Grande spettacolo di tradizione. Violetta? Tutto ok. Ma La Traviata delle fuoriclasse è ormai una categoria estinta

Marina Rebeka e Francesco Meli (foto Brescia/Amisano)

MILANO, sabato 12 gennaio
► (di Carla Maria Casanova)
La traviata di Giuseppe Verdi. L’opera per antonomasia. Per eccellenza. Il compendio dell’intero universo melodrammatico. La Scala l’ha messa in scena per la decima volta nella edizione del 1990 (Cavani / Ferretti / Pescucci). Nel 2013 c’è stato un tentativo di novità, con la regìa di Tcherniakov, passata alla storia come “La traviata delle zucchine” (che venivano triturate in cucina dal furibondo Alfredo abbandonato da Violetta).
Normalmente, La traviata si definisce con il nome dell’interprete. Ci fu La traviata “della Tebaldi”, ricordata non per la sua eccelsa interpretazione né per il direttore che era, guarda caso, Victor De Sabata, ma per quella recita in cui al soprano mancò un attimo la voce. Ma era il 1951, e francamente pochi se la ricordano ancora. Poi ci fu “La traviata di Callas/Visconti”. 1955. (Gli “altri” del cast, tanto per dire, erano di Stefano/ Bastianini, direttore Giulini e, nei panni di Annina, quella Luisa Mandelli divenuta famosa in questi ultimi anni, solo per aver rispolverato il ricordo di aver fatto parte di quella storica edizione). Questa del 1955 è rimasta, negli annali, “La traviata”,  inamovibile punto di riferimento di tutte le Traviate e non per il celebre “lancio delle scarpette” (che poi lancio non era) che Visconti aveva imposto a Violetta dopo la festa del primo atto. Rimase “La traviata della Callas” quale pietra miliare. In molte tentarono di riattivarla. Fu sempre un disastro, a incominciare dall’infelice ripresa (1964) con Mirella Freni poi Anna Moffo (dirigeva von Karajan, tanto per dire).

Marina Rebeka, Francesco Meli, Caterina Piva (foto Brescia/Amisano)

Il titolo sparì dal cartellone scaligero. Finché Muti, con coraggio da leone, la ripropose come “La traviata dei giovani”. Era il 1990. Violetta era la sconosciuta Tiziana Fabbricini, che tenne cartellone per tre riprese (91/92/95). È l’ultima cantante, dopo la Callas, che si ricordi come titolare del ruolo: “La traviata della Fabbricini”. Fine. Nelle ulteriori 8 riprese, fino all’attuale, si sono alternate Violette anche non da buttar via (vedi Mariella Devia, Diana Damrau, Anna Netrebko…), ma chi se le ricorda, queste Traviate? Dov’è la fuoriclasse. Ieri siamo corsi per sentire Marina Rebeka (soprano léttone, graziosa, voce gradevole, canta correttamente). Non ha lasciato segno (almeno, nel mio immaginario). Alfredo, Francesco Meli (uno dei tenori attualmente più ricercati, specie per Verdi. Bell’aspetto, esibizione impeccabile). Germont, Leo Nucci (molto amato dal pubblico. Persona squisita e artista serio, dopo l’incidente di un infarto, è tornato a cantare con irreprensibile proprietà. Adesso la voce si sfibra e lui sopperisce con una intensa recitazione, a volte un po’ caricata. Però a questo punto, dopo oltre cinquant’anni di carriera…). Flora, Chiara Isotton (ah già, c’era anche Flora). Da segnalare che nella minima parte di Gastone figura Riccardo Della Sciucca, tenore allievo della Accademia della Scala. È da tenere d’occhio. Sul podio una garanzia: Myung-Whun Chung.
Lo spettacolo (Cavani/Ferretti ecc) è quanto di più soddisfacente possa immaginare uno spettatore amante della tradizione. Bellissimi sontuosi ambienti e costumi ottocenteschi. Taglio cinematografico tipo Gattopardo.
Si segnala che in alcune repliche ci saranno sostituzioni: Sonya Yoncheva (Violetta), Placido Domingo (Germont), Marco Armiliato (direttore). La traviata di ieri sera alla Scala ha sortito un successo al limite del delirio.
Tutti contentissimi. Ma perché, accidenti, a me vien voglia di piangere? Sarà l’età…

Repliche: 13, 16, 20, 22, 27 gennaio; 2, 5, 8 febbraio; 12, 14, 17  marzo.
www.teatroallascala.org

Assegnati i Premi Ubu 2018, gli Oscar del teatro italiano. Spettacolo dell’anno: “Overload”. E per la danza: “Euforia”

Lo “spettacolo dell’anno 2018”

MILANO, martedì 8 gennaio – (p.a.p.) Sono stati assegnati, al Piccolo Teatro Studio, i Premi Ubu 2018, considerati gli Oscar del teatro italiano (seguiti in diretta anche da Rai Radio 3, lunedì 7 alle 20.30). Ma, più che una cerimonia ufficiale, è stata per quasi tre ore una festa del teatro italiano, vissuta in un clima di gioiosa partecipazione. Ed è stato, come detto durante le premiazioni, non solo un riconoscimento, decretato per referendum tra oltre settecento spettacoli presi in considerazione nella scorsa stagione, cioè dall’1 settembre 2017 al 31 agosto 2018, ma anche un atto di riconoscenza nei confronti dei teatranti che, in un momento storico di grandi difficoltà economiche, hanno continuato a manifestare amore, generosità e spirito di sacrificio nei confronti del teatro.
La quarantunesima edizione del Premio Ubu, che ha visto in lizza ventidue nominativi di artisti fra le quindici categorie di spettacoli, è stata condotta da Graziano Graziani e Federica Fracassi, con interventi musicali di Enrico Gabrielli (clarinetto, flauto, sax) e Sebastiano De Gennaro (vibrafono, percussioni).

I VINCITORI PER CATEGORIE

Spettacolo dell’anno
Overload di Daniele Villa, Sara Bonaventura, Claudio Cirri (regia di Sotterraneo); produzione Sotterraneo; coproduzione Teatro Nacional D. Maria II nell’ambito di APAP – Performing Europe 2020, Programma Europa Creativa dell’Unione Europea

Migliore spettacolo di danza
Euforia ideazione e regia di Silvia Rampelli; produzione Habillé d’eau; coproduzione Armunia/ Festival Inequilibrio – Castiglioncello, Fabbrica Europa 2017

Migliore regia
Mimmo Borrelli per La cupa

Migliore attrice o performer
Ermanna Montanari (Va pensiero e Fedeli d’amore)

Migliore attore o performer: Gianfranco Berardi

Migliore attore o performer
Ex aequo: Gianfranco Berardi (Amleto Take Away) – Lino Guanciale (La classe operaia va in paradiso)

Premio Ubu alla carriera
Enzo Moscato

Migliore curatore/curatrice o organizzatore/organizzatrice
Ex aequo: Francesca Corona (Short Theatre) – Daniele Del Pozzo (Gender Bender)

Miglior allestimento scenico
Marco Rossi e Gianluca Sbicca (scene e costumi di Freud o l’interpretazione dei sogni)

Miglior progetto sonoro o musiche originali
Andrea Salvadori (Beatitudo)

Miglior spettacolo straniero presentato in Italia
Nachlass di Rimini Protokoll (Stefan Kaegi / Dominic Huber; produzione Theatre de Vidy, Losanna; coproduzione Rimini Apparat, Schauspielhaus Zurich, Bonlieu Scene nationale Annecy e la Batie-Festival de Geneve all’interno del programma INTERREG France-Suisse 2014-2020 Maillon, Theatre de Strasbourg-3 scene europeenne, Stadsschouwburg Amsterdam, Staatsschauspiel Dresden, Carolina Performing Arts)

Migliore attrice o performer Under 35

Miglior attrice o performer Under 35
Chiara Bersani

Miglior attore o performer Under 35
Ex aequo: Marco D’Agostin – Piergiuseppe Di Tanno

Migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica
La cupa di Mimmo Borrelli

Migliore nuovo testo straniero o scrittura drammaturgica
Afghanistan: Enduring Freedom di Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan, Naomi Wallace

Premi speciali
Aldes per il costante lavoro di ricerca coreografica unito alla ricerca di nuovi pubblici, e per aver dato vita a un vivaio di talenti nel campo della danza contemporanea che è divenuto riferimento a livello nazionale e ha saputo creare una cifra artistica riconoscibile ma non ancorata alla singola poetica di un unico artista.
Inoltre, ex aequo: Andrea Cosentino per la sua lunga opera di decostruzione dei linguaggi televisivi attraverso la clownerie, e in particolare per Telemomò, che attraversa i suoi lavori da anni. – La possibilità della gioia. Pippo Delbono di Gianni Manzella (edizioni Clichy, Firenze). Per un libro prezioso frutto di vent’anni di studio, osservazione e dialogo, che restituisce con passione militante la vicenda artistica e umana di uno dei protagonisti del teatro contemporaneo; per la rarità di una scrittura avvincente che concede molto al racconto senza mai rinunciare – Teatro dell’Acquario – Centro RAT di Cosenza per avere nel corso degli ultimi quarantadue anni creato, inventato, organizzato il teatro, in tutte le sue forme, in una città complicata come Cosenza. – Antonio Viganò e Accademia Arte della diversità per l’alta qualità della ricerca artistica, creativa e politica in ambiti spesso marginali e con attenzione capillare alla diversità.
Il Premio “Franco Quadri” 2018 è stato assegnato alla coreografa marocchina Bouchra Ouizguen

Un brindisi augurale a tutti i nostri lettori. Per festeggiare un anno di consensi. Ecco chi e perché legge “lo Spettacoliere”

MILANO – Collaboratori, articolisti, amici e sostenitori hanno festeggiato i buoni risultati, di consensi e diffusione, di “lo Spettacoliere”, ottenuti nel suo quinto anno di vita. L’occasione è stata data da un incontro conviviale, presso gli amici ristoratori di “Jubin”, a Chinatown.
Nei consueti auguri tradizionali in prossimità delle prossime Feste e dell’Anno Nuovo 2019, la redazione ha inteso soprattutto dedicare un particolare saluto augurale alle migliaia di nostri lettori.
La cifra, nello specifico, si riferisce alla relazione tenuta dal direttore Paganini, il quale ha tra l’altro specificato e illustrato alcuni interessanti e curiosi dati statistici del nostro blog.
Lo “Spettacoliere”, nel corso del 2018, ha totalizzato, per la precisione, 29.000 presenze di fedeli lettori, distribuiti, in ordine decrescente, fra Italia (massimamente concentrati a Milano e a Roma), Francia, Stati Uniti, Perù e Confederazione Elvetica (seguono altri Stati di più limitata diffusione).
Particolare sottolineatura è stata data agli indici di frequenza e alla qualità dei lettori durante tutto l’anno in corso. I picchi massimi di presenze si sono verificati nei mesi di maggio/giugno e novembre/dicembre, soprattutto nella fascia oraria dalle 16 alle 19, registrando peraltro una prevalenza maschile del 55% rispetto a quella femminile. Relativamente all’età, le più assidue presenze sono state quelle dei giovani della fascia dai 18 ai 34 anni (il 60%).
Per entrare sempre più nello specifico delle statistiche, l’articolo che nel 2018 ha fatto registrare il maggior numero di lettori è stata la recensione del film “Ogni tuo respiro”, di Andy Serkis, da noi pubblicato con il titolo “La vera storia di Robin Cavendish”, a firma della nostra critica d’arte e cinema Patrizia Pedrazzini, con 1356 presenze.
L’articolo più letto nell’arco dei cinque anni di “lo Spettacoliere” è stata la recensione del film “Land of Mine – Sotto la sabbia” di Martin Zandvliet, marzo 2016, con il titolo “Orrore e pena. Anche i bambini-soldato mandati a sminare le spiagge danesi”, a firma della nostra critica di teatro e cinema Emanuela Dini, con 1283 presenze.
La critica musicale Carla Maria Casanova, una delle nostre più seguite articoliste, ha fatto tra l’altro registrare un singolare primato di fedeltà affettiva: il suo articolo, da noi pubblicato il 10 febbraio con il titolo “Tannhauser, l’opera che ossessionò Wagner tutta la vita”, è stato letto e riletto da un nostro lettore per 24 minuti di fila. Meritava evidentemente di essere mandato a memoria.
Inoltre, va doverosamente citato lo strepitoso successo di visite, registrate nel corso dell’anno su Facebook, dal nostro critico letterario, Andrea Bisicchia, con le sue chiare e illuminanti recensioni.
Un particolare ringraziamento ai nostri amici fiorentini, per averci dedicato il tascabile e prezioso Lunario 2019, “Il vero Sesto Cajo Baccelli”, intitolato allo “strolago” di Brozzi, del 1600, il più antico calendario italiano, aggiornato di anno in anno con sestine, curiosità. fasi lunari, eclissi, consigli sull’orto e giardini, fiere e mercati. Graditissimo omaggio a tutti i presenti.
Un simbolico, cordiale brindisi augurale a tutti i nostri Lettori e alle loro Famiglie per un felice 2019.

www.lospettacoliere.praticabioenergetica.it

Milano e il Cinema: 200 foto, locandine, manifesti e video per “girare” la storia di un amore lungo più di cent’anni

Totò e Peppino De Filippo durante le riprese di “Totò, Peppino e la… malafemmina” (1956)

MILANO, giovedì 8 novembre ► (di Patrizia Pedrazzini) Milano, 1896 e anni immediatamente successivi. Risale ad allora l’allestimento, in un baraccone della fiera di Porta Genova, del primo “modello” di cinematografo (uno strumento che funzionava sia da camera che da proiettore), importato in Italia dalla Francia dei fratelli Lumière (che lo avevano brevettato nel 1895). Di lì a un decennio, nel 1907, nella medesima fiera, di padiglioni cinematografici se ne contavano dodici, al culmine di una fase di sviluppo che si arresterà di fatto solo nel ’13, alla soglia del primo conflitto mondiale.
Incomincia così, a Palazzo Morando, il percorso espositivo della mostra “Milano e il Cinema”, che fino al prossimo 10 febbraio si propone di raccontare, attraverso circa 200 tra fotografie (la gran parte), manifesti, locandine e contributi video, il rapporto fra il capoluogo lombardo e lo sviluppo dell’industria cinematografica. Dalle prime sperimentazioni degli anni Dieci all’epoca d’oro degli anni Sessanta, fino alle produzioni più recenti, caratterizzate dalla nascita di un genere commedia tutto milanese che ruota intorno ai nomi di Renato Pozzetto, Adriano Celentano, Diego Abatantuono, Aldo Giovanni e Giacomo, solo per citarne alcuni.
Un lavoro cronologicamente preciso, che non tralascia alcunché, nemmeno il temporaneo trasferimento, durante il Ventennio, dell’industria filmica che, da Milano, approda ai teatri di posa della neonata Cinecittà. E in effetti nella mostra milanese c’è tutto, o quasi. Gli stabilimenti cinematografici del fotografo e cineasta Luca Comerio a Turro, la “Musical Film” dell’editore Renzo Sonzogno, la città che, solo nel 1908, arriva a vantare 70 sale di proiezione, sparpagliate per il centro, ognuna presidiata da un imbonitore in divisa, col compito di richiamare l’attenzione dei passanti. E poi i film, i registi, gli attori. “Gli uomini che mascalzoni” di Camerini, “Cronaca di un amore” di Antonioni, “Miracolo a Milano” di De Sica. Mentre nemmeno tanto lentamente la città si trasforma, diventando sempre più esuberante, caotica e ricca, meta e miraggio degli emigrati dal Sud: ecco allora “Napoletani a Milano” di De Filippo e “Siamo tutti milanesi”, di Landi. E, in parallelo, la città che a ritmi vertiginosi si fa sempre più moderna, ma anche più fredda e dura. Dagli anni Sessanta al buio dei Settanta è un attimo: “La vita agra” di Lizzani, “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti, “La notte” di Antonioni, “Il posto” di Olmi, “Teorema” di Pasolini.
E ancora i film che ruotano intorno all’identificazione fra città e fabbrica (“La classe operaia va in paradiso”, di Petri, “Delitto d’amore” di Comencini), e tutta la serie dei “poliziotteschi” interpretati dai vari Tomas Milian, Claudio Cassinelli, Henry Silva e tanti altri. E la comicità surreale (quella già di Tino Scotti e di Dario Fo), che fa tanto “milanese”, sempre velata da una patina di tristezza, così diversa da quella romana, per esempio (basti pensare alla differenza fra un Renato Pozzetto e un Carlo Verdone). E avanti, fino a “Gli sdraiati” di Francesca Archibugi, del 2017: la Milano di oggi, con i suoi grattacieli, il suo bosco verticale, la sua volontà di svettare anche al di là, e oltre, le guglie pure insostituibili del Duomo.
Una Milano, certo, sempre più fotogenica e variegata nel suo trasformarsi, di volta in volta, in un sempre nuovo e diverso set cinematografico. Sono lontani i tempi dei primi filmati Lumière, per i quali pareva che esistesse solo piazza del Duomo. Ma una Milano pur sempre, oggi come allora, discreta, riservata, quasi distaccata. Nella quale si va affermando un modo di fare cinematografia fortemente legato ai temi dell’imprenditorialità e del denaro, che le sono del resto particolarmente consoni. E che si concretizza nella cinematografia industriale (a metà tra il documentario e la comunicazione promozionale) e in quella di animazione, quindi pubblicitaria (già qualche decennio fa, il 95% dei Caroselli era “milanese”, ideato o girato nel capoluogo lombardo).
Una mostra che riesce a passare come se niente fosse dai casermoni popolari di Cinisello Balsamo di “Romanzo popolare” (con una giovanissima Ornella Muti) di Mario Monicelli ai selciati lividi e spietati de “I cannibali” (e della loro moderna Antigone) di Liliana Cavani, a Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino nel bel mezzo di un incrocio, sorseggia serafico il suo Cynar, “contro il logorio della vita moderna”. A tutto aprendosi e tutto facendo proprio. Più Milano di così.

“Milano e il Cinema”, Milano, Palazzo Morando, Via Sant’ Andrea 6. Fino al 10 febbraio 2019.
www.mostramilanoeilcinema.it