Milano ai tempi della mala. Bische, “loschi affari” e morti ammazzati. In 170 foto e reperti, da via Osoppo al bel René

1977, l’arresto di Vallanzasca

(di Patrizia Pedrazzini) Sorridono contenti, Francis Turatello e Renato Vallanzasca, immortalati mentre brindano alle nozze (in carcere) del secondo, cui il primo ha fatto da testimone. Sono giovani e belli, ancorché delinquenti. Pieni di soldi e di donne. È il 1979. Finirà male. Francis “Faccia d’angelo” sventrato a coltellate, a 37 anni, nel carcere di massima sicurezza di Badu ’e Carros, in Sardegna, dal camorrista Pasquale Barra, detto “’o animale”. Che subito dopo, si racconta, si sarebbe avventato sul cadavere addentandone l’intestino. Brutta morte.
Quanto al “bel René”, è ancora dentro (nella sua non breve carriera criminale è riuscito a collezionare quattro ergastoli e 295 anni di reclusione), e ha decisamente perso lo smalto di un tempo.
Ecco, per chi quegli anni li ha vissuti e li ricorda è forse questa la foto più “suggestiva” fra i 170 fra scatti in bianco e nero e reperti che riempiono la bella mostra “Milano e la mala. Storia criminale della città dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca”, a Palazzo Morando fino all’11 febbraio.

Rapina di Via Osoppo, 1958, Archivi Farabola

Una sorta di “operazione nostalgia” alla riscoperta di una Milano che non c’è più, nella quale, al calar delle tenebre, le strade erano attraversate “quasi esclusivamente da loschi figuri, dediti ad altrettanto loschi affari”. La Milano dei night e del gioco d’azzardo, delle bische e della prostituzione e, di lì a poco, del mercato della droga. Enzo Barbieri, “il bandito dell’Isola” (o anche “il Robin Hood di via Borsieri”), Angelo Epaminonda detto “il Tebano”, Joe Adonis, Luciano Liggio, Luciano Lutring, meglio conosciuto come “il solista del mitra”, per via del fatto che andava in giro col fucile mitragliatore nascosto nella custodia di un violino. Quarant’anni di storia cittadina, più o meno dall’immediato dopoguerra al 1984, che ebbero il loro primo, grande “picco” nella rapina di via Osoppo, del 1958: sette uomini all’assalto di un furgone portavalori e un bottino, allora, di oltre 614 milioni di lire, portato via senza sparare un colpo. Tra l’altro il “colpo” rappresentò anche il momento più alto della “Ligera”, quella particolare forma di delinquenza tutta milanese che, nata nell’Ottocento e composta da piccoli gruppi di criminali, finì poi col diventare oggetto di romantico ricordo nel bagaglio delle canzoni popolari.
E i quartieri: il Giambellino, l’Isola, la casbah di via Conca del Naviglio, il Ticinese. E le forze dell’ordine, con il loro impegno e le loro vittime. Il vice brigadiere Giovanni Ripani, ucciso il 17 novembre 1976, a 27 anni, in Piazza della Vetra da rapinatori della banda Vallanzasca. E le figure del commissario Mario Nardone (“il Maigret italiano”) e del futuro questore Achille Serra. E, sparse per la città, le colonnine per le chiamate d’emergenza alla Polizia. I morti ammazzati sui marciapiedi del Lorenteggio, la strage di via Moncucco, la sparatoria di Dalmine, i ragazzi stroncati dall’eroina sulle panchine dei parchi. I “cumenda” ai tavolini del “Pussy Cat” e le prostitute in piazza San Babila.
E le locandine dei film di quegli anni: “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani, del ’68, “Milano violenta”, di Mario Caiano (1976). E le prime pagine de “La Notte”, il quotidiano del pomeriggio che, con le sue tre edizioni, era più che mai “sulla notizia” in tema di cronaca milanese, e non solo, soprattutto “nera”. Perché c’è da dire che la mostra di Palazzo Morando, al di là del valore che riveste in quanto testimonianza di un passato che sarebbe un gran peccato dimenticare, è anche una buona occasione per riflettere su come il fotogiornalismo sia, negli ultimi decenni, profondamente cambiato. Oggi tante foto non solo non si riuscirebbero a fare, ma soprattutto sarebbero – fra codici deontologici, normative sulla privacy e protocolli di tutela – totalmente impubblicabili. E non è per rimpiangere i tempi andati, ma di sicuro allora le notizie non si aveva paura di darle. (Che poi ci sarebbe da discutere se sia peggio l’immagine di un morto ammazzato o l’intervista a due genitori disperati per la morte di un figlio, tanto cara a tanto contemporaneo trashume televisivo. Ma questa è un’altra storia).
Bella mostra. Per chi c’era e per chi vuole conoscere.

“Milano e la mala. Storia criminale della città dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca”, Milano, Palazzo Morando, via Sant’Andrea 6. Fino all’11 febbraio 2018
www.mostramalamilano.it

Caravaggio. A Milano 20 tele da togliere il fiato. Ognuna con la sua radiografia. Per vedere cosa c’è sotto. Ed è subito boom

Riposo durante la fuga in Egitto, 1597 – Olio su tela, 135,5 x 166,5 cm. – Galleria Doria Pamphilj, Roma – © 2017 Amministrazione Doria Pamphilj s.r.l.

MILANO, venerdì 29 settembre (di Patrizia Pedrazzini) C’è ancora qualcosa che non sia stato scritto su Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nato a Milano (i genitori erano di Caravaggio, paese della Bassa Bergamasca nelle campagne fra Bergamo e Lodi) il 29 settembre 1571 e morto in un ospizio di frati a Porto Ercole il 18 luglio 1610, solo e devastato da una febbre altissima, forse di tifo, forse avvelenato dal piombo dei suoi stessi colori?
Che cosa la sterminata bibliografia che lo accompagna ha ancora da raccontare della sua breve vita consumata fra bordelli e osterie, debiti e arresti, risse e omicidi, agguati ed evasioni? Delle sue prostitute (non poteva pagarsi vere modelle) prese a dare volto e corpo a sante e Madonne? Ma quanto è bella Fillide Melandroni, ora Giuditta che taglia la teste a Oloferne, ora Maria Maddalena in compagnia della sorella Marta, “interpretata” dall’amica e collega Annuccia. Che è poi Anna Bianchini, “dai capelli rosci e lunghi”, ora Maddalena penitente (con il lobo dell’orecchio forato e ancora arrossato per l’orecchino che, strappato, giace a terra con gli altri gioielli), ora amorevole madre del piccolo Gesù durante la fuga verso l’Egitto.

Sacra Famiglia con San Giovannino, 1604 circa – Olio su tela, 117,5 x 96 cm. – New York, The Metropolitan Museum of Art – © 2017. Image copyright The Metropolitan Museum of Art /Art Resource/Scala, Firenze

Il genio, il tormento, la dannazione. Il buio e la luce. Niente che ancora non sia stato scritto.
Eppure sembra non bastare mai. E ne è riprova la bellissima mostra “Dentro Caravaggio” che, promossa e prodotta da Comune di Milano, Palazzo Reale e MondoMostre Skira (che ne ha curato anche il catalogo), e in programma a Palazzo Reale fino al prossimo 28 gennaio, già in sede di inaugurazione ha fatto registrare un vero e proprio boom di prenotazioni. Perché venti tele di Caravaggio, tutte insieme, tutte di una bellezza da togliere il fiato, sono da sindrome di Stendhal.
Senza contare, al di là dei dipinti in sé, la possibilità di “leggere”, attraverso puntuali riflettografie e radiografie (indagini diagnostiche realizzate grazie al Gruppo Bracco, partner dell’esposizione) in grado di penetrare in diversa misura sotto la superficie pittorica, tutte le tappe del procedimento creativo dell’artista nell’esecuzione di ogni singolo quadro. I pentimenti, i rifacimenti, gli aggiustamenti. Tutto quello, insomma, che “c’è sotto”.
Così da scoprire, per esempio, come sia da sfatare il mito per cui Caravaggio non avrebbe mai disegnato, visto che la presenza di chiari tratti di disegno è emersa sulla preparazione chiara delle opere giovanili. O come, nel “Riposo durante la fuga in Egitto” (1597), dipinto su tela di Fiandra, e nel quale spicca l’eccezionale invenzione dell’angelo visto di spalle che, in procinto di suonare il violino, divide in due la composizione, la figura appunto dell’angelo sia stata inizialmente abbozzata al margine destro del quadro, mentre il gruppo della Madonna e del Bambino era più centrale. O, ancora, come nel “Ragazzo morso dal ramarro”, dello stesso anno, emergano, sul fondo a destra, tracce di un poggiamano, l’utensile che il pittore utilizzava per stabilizzare la mano con la quale dipingeva (e il ragazzo, che si ritrae di scatto per il morso del piccolo rettile, è lo stesso Caravaggio il quale, come sempre a corto di denaro da spendere in modelli, per risparmiare ritrae qui se stesso allo specchio). Mentre nel “San Giovanni Battista” della Galleria Corsini (1604) la croce di canna è decisamente passata dalla mano sinistra alla destra, ed è scomparso, sulla destra in alto, l’iniziale abbozzo di un agnello, simbolo iconografico del santo.
Per non parlare del “Martirio di Sant’Orsola” (1610), l’ultima opera dell’artista, con la quale la mostra di Palazzo Reale (costata tre milioni e mezzo di euro) chiude anche il proprio percorso espositivo. Una tela il cui stato conservativo è piuttosto compromesso (il dipinto fu ritirato dal committente quando i colori non erano ancora del tutto asciutti, per cui venne esposto al sole, col risultato di scioglierli ulteriormente), ma che ben evidenzia come, alla fine, in Caravaggio il buio della preparazione avesse ormai preso il sopravvento sulla luce e sulle forme. Per cui le figure, definite solo da poche pennellate, sono letteralmente inghiottite dal fondo scuro. Mentre fra l’urlo del carnefice e il capo reclinato della martire compare una spettacolare mano che sembra voler fermare la freccia mortale.
“Quando non c’è energia non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita”.
Da vedere. Assolutamente.

“Dentro Caravaggio”, Milano, Palazzo Reale, fino al 28 gennaio 2018.
Per informazioni:
www.palazzorealemilano.it
www.caravaggiomilano.it

 

Sarzana per tre giorni palcoscenico di creatività. Argomento: la rete. In tutte le sue accezioni, nelle discipline più diverse

SARZANA (La Spezia), mercoledì 19 luglio – La XIV edizione del Festival della Mente, primo festival in Europa dedicato alla creatività e alla nascita delle idee, si svolgerà a Sarzana dal 1 al 3 settembre:
www.festivaldellamente.it
Tre giornate con 65 relatori italiani e internazionali e 41 appuntamenti tra incontri, workshop, spettacoli e momenti di approfondimento culturale, che trasformeranno la cittadina ligure in un palcoscenico della creatività. Filo conduttore di questa edizione, sul quale si confronteranno scienziati, filosofi, scrittori, storici, artisti, psicoanalisti, designer, antropologi, è la rete. Il tema sarà analizzato da diversi punti di vista e attraverso ambiti e discipline differenti, per consentire al pubblico di approfondire i temi più attuali della contemporaneità, sempre con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti.
Rete è un concetto che racchiude molteplici significati e può essere declinato in molti modi“, dichiara la direttrice Benedetta Marietti. “Dal web alla rete intesa come insieme di relazioni umane; dalle reti che ci ingabbiano e imprigionano all’esplorazione delle reti neurali nelle neuroscienze; dalla rete della solidarietà fino all’importanza della rete nella biologia, nella fisica, nella matematica, e perfino nello sport. Attraverso l’indagine di un tema è così possibile affrontare argomenti e campi diversi del sapere, dalle più recenti scoperte scientifiche agli ambiti di pensiero artistico e umanistico, in linea con la vocazione multidisciplinare e divulgativa del Festival della Mente“.

ALCUNI TEMI TRATTATI

La rete può essere considerata un sistema di relazioni pregresse che creano impedimenti, coazioni e nevrosi, automatismi e pregiudizi, rituali e ossessioni; lo scrittore Michele Mari ne fornisce un vasto campionario: precetti, tabù, schiavitù del feticismo e del collezionismo, pesanti eredità letterali e metaforiche, tare ataviche.

Il maestro elementare Franco Lorenzoni porta al festival l’esperienza della sua Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, in Umbria, un luogo di ricerca educativa e artistica molto speciale.

La rete dei legami sociali ha, secondo Freud, come sua mitica condizione di fondo, l’uccisione del padre e la nascita del tabù; il nostro tempo sembra invece sbarazzarsi di ogni forma di divieto. Lo psicoanalista Massimo Recalcati indaga cosa ci insegnano i tabù e quanti ne esistono ancora al mondo.

Il matematico Paolo Zellini assieme allo scrittore e divulgatore scientifico Marco Malvaldi analizza “La Rete come struttura matematica.

In che modo il digitale sta influenzando la filosofia profonda che sta dietro il nostro pensiero? Che cosa succede alle nostre idee più radicate quando il mondo passa da una mentalità meccanicistica a una abituata al concetto di rete? La tecnologia, risponde il filosofo Luciano Floridi, formatta il nostro modo di pensare. E la tecnologia dell’informazione lo fa in modo ancora più radicale.

La neurologa Marilù Gorno Tempini, che dirige il laboratorio di neurobiologia del linguaggio dell’Università della California di San Francisco, parla della dislessia.

Con l’avvento dei Lumi, ricorda la francesista Benedetta Craveri, la conversazione diventa una rete di informazione, uno dei principali laboratori dell’opinione pubblica.

Uno dei pregiudizi più comuni quando si parla di televisione è l’idea che essa sia un mezzo di comunicazione standardizzato, ripetitivo e di scarsa originalità. L’esperto di media Massimo Scaglioni assieme ad Axel Fiacco, ideatore di format per il piccolo schermo, svelano i meccanismi nascosti della creatività televisiva.

“Alla ricerca della rete perduta” è il titolo dell’incontro con Darwin Pastorin, che racconta storie e aneddoti del mondo… del calcio attingendo alla sua lunga esperienza di cronista sportivo.

Il maestro Omer Meir Wellber dialoga con il direttore artistico Paolo Gavazzeni spiegando come mai l’esecuzione di uno stesso brano musicale risulti essere sempre diversa.

ALCUNI SPETTACOLI (ANCHE IN ANTEPRIMA)

Torna quest’anno la trilogia dello scrittore e studioso del pensiero antico Matteo Nucci, accompagnato da letture dell’attrice Valentina Carnelutti. Il tema indagato è “La rete di Eros” in tre incontri dedicati alla seduzione (venerdì), al tradimento (sabato) e alla riconquista (domenica).

Massimo Recalcati porta in anteprima a Sarzana la prima tappa dello spettacolo “Il segreto del figlio”: un figlio è un’esistenza unica, distinta da quella dei genitori. Contro ogni autoritarismo, Recalcati, accompagnato dalle letture dell’attrice Federica Fracassi e da un coro di voci bianche, afferma il diritto del figlio a custodire il segreto della sua vita e del suo desiderio.

“Gorla fermata Gorla”: la tragica vicenda della scuola Francesco Crispi di Gorla, colpita durante la Seconda Guerra Mondiale da una bomba che uccise 184 bambini, è raccontata dall’emozionante voce dell’attrice Giulia Lazzarini insieme a due giovani attori, Federica Fabiani e Matthieu Pastore.

La sezione per bambini e ragazzi, curata da Francesca Gianfranchi, sarà poi un vero e proprio festival nel festival con 31 protagonisti e 22 eventi (con 45 repliche).

(Dal comunicato stampa)

Arte, musica e tecnologia a Venezia. Tre anni per tre grandi. Apre Giotto (2017), poi Canova (2018), Raffaello (2019)

VENEZIA – La grande mostra multimediale MAGISTER GIOTTO, in occasione delle Celebrazioni dei 750 anni dalla nascita GIOTTO (Colle di Vespignano 1267 – Firenze 1337), è la prima delle tre esposizioni che compongono la trilogia MAGISTER – annualmente dedicate a grandi Maestri dell’arte italiana: GIOTTO (tardo Medioevo), CANOVA (Neoclassico, estate 2018) e RAFFAELLO (Rinascimento, estate 2019), negli spazi della monumentale Scuola Grande della Misericordia di Venezia, dal 13 luglio al 5 novembre 2017. Il progetto espositivo – di alto rigore scientifico e impegno scenografico e filmico – fa parte del format MAGISTER – prodotto da Cose Belle d’Italia Media Entertainment per promuovere il pensiero e l’arte italiana a livello internazionale. Ogni mostra prevede la collaborazione di Comitati Scientifici costituiti dai principali studiosi di ogni artista per coniugare in maniera originale e innovativa ricerca artistica e tecnologia multimediale con le ulteriori collaborazioni di autori della cultura italiana, come musicisti, scrittori, attori, scenografi per creare percorsi culturali unici e contemporanei.
La mostra MAGISTER GIOTTO ha la direzione artistica di Luca Mazzieri, autore e regista, e la direzione  esecutiva di  Alessandra Costantini, architetto e progettista.
La mostra è allestita negli ampi spazi della Scuola Grande della Misericordia – per un totale di 28.000 metri cubi (il secondo spazio veneziano per ampiezza dopo Palazzo Ducale). Il percorso espositivo (della durata di circa 45 minuti) si snoda tra il piano terra e il primo piano, nei quali il visitatore, è accompagnato dalla voce di Luca Zingaretti per la narrazione dei testi, e dalla drammaturgia musicale originale del compositore contemporaneo Paolo Fresu.
La produzione artistica di Giotto è narrata attraverso un percorso verbale – visivo – musicale nel quale verrà spiegata ed approfondita la rivoluzione compiuta dalla sua opera nel tardo Medioevo, che ha rinnovato l’arte occidentale aprendo la strada al Rinascimento verso l’età moderna.
Scuola Grande della Misericordia, Sestiere Cannaregio 3599 – 30121 Venezia
www.magistergiotto.com
info@magistergiotto.com

Konrad Mägi, un inquieto giramondo, difficile e insofferente, ma capace di trasmettere con il colore gioia e ottimismo

ROMA – In concomitanza con l’avvio del Semestre di Presidenza Estone dell’Europa, l’Eesti Kunstimuuseum – Museo nazionale d’arte, Estonia e l’Ambasciata dell’Estonia in Italia promuovono, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la prima ampia mostra europea su Konrad Mägi (1878 – 1925), uno dei maggiori artisti del Novecento estone.Per il pubblico italiano Mägi sarà una clamorosa riscoperta. Per molti versi Mägi resta un artista e un uomo difficile da collocare negli “ismi” di quegli anni. Si confronta con tutti, nelle sue opere ne sfiora alcuni, l’espressionismo fra tutti, ma non ne fa proprio nessuno. Così come non si appiattisce, pur amandola, sulla tradizione artistica estone. È un artista originale, unico nel panorama continentale del momento. Anche perché del tutto personale era il suo approccio con la pittura, arte con la quale si misurò per meno di un ventennio, a partire dal 1906 quando, abbandonata la scuola a San Pietroburgo, si rifugiò alle Isole Åland, in quella che era una specie di comune di musicisti, scrittori, pittori e uomini liberi. Poi il soggiorno a Parigi, quello in Normandia e, ancora, in Norvegia. Uomo fortemente irrequieto, problematico, instabile, Mägi torna in Estonia a partire dall’estate del 1912. Qui fu uno dei rifondatori di Scuola d’Arte di Pallas, che diventa un campus per decine di artisti. L’ambiente naturale di Saaremaa, dove soggiornò per periodi alle terme, risultò straordinariamente consono alla sua pittura. A stimolarlo non era la visione romantica, sentimentale della natura, ma la percezione del paesaggio, di boschi, prati e acque, colti come potente sintesi di bellezza e potenza. Pochi anni e Mägi viene colto da nuova irrequietezza e, ai primi del 1920, ricomincia a peregrinare in Europa. Visita Venezia, Capri e Roma. Il sole, la luce, i colori del Mediterraneo sembrano catturarlo ma l’artista continua a misurarsi con i problemi di una complessa vicenda umana, in costante difficile equilibrio. La morte prematura, nel 1925, conclude l’esistenza d’un artista intenso, complesso, difficile, eppure capace di trasmettere, con i suoi quadri, allegria, positività, gioia, in un trionfo di colori brillanti e potenti, sia negli amatissimi paesaggi sia nei potenti caratteri dei ritratti.
Info:
lagallerianazionale.com

Grandi del passato e contemporanei a confronto con l’opera di Marino Marini. Una prima restrospettiva in dieci sezioni

PISTOIA Con il titolo “Marino Marini. Passioni visive” la Fondazione Marino Marini propone, del Maestro, la prima retrospettiva. L’esposizione, che si terrà in Palazzo Fabroni a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, si presenta come uno dei momenti di punta delle Celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della Cultura 2017. Dopo Pistoia, la mostra si trasferirà alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dal 27 gennaio al 1 maggio 2018. “Manca ancora, nella vicenda espositiva e nella letteratura scientifica su Marini, un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua ricerca di scultore“, afferma la Direttrice della Fondazione Maria Teresa Tosi. “Lo stato odierno degli studi sembra richiedere questa prospettiva: l’unica che può restituire all’artista la sua posizione di assoluto rilievo nella vicenda del modernismo novecentesco internazionale. Da qui è nata l’idea di questa mostra che vuole ripercorrere tutte le fasi della creazione artistica del Maestro, dagli anni Venti agli anni Sessanta”.  La mostra si articola in dieci sezioni, tutte caratterizzate dal raffronto tra le opere dello scultore pistoiese e quelle di altri grandi del passato o di suoi contemporanei. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929 che fu un passaggio determinante della sua svolta arcaista, si misura con una testa greco-arcaica da Selinunte e con un coperchio figurato di una sepoltura etrusca.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul soggetto del nudo maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere capitali del medesimo tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, Marini reinventa il significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato, specialmente all’arte egizia, da cui desume la lezione di una volumetria pura, intrinsecamente monumentale. Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da una originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si confrontano in mostra con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le maggiori proposte europee del tempo nella difficile partita di trasformare il corpo femminile in una forma astratta. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra proporrà confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei.
Info:
www.fondazionemarinomarini.it

Prima retrospettiva alla riscoperta d’un artista “dimenticato”: Francesco Verla, un protagonista del Rinascimento veneto

TRENTO – A mezzo secolo dalla pubblicazione dell’unica indagine sull’artista, allora curata da Lionello Puppi, il Museo Diocesano Tridentino propone la prima retrospettiva su Francesco Verla (1470 – 1521). “È un risarcimento dovuto a un grande protagonista del Rinascimento tra Veneto e Trentino, a torto dimenticato”, afferma Domenica Primerano, Direttrice del Tridentino. Nelle sale del Museo Diocesano (che valgono da sole la visita) si potrà, per la prima volta, vedere riunita la gran parte delle opere di Verla: dalle soavi pale d’altare ispirate all’“aria angelica et molto dolce del Perugino” ai fregi a grottesche, di cui era uno specialista. L’esposizione avrà inoltre un’articolazione sul territorio con i cicli affrescati nella chiesa di San Pantaleone a Terlago e sulle facciate di Casa Wetterstetter a Calliano. A dar conto di un artista tutt’altro che secondario nell’arte italiana ed europea a cavallo tra Quattro e Cinquecento, “alfiere del Rinascimento” in territorio alpino.
www.museodiocesanotridentino.it

Un secolo “breve”, ma tra i più fecondi e tumultuosi dell’arte italiana, iniziato tragicamente con la catastrofe della guerra

VIAREGGIO – La Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna propone, nella sua sede accanto al Lungomare di Viareggio, dal 7 luglio al 5 novembre prossimi, una mostra di singolare interesse, dal titolo “Il secolo breve” (si richiama al celebre saggio pubblicato nel 1994 da Eric Hobsbawm). Il sottotitolo della Mostra, “Tessere di ‘900”, vuole invece dar conto di una esposizione che propone una serie di testimonianze del Secolo trascorso: tessere d’un mosaico che, letto nel suo insieme, evidenzia un periodo artistico tra i più fecondi e creativamente tumultuosi dell’arte italiana. Un buon numero delle 50 opere riunite per la mostra proviene da collezioni private, esposte al pubblico per la prima volta. Nel percorso espositivo, concepito da Susanna Ragionieri, le nature morte di Thayat, Balla, Severini e De Pisis emergono per il sentimento di classicità di cui sono pervase, mentre le figure di Spadini e Campigli si contrappongono, pur nella comune impronta parigina, per l’evocazione di un passato colto e dal cuore antico. Il paesaggio, infine, si offre nei volti più variegati attraverso le suggestive visioni di Rosai, Lloyd, Guidi e Paresce, a cui si  aggiungono Morandi, Guttuso, Viani e De Chirico. Eric Hobsbawm, in “Il secolo breve”, condensa il Novecento in tre periodi, non esitando ad indicare il primo, compreso tra il 1914 e il ’45, come quello della “catastrofe” per le ferite sociali e le crisi economiche, ma fecondo, rivoluzionario e ricco di fermenti. Portando la lancetta del tempo al 1909, all’alba di quello che qualcuno ha definito anche “il secolo delle speranze deluse”, quando Marinetti pubblica su “Le Figaro” il Manifesto del Futurismo, ci si avvede che la pittura italiana, lasciatasi alle spalle la lezione degli Impressionisti e di Cézanne, si apre ad uno dei momenti più dirompenti e felici, una trasformazione visiva scaturita dallo stesso Futurismo e dalla Metafisica, nonché al recupero della forma operato da Novecento, movimento che, riallacciandosi alla tradizione, ha elaborato una nuova idea figurativa in grado di dialogare con il presente.
Centro Matteucci per l’Arte Moderna – via G. d’Annunzio, 28 – Viareggio.
Dal 7 luglio al 5 novembre
www.cemamo.it

Monaco, Vienna, Praga e Roma. Ora, per la prima volta, le quattro Secessioni in un unico panorama storico-artistico

ROVIGO – Negli ultimi anni in Italia il tema delle Secessioni è stato indagato e presentato in rassegne prevalentemente dedicate al singolo episodio viennese e a quello romano. “Secessione. Monaco Vienna Praga Roma. L’onda della modernità”, la mostra a cura di Francesco Parisi in programma a Rovigo, a Palazzo Roverella, dal 23 settembre al 21 gennaio 2018, propone per la prima volta un panorama complessivo delle vicende storico-artistiche dei quattro principali centri in cui si svilupparono le Secessioni: Monaco, Vienna, Praga e Roma. Evidenziando differenze, affinità e tangenze dei diversi linguaggi espressivi nel primo vero scambio culturale europeo, basti pensare a Gustav Klimt e a Egon Schiele che esposero alle mostre della Secessione Romana o a Segantini che partecipò alle annuali mostre viennesi. Nella rassegna vengono messi in evidenza gli esiti modernisti della secessione monacense, il trionfo del decorativismo della secessione viennese, il visionario espressionismo del gruppo Sursum praghese fino al crocevia romano e alla sua continua ricerca di una via altra e diversa. L’esposizione promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, si avvale della prestigiosa collaborazione delle principali istituzioni museali europee, dall’Albertina di Vienna alla Klimt Foundation, dal Museo Villa Stuck di Monaco alla Narodni Galerie di Praga e di altre importanti collezioni museali europee.
Scandita per sezioni tematiche dedicate alle singole città europee, la mostra si apre, cronologicamente, con la Secessione di Monaco.Quando, nel 1892, apparve sulla scena, non presentava una fisionomia ben definita e specifica, ma presto avrebbe assunto quel taglio modernista che sarà definito Jugendstil, titolo derivato dalla rivista «Jugend» che ospitò le illustrazioni della giovane bohème monacense. Al movimento aderirono Franz von Stuck, Anders Zorn, Max Klinger, Max Liebermann, Ludwig von Hofmann.
La Secessione di Vienna si formò nel 1897 e rappresentò, sin dal suo esordio, l’evoluzione e il superamento di tutte le formule allora esistenti, incluso il simbolismo. Sostenuto dallo scrittore Ludwig Hevesi e dal pittore Gustav Klimt.
La Secessione di Praga prese forma in una serie di gruppi di artisti più o meno organizzati, che a partire dal 1890 si ritrovarono a manifestare le loro idee in aperto contrasto con l’arte ufficiale boema. Dato il grande sviluppo dell’illustrazione, del disegno e dell’incisione, circa un terzo dell’intera sezione sarà costituito da opere su carta.
La Secessione di Roma (1913-1916) aveva una formula diversa, quella dell’esposizione libera e “giovane” che permetteva al suo interno, seppur con alcune limitazioni, lo svilupparsi di linguaggi differenti. La Prima Esposizione Internazionale della Secessione fu l’occasione per vedere in mostra per la prima volta opere di Matisse e dei post-impressionisti, mentre l’anno successivo, alla II Esposizione, accanto a Cézanne e Matisse, furono presenti Klimt e Schiele.
Info:
www.palazzoroverella.com