ogni proiezione.
Per altre informazioni consultare il sito ufficiale:
www.locarnofestival.ch

Svolta thriller, ma niente effetti di vernice rossa. Soltanto una grande tristezza. Nell’indifferenza tra giusto e ingiusto

(di Marisa Marzelli) Debutto registico fortunato quello della inglese Emerald Fennell. Presentato l’anno scorso al Sundance Festival, Una donna promettente ha ricevuto già molti premi e cinque candidature all’Oscar, di cui una vinta (per la migliore sceneggiatura originale, della stessa regista). L’argomento è di quelli che vanno oggi per la maggiore, il #MeToo; ma affrontato in modo nuovo, anche irriverente e di grande impatto. In un coloratissimo stile pop, tra complessità e un’imprevista svolta thriller.
Il sottogenere “rape and revenge” (stupro e vendetta) non è certo nuovo – pensiamo solo al Kill Bill: Volume 2 di Tarantino, con una scatenata Uma Thurman – ma in questo caso la drammaticità si alterna a tratti alla leggerezza beffarda di una critica sociale graffiante che non fa sconti ai benpensanti statunitensi. Forse perché gli sguardi delle principali artefici del film: la regista e l’attrice principale (la bravissima Carey Mulligan) sono britanniche, mentre produce la LuckyChap Entertainment dell’attrice australiana Margot Robbie (candidata all’ Oscar per l’interpretazione di Tonya e famosa, tra l’altro, come la sciroccata Harley Quinn del cinefumetto della DC Comics Suicide Squad).
La donna promettente del titolo è Carey Mulligan (il nome del personaggio è Cassie, “Cassandra”), che sembrava avviata ad una brillante carriera di medico ma ha abbandonato l’università in seguito ad un evento traumatico: la sua migliore amica è stata violentata da un gruppo di studenti ed in seguito è morta. Cassie non si è ripresa da quell’episodio, fa la barista, vive ancora con i genitori, non ha una vita sentimentale e porta avanti una sua personale idea di vendetta. Una volta alla settimana va in un locale, si finge ubriaca e si lascia rimorchiare. Ma quando il malintenzionato di turno cerca di approfittarne, lei si rivela del tutto sobria e lo minaccia per dargli una lezione, pur senza ricorrere alla violenza. Finché ritrova un vecchio compagno di università, diventato un brillante pediatra. Forse tra i due potrebbe nascere un legame, ma Cassie scopre che anche il medico era nel gruppo che aveva assistito alla violenza dell’amica, senza intervenire. Per di più, l’autore materiale dello stupro sta per sposarsi.
Sino a questo punto il film ha preferito scegliere un andamento tutto sommato soft, da commedia, con colori pastellati, ambienti familiari idilliaci e una critica feroce, sebbene educata, dello stile di vita della buona borghesia americana; dove i bravi ragazzi possono anche non esserlo, l’ipocrisia e il guardare da un’altra parte imperversano e se a trent’anni una bella ragazza vive ancora con i genitori, qualche problema mentale forse ce l’ha. Se finora l’incubo, la rabbia, il desiderio di vendetta erano rimasti un po’ celati dall’aspetto zuccheroso e grottesco, adesso il gioco si fa duro e la svolta thriller è molto dark. Ma niente violenza esplicita, niente splatter con secchi di vernice rossa. Solo una grande tristezza, dolore e l’impressione che l’insieme della società, senza distinzione tra donne o uomini, giovani o più maturi, viva nell’indifferenza di ciò che sia giusto o ingiusto; basta che non si venga a sapere. Niente lieto fine, salvo la pur sempre rassicurante morale della favola (forse il film, osando di più, avrebbe anche potuto rivelarsi amarissimo) che alla fine la giustizia fa il suo corso.
Equilibrato, ricco di dettagli che alla fine s’incastrano bene anche dal profilo narrativo, Una donna promettente tocca il nervo più che mai scoperto di un maschilismo profondamente radicato nella società opulenta, dove non si mette in discussione che il mostro della porta accanto sia comunque rispettabile, in totale omertà. Forse, se c’è da trovare un difetto, il punto di vista del film viene esposto in modo un po’ troppo sottolineato e didattico.
Una donna promettente, vittima della lunga chiusura delle sale, doveva arrivare anche sugli schermi italiani già in maggio, ma ha avuto una battuta d’arresto. La ragione è che un personaggio secondario del film (transgender) era stato doppiato con voce maschile e non femminile. Si è quindi deciso di ridoppiarlo.

Una madre, una figlia, un segreto. E un amore malato. Così il più viscerale dei legami finisce (ancora una volta) in thriller

(di Patrizia Pedrazzini) – “Run”, del trentenne regista statunitense di origini indiane Aneesh Chaganty (“Searching”), è la storia di un rapporto malato. Viscerale, contorto e malato. Quindi che non può funzionare. Anche se, a ben guardare, non è detto.
Diane vive in una bella e accogliente, ancorché isolata, casa con la figlia adolescente Chloe. La ragazza, nata prematura e con un sacco di problemi (è asmatica, diabetica, sofferente di cuore, e in più non può camminare), trascorre le giornate su una sedia a rotelle. Accudita in tutto e per tutto – medicine, alimentazione, studi – dall’amorevole madre, che le ha letteralmente dedicato l’esistenza. Peccato che non frequenti coetanei, non abbia amiche, né contatti col mondo esterno. Nonostante questo, è sveglia, intuitiva, intelligente, e con una gran voglia di andare al college. Anche se non si capisce come mai le sue ripetute richieste di iscrizione non ottengano risposta. Il rapporto fra le due, comunque, funziona: la madre pensa a tutto, la figlia obbedisce ed è grata.
Finché un giorno, casualmente, Chloe si accorge di una strana pastiglia verde fra i medicinali che Diane, rigorosamente su ricetta medica, le compra. E si insospettisce.
Che il rapporto psicologico fra un genitore, una madre soprattutto, e un figlio, o una figlia, possa sfociare nel morboso e trasformarsi in un incubo, è cosa nota, e trasferita a più riprese sul grande schermo. Ne sapeva qualcosa Hitchcock, anche se né il grande regista inglese, né tanto meno il suo “Psycho”, sono in questa sede minimamente scomodabili.
Di fatto, “Run” è un horror-thriller (più thriller che horror) che evoca sì pellicole del calibro di “Misery non deve morire”, del 1990, o, prima ancora, dell’impagabile “Che fine ha fatto Baby Jane?” (1962), ma senza le finezze psicologiche e la sottile morbosità che intessevano e sostenevano le trame di questi film.
Per cui qui, alla fine, tutto si riduce a una buona dose di incalzante tensione (neanche tanta, in verità), qualche forzatura (la fuga sul tetto), e un ritmo che accelera sì i tempi e non annoia lo spettatore, ma che poco o niente concede all’approfondimento caratteriale e al vissuto delle due protagoniste.
Che sono, nei panni di Diane, l’attuale regina dell’horror contemporaneo Sarah Paulson (“American Horror Story”, “Ratched”), lineamenti, sguardo ed espressione ideali per trasmettere al meglio quanto di neanche tanto sottilmente possa celarsi in una femminilità psicopatica; in quelli di Chloe, la ventitreenne esordiente Kiera Allen, che non solo vive paralizzata su una sedia a rotelle anche nella vita reale, ma che, nel film, riesce benissimo a non farsi schiacciare dal talento della Paulson.
Inquietudini, segreti, case che si trasformano in prigioni. Se solo si provasse anche un po’ di paura…

Un omaggio a Nanni Moretti apre il 18 giugno “Bagnacavallo al cinema”. In rassegna 80 proiezioni fino al 18 settembre

BAGNACAVALLO, martedì 8 giugno (di Andrea Bisicchia) Organizzata dal Circolo FuoriQuadro, fortemente voluta dal Sindaco e dall’Assessore che, per l’occasione, hanno rinnovato, con 300 poltrone da designer, lo spazio seicentesco del Parco delle Cappuccine, ha inizio il 12 giugno, per protrarsi fino al 5 settembre, la Rassegna cinematografica. Si apre con un omaggio a Nanni Moretti, di cui sarà riproposto “Caro diario” (1993), in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, mentre il regista presenterà il suo ultimo film, “Tre piani”, al Festival di Cannes, dove, 20 anni fa, aveva vinto la Palma con “La stanza del figlio”.
Così, mentre le Arene estive si stanno organizzando per presentare i loro programmi, mentre arrivano lamenti da parte degli esercenti che dicono di avere perso più del settanta per cento degli affari, Gianni Gozzoli e Ivan Baiardi non nascondono un certo ottimismo perché, col ritorno degli sponsor, completamente assenti nella scorsa stagione, e con l’utilizzo dei ristori, appena arrivati, hanno deciso di dividere la programmazione in due parti: la prima dal 12 giugno al 19 luglio, con 32 titoli; la seconda, dal 20 luglio al 5 settembre, verrà programmata con le varie novità provenienti dai Festival internazionali.
Tra i film più noti, sono da ricordare:
“Rifkin’s Festival” di Woody Allen, che racconta la crisi di una coppia durante il festival di San Sebastian, “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati, la storia di Nino, aspirante romanziere che racconta, dopo la morte della moglie, la sua storia, “The Father. Nulla è come prima” di Florian Zeller, che vede una figlia ansiosa recarsi dal padre con sintomi di Alzheimer, “Mank” di David Fincher, che ha per oggetto la Hollywood degli anni Trenta, “Corpus Christi” di Jan Komasa, protagonista un giovane che avrebbe voluto diventare prete, ma la sua fedina penale glielo impedisce, “Due“ di Filippo Meneghetti, storia di due donne mature che si amano da decenni, solo che un evento improvviso le mette alla prova, “La vita che verrà” di Phyllida Lloyd, con protagonista una donna che fugge, con i suoi figli, dal marito violento, “Il cattivo poeta” di Gianluca Jodice, su Gabiele D’ Annunzio, spiato da un federale messo alle sue calcagna, “Un altro giro”, di Thomas Vinterberg, che vede quattro amici mettere a fuoco una teoria, secondo la quale, bere alcol permette di raggiungere, con una quantità prestabilita, stati percettivi che incrementano la creatività del genio.
Non manca un omaggio a Emma Dante con la proiezione delle “Sorelle Macaluso”, la storia di Cinque sorelle palermitane, combattive e disperate che, per sopravvivere, alternano le loro tragedie con sogni improvvisati.
Secondo tradizione, i film sono d’essai, inoltre verranno mantenuti gli incontri: “Accadde Domani”, con l’attore Denis Campitelli per il film “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti (24 giugno ), col regista Domenico Ciolfi per “Il caso Pantani” (30 giugno ), con la regista Anita Rivaroli e il direttore d’orchestra Marco Sablu per il film “We are the Thousand” (6 luglio), con Elisabetta Sgarbi, nelle vesti di regista, col musicista Mirco Mariani, per “Extraliscio – Punk da Balera” (11 agosto ).
C’era aria di ottimismo per una possibile rinascita, alla presentazione della trentasettesima stagione, sedicesima gestita dal Circolo FuoriQuadro, dopo la riapertura del Teatro Goldoni, che ha fatto registrare il tutto esaurito, con le dovute distanziazioni, come a voler dimostrare in che modo cinema e teatro possano contribuire, insieme, a quella svolta culturale attesa da tempo.

Le proiezioni inizieranno alle 21,30. Il costo dei biglietti: 6 euro intero, 5 euro ridotto.
www.arenabagnacavallo.it