MILANO, mercoledì 23 febbraio ► (di Patrizia Pedrazzini) – All’inizio, in una sorta di quasi discreta, e insieme canonica introduzione, le due protagoniste femminili dell’Antico e del Nuovo Testamento: Eva e Maria. Alla fine, in solo apparente contrasto, l’immagine profana di una Ninfa. Nel mezzo, un percorso creativo che, senza mai scostarsi dai canoni della bellezza, dell’eleganza e della sensualità, ma sempre coniugando grazia, dolcezza e potere di seduzione, si propone di riflettere sul ruolo per certi aspetti dominante della donna nella società e nella pittura veneziana del XVI secolo.
È il tema della mostra “Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano”, a Palazzo Reale fino al 5 giugno: 122 opere, inclusi 47 dipinti, 16 dei quali di Tiziano, gli altri di pittori suoi contemporanei quali Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese, Tintoretto (oltre a sculture, oggetti, gioielli, libri, e a un abito realizzato nel 1994 dallo stilista Roberto Capucci in omaggio a Isabella d’Este). Dai ritratti realistici di donne appartenenti a diverse classi sociali a quelli fortemente idealizzati delle “belle veneziane”, dalle nobildonne alle cortigiane, dalle sante alle eroine alle divinità mitologiche, non c’è aspetto dell’essere femminile che l’esposizione non consideri. Abbigliamento, acconciature e ornamenti inclusi.
Così, di sala in sala (attraverso le undici sezioni della mostra), dipinto dopo dipinto, l’immagine della donna veneziana nel Cinquecento si concretizza: nel suo tutt’altro che irrilevante status sociale (le spose potevano per esempio disporre della dote e, dopo la morte del marito, distribuirla tra i figli); nell’essere sempre più fonte di ispirazione per letterati e poeti (per la componente erotica, certo, ma anche in quanto garanzia di solidità familiare); nell’influenza, fra le più acculturate, ovviamente, che “La cité des femmes” (1405), della poetessa veneziana in terra di Francia Christine de Pizan, ebbe sulle scrittrici dell’epoca, inducendole a muoversi per esempio in difesa di Eva contro le tradizionali accuse misogine delle quali veniva fatta oggetto. E dando tra l’altro avvio alla “Querelle des femmes”, sorta di movimento “proto femminista”, se non l’unico il maggiore prima della Rivoluzione francese.
Ecco allora, a Palazzo Reale, fra i dipinti di Tiziano, capolavori quali “Isabella d’Este in nero” e “Danae”, “Lucrezia e suo marito” e “Ritratto di giovinetta”. Fino all’incantevole “Giovane donna con cappello piumato”, giunto a Milano per l’occasione dall’Ermitage di San Pietroburgo. E ancora, in un percorso di pura bellezza, “Laura” di Giorgione, “Susanna e i vecchioni” e “Leda e il cigno” di Jacopo Tintoretto, “Ninfe al bagno” di Palma il Vecchio, “Lucrezia”, “Giuditta” e “Il ratto di Europa” di Paolo Veronese.
L’intera “Scuola Veneta” della Serenissima, che ha in Tiziano Vecellio (1488/90-1576) non solo l’indiscusso protagonista, ma anche il pittore per il quale la bellezza artistica e quella femminile sono un tutt’uno. Così le “belle veneziane” non sono cortigiane, ma spose, delle quali mai viene sminuita la dignità (ricordiamo che siamo all’epoca di Veronica Franco, cortigiana “onesta” e poetessa che entrò a far parte di uno dei circoli letterari più esclusivi della città, partecipando a dibattiti e curando antologie di poesia).
E così allora si comprende il filo rosso che lega la Eva di quel primo dipinto (di un giovane Tintoretto) della mostra, che offre sì la mela ad Adamo, ma indirettamente anche allo spettatore, invitando anche lui a percorrere “la via della conoscenza”, e la Ninfa dell’opera conclusiva, fra gli ultimi lavori di Tiziano: sdraiata su un fianco, lo sguardo languido ma consapevole, è solo lei, la donna, a comprendere la forza del destino e della natura. È lei, e solo lei, la genitrice dell’Universo.
L’esposizione è promossa e prodotta da Comune, Palazzo Reale e Skira editore (che ne cura anche il catalogo). Partner principale la Fondazione Bracco.
“Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano”, Milano, Palazzo Reale, fino al 5 giugno