(di Andrea Bisicchia) – Per i pochi critici teatrali rimasti, la recensione, da parecchi anni, è diventata settimanale, e non sempre, dato che, spesso, salta, anche perché i giornaloni le preferiscono altre pagine inutili da infarcire che nessuno legge. Al tempo della Rivista “Omnibus”, il settimanale di Leo Longanesi, che ebbe due anni di vita, dal 1937 al 1939, Alberto Savinio teneva una rubrica: “Palchetti romani”, diventata il titolo di un libro pubblicato da Adelphi, a cura di Alessandro Tinterri, dove sono raccolte tutte le sue recensioni, scritte, settimanalmente, con quello stile inconfondibile che mi ha fatto pensare alle recensioni di Alberto Arbasino, raccolte da Feltrinelli in “Grazie delle magnifiche rose”, con l’ironia sorniona, ma tagliente che le caratterizzava.
Savinio era solito dire che, scrivere per un settimanale, gli dava la libertà di recensire scegliendo tra autori o Compagnie che avessero un senso e che fossero degne di interesse. In quel tempo e anche dopo, fino agli anni Novanta, i critici teatrali erano in tanti a scrivere le recensioni che venivano pubblicate il giorno dopo. Questo, per dire che la condizione del critico, oggi, non è molto diversa da quella di Savinio di settant’anni fa.
Nicola Fano, che si è sempre occupato di teatro, sia come critico, che, come direttore di teatro e come docente, ha raccolto, in un volume monografico: “IL COMICO HA VITA BREVE”, Succedeoggi Libri. un certo numero di recensioni di Savinio apparse, non solo su “Omnibus”, ma anche sulla Stampa e sul Tempo, tutte dedicate a spettacoli che avessero a che fare con le varie forme del comico, dal Teatro di Varietà a quello della Rivista, dell’Avanspettacolo, delle Farse, facendo precedere i testi da una Introduzione: “Savinio e i comici”, utilizzando, anche, delle premesse, riguardanti gli articoli che compongono i vari capitoli, ai quali ha dato dei titoli: “Il comico ha vita breve”, “Sui fratelli De Filippo”, “Sul Varietà e la Rivista”, sul “Teatro comico classico”, “Sul Teatro Dialettale”.
Il lettore si trova dinanzi a una breve storia della comicità popolare italiana, con tutti i suoi protagonisti, dai De Filippo, a Macario, a Govi, a Taranto, a Vanda Osiris, senza la W doppia, perché il regime non voleva nomi stranieri, tanto che Eduardo doveva essere scritto Edoardo, e ancora alla Fougez che, dopo un periodo di splendore, ne visse uno di assoluta oscurità. Per Savinio, il riso aveva vita breve perché, in sostanza, costruito su un movimento meccanico che lo rendeva sterile, dato che, tale dinamismo, si poteva concludere con una sola battuta. Egli amava, degli attori comici, la naturalezza, l’autenticità, persino la frivolezza, mentre, della Rivista, preferiva quella “povera, ma onesta”. Infine, teneva in gran conto gli assi della comicità, come il duo Vanni-Romagnoli, Dante Maggio, Aldo Fabrizi, Virgilio Riento, artefici di un teatro concepito come fantasia e illusione, che si contrapponeva al teatro borghese e al suo repertorio fatto di “pastasciutte, con camere mobiliate, di pantofole usate, di comodino”.
A suo avviso, uno dei veri creatori di comicità era stato Brugnoletto, capace di trasformare la scena “in un cosmo in formazione”, anche perché era il popolo che creava la sua fantasia, la sua gioia di stare in palcoscenico, persino la voce. Il suo vero nome era Giuseppe Ciocca, fu assai popolare alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, e poi c’era Macario, con la sua “simpatica tonteria”. Savinio non amava la banalizzazione dei classici, tanto che, a proposito di una “Bisbetica domata”, alquanto tagliuzzata, intitolò la sua recensione: “La bisbetica mutilata”. Amava la farsa genuina, quella “temuta” perché ispirava paura e diffidenza, per i “pericoli” nascosti nella sua illogicità.
Sul Teatro dialettale, avversato dal regime, Savinio dovette utilizzare tutte la sue ambiguità per farlo accettare, a Giacinto Gallina, però, preferiva i De Filippo. Non gli dispiaceva Colantuoni, autore di una farsa, in dialetto veneto, “I fradei Castiglioni”, il cui successo fu tale da essere tradotta in altri dialetti, persino quello genovese, dato che Gilberto Govi la tenne nel suo repertorio.
Come si può intuire, Nicola Fano ha scelto, di Savinio, un aspetto poco noto, ma determinante, per capire il clima di un’epoca che vedeva il teatro italiano agonizzante e che cercava, nella comicità, sussulti di sopravvivenza.
Alberto Savinio: “IL COMICO HA VITA BREVE”, a cura di Nicola Fano, Ed. Succedeoggi Libri 2023, pp. 112, € 12